Valentina UghettoPer l’Abi (l'associazione bancaria italiana, ndr) – al netto di spese, perizie e adeguamenti della Banca centrale europea - i tassi dei mutui per la casa sono ormai vicini al 5%. Ma in un solo mese c’è stata una contrazione dei contratti del 3,3%, che su base annua vuol dire la riduzione di un terzo delle pratiche. Inoltre, se si guarda ai prestiti alle imprese, ridottisi in un mese del 4%, il campanello d’allarme è ormai molto chiaro: anche le aziende non possono più permettersi di investire. Interessante notare come l’Abi ammetta che i tassi pagati dalle banche alla clientela sui depositi si attestano allo 0.8% medio, ovvero appiattiti verso il basso e senza significativi incrementi. Ciò, nonostante i dieci progressivi aumenti del tasso di riferimento decisi, appunto, dalla Bce. La ‘forbice’ della stretta creditizia non viene, quindi, immessa nel sistema, privilegiando, per esempio, finanziamenti mirati, più produttivi o di incremento occupazionale. In tal modo, il grosso della liquidità resta alle banche, che festeggiano con profitti da record semplicemente riversando i soldi raccolti, quasi gratis, dalla clientela nei rapporti interbancari, ben remunerati, oppure comprando titoli di Stato, lucrando così una splendida differenza senza rischi. L’imprenditore e il capitale dovrebbero reinvestire gli utili, oppure acquistare titoli per finanziarsi sui mercati: questo ci viene insegnato a Economia politica. Dunque, è difficile dar torto al governo se si permette di tassare in modo più pesante questi extraprofitti. E non si capisce perché l’ipotesi non dovrebbe essere sposata anche a livello comunitario, magari a vantaggio di spese ‘mirate’ e applicate da tutti gli esecutivi Ue. In buona sostanza, l’Unione insiste con una politica limitata solo sui tassi per frenare l’inflazione (questa almeno la vulgata ufficiale, che pochi si permettono di contestare, pur sapendo che non è l’unico modo per tenere a freno i prezzi, ndr) quando – nello stesso giorno del report Abi – la Confesercenti sottolineava come la spesa alimentare delle famiglie italiane, primo indice del consumo, si sia ridotto, nel primo semestre 2023, di 3,7 miliardi di euro, nonostante l’aumento dei prezzi: si compra, insomma, il 10% di merci e di beni di prima necessità in meno. Sempre meno richiesta dei mercati, che s’impoveriscono anch’essi, un costo del denaro così alto abbassa la curva dell’offerta. E un’ombra inflazionistica inquietante, a medio termine potrebbe causare 'spirali' più gravose, come accaduto dopo le decisioni riguardanti la guerra in Ucraina, che hanno fatto esplodere la crisi energetica e l’aumento delle materie prime. Tutto questo non significa che abbia ragione Putin. Anche perché tutto ciò ci ha dato modo di diversificare gli approvvigionamenti energetici, ma che perpetuare una guerra sta cominciando a danneggiare pesantemente soprattutto l’Europa. Al momento, assistiamo solo alle spese militari di cui nessuno fornisce un rendiconto, ma aumentano come la distruzione e la miseria. Inoltre, troppi Paesi extra-Ue, che non sono legati a strategie del genere, nel frattempo crescono e conquistano mercati, spesso insensibili alle tematiche ambientali e con gravi danni per il pianeta, rendendo così nulle le scelte europee. Ecco, dunque, spiegate le decisioni di Berlino, con i suoi scostamenti di bilancio e il relativo aumento del debito: la Germania, semplicemente, può permetterselo. E lo aveva già fatto ai tempi della riunificazione con la Ddr. Qualcuno con lo 'sguardo lungo', vivaddio, esiste: è l’Italia, invece, ad avere il ‘portafoglio corto’.





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