Michela DiamantiIl 29 settembre scorso è uscito ufficialmente in tutte le sale cinematografiche italiane, il film ‘Dante’ del maestro Pupi Avati, dopo l'emozionante anteprima avvenuta il 16 giugno 2022 a Roma, presso l'Auditorium della Conciliazione, al cospetto del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e di tutte le principali cariche istituzionali per l'alto valore culturale per l'Italia dell'evento. Per la prima volta nella Storia del cinema abbiamo un film sul ‘Sommo Poeta’, Dante Alighieri, a cui il regista bolognese ha lavorato per 20 anni ispirato, in parte, dalla lettura della ‘Vita Nova’, in cui emerge un Dante eterno ragazzo, interpretato da un sorprendente Alessandro Sperduti, che somiglia a tutti i ragazzi del mondo con il suo dramma amoroso, mai contraccambiato, per Beatrice (Carlotta Gamba) e, in parte, dal ‘Trattatello in Laude’ di Giovanni Boccaccio, altro ‘padre’ della lingua italiana, interpretato da un bravissimo Sergio Castellitto. In questi 20 anni, il grande Pupi Avati, con passione e con un amore senza fine per il suo sogno cinematografico, ha investigato anche gli aspetti meno valorizzati dalla Storia, coinvolgendo  i massimi esperti, quali Ezio Raimondi, Emilio Pasquini e Marco Santagata, per riuscire a cogliere il ‘fulcro’ della grandezza poetica di Dante, al di là di come è stato tradizionalmente proposto nelle scuole e nelle varie biografie. Ovvero, come un poeta autoreferenziale, una distante figura iconica di rosso vestito e ornato di alloro. Ne abbiamo parlato con l’attrice riminese Rita Carlini, che nel film ha ricoperto il ruolo di Cionella Alighieri, la zia di Dante.

Rita Carlini, lo scorso 29 settembre è uscito in tutte le sale cinematografiche italiane il nuovo film di Pupi Avati, intitolato ‘Dante’, in cui lei interpreta un ruolo: siamo di fronte al film più importante della carriera del regista bolognese?

“Credo proprio di sì. E infatti sono commossa e onorata di aver avuto la possibilità di recitare in ‘Dante’: una pellicola speciale per Pupi Avati - il film della sua vita, come più volte ha detto… - dove interpreto il ruolo di Cionella Alighieri, la zia del giovane poeta, interpretato da Alessandro Sperduti, che lo armò per andare a combattere nella battaglia di Campaldino del 1289 tra i guelfi fiorentini contro i ghibellini, poiché non versava in felici condizioni economiche e non poteva neanche permettersi un’armatura da combattimento”.

Siamo di fronte alla pellicola di definitiva consacrazione per Pupi Avati, destinato a collocarlo tra i grandi del nostro cinema?
"Certamente, sì: siamo di fronte a un capolavoro che consacra Pupi Avati tra i grandi registi del nostro cinema, per il pathos suggestivo di un Medioevo riportato in vita in ogni suo aspetto. Un film che osa affermare, con il coraggio e l'istintività degli eterni fanciulli e l'intelligente profondità dei saggi, che la grandezza poetica di Dante Alighieri nacque dalla sofferenza e dalla sua profonda umanità. Un dolore che coinvolge totalmente, per tutte le ingiustizie e le persecuzioni subite, che lo obbligarono a un’esistenza sempre in fuga o in clandestinità, rinunciando a tutte le possibili gioie di una vita normale, adattandosi a vivere come un cortigiano, senza mai perdere la sua natura gentile e poetica. Un cavaliere dell'amore cortese, che trova la sua sublimazione nell'amore assoluto ed eterno per Beatrice, luce e raffigurazione di quell'incontro col divino che sempre ha cercato in vita. Anche nel dolore e nella sofferenza, Alighieri non ha mai smesso di credere che esista un ordine divino, in grado di trovare un senso a tutti i molteplici aspetti della realtà”.

Il film prende le mosse dal noto ‘Trattatello’ di Giovanni Boccaccio, un altro dei grandi padri della lingua italiana, il quale scrisse quello che oggi chiameremmo un pamphlet ‘in laude’ a favore di Dante Alighieri: anche allora era difficile veder riconosciuto nel presente l’immenso valore poetico di un grande personaggio come il ‘Sommo Poeta’?
“In ‘Dante’, Pupi Avati narra il Dante umano tramite il viaggio di Giovanni Boccaccio, a cui i Capitani di Or San Michele affidarono l'incarico di portare 10 fiorini d'oro da Firenze a Ravenna per suor Beatrice, la figlia di Dante – interpretata da Valeria d'Obici - a titolo di risarcimento simbolico. Questo affascinante viaggio, voluto con tutto se stesso dal Boccaccio, diviene l'occasione per ripercorrere come in un flashback i tasselli più importanti  della vita di Dante: l'infanzia, gli amori giovanili, anche quelli di passione amorosa oltre Beatrice, gli amici, i nemici e i luoghi, ricostruendo fedelmente il vissuto del Sommo Poeta. Giovanni Boccaccio sopporta anche la peste, di cui è malato, pur di compiere questo viaggio. Dunque, riscopriamo un Boccaccio fervido e appassionato biografo di Dante, che lo eleva a Maestro facendosi umile, perché mosso dall'amore e dall’adorazione verso chi considerò immenso, per la sua grandezza e superiorità poetica, mai riconosciuta dai suoi contemporanei. Un Boccaccio coinvolto anche umanamente, per come Dante Alighieri venne umiliato e mortificato nella sua dignità e valore umano”.

Perché accade questo, in Italia, secondo lei? Per motivi politici? Perché il nostro Paese mantiene una serie di contraddizioni difficilmente superabili? Per un dogmatismo religioso che tende a soffocare ogni forma di identità individuale degli italiani?
“Nonostante lo scorrere dei secoli, il Medioevo si è mostrato più volte nella nostra Storia, anche se con altri nomi e sembianze. Oggi, per esempio, tutto è più precario e incerto, poiché l'umanità, al di là del progresso e dello sviluppo tecnologico, ha subito un processo di omologazione, in cui l'essere umano, il suo sentire, le sue verità di singolo individuo, non vengono considerati o giudicati con razionalità ed equilibrio. Non facciamo altro che sprofondare, ogni volta, nel nostro Medioevo, a causa di una mentalità statica, che lascia sempre tutto com’è senza dare alcuna dinamica ai processi di sviluppo, che invece debbono essere accompagnati dalla cultura umanista. Abbiamo perduto l’orizzonte, la nostra visione di radiose albe di progresso? Solamente in parte. Ma ciò non giustifica questo inutile ‘sguazzare’ nel pantano immobilista di un positivismo disumano, totalmente appiattito sullo sviluppo di una tecnica funzionale unicamente a se stessa”.

Una volta, Fortebraccio scrisse che “in Italia, i meriti di una persona vengono riconosciuti solo dopo la sua morte”: il nostro Paese vive problemi di meritocrazia sin dal Medio Evo?
“Sono d’accordo. Anche perché ritengo che certi riconoscimenti ‘post mortem’ siano ambivalenti: spesso son sinceri, ma altrettante volte ipocriti, poiché mossi da logiche di comodo. Basti pensare, per esempio, a Totò, che nonostante i suoi successi, la sua genialità surreale e l'eccezionale umanità, venne a lungo bersagliato dalle critiche. Un grande artista che non ebbe mai ciò che meritava davvero, anche se amatissimo dalla gente comune”.

Parliamo un po’ di lei e del suo ruolo nel film: anche questa volta, Pupi Avati l’ha voluta nel ‘gruppo’, vero?
“Se sono un’attrice, lo devo a Pupi e Antonio Avati, a cui sarò sempre riconoscente e grata per il loro ‘sguardo’, che va sempre oltre le convenzioni e i luoghi comuni. ‘Dante’ è un'opera preziosa e simbolica, specie in questo presente così difficile, perché ricca di quella bellezza, di quei valori, di quella cruda verità che consente di capire, alla fine, come il Sommo poeta, per secoli così distante e ammantato di mistero, sia molto più vicino alla vita quotidiana di ognuno di noi, dalla nascita alla morte, al di là di come le nostre esperienze possano cambiarci. Farne parte con il ruolo di Cionella Alighieri è stato un onore speciale. Pupi Avati non è solo il grande regista con cui sognavo di lavorare da ragazzina, ma un professionista immenso, capace di donare a tutte le persone di cui si circonda insegnamenti rari e illuminanti, che ti ripagano di tutto. I suoi set sono sempre esperienze emozionanti: un film nel film, in cui vige l'armonia, la dedizione, un’empatia che vorresti fermare nel tempo. Come quando ti ‘incanti’ e provi un senso di beatitudine guardando la natura così com'è davvero…”.

Quanto è importante la poesia nella cultura di un popolo?
“La poesia è vita ed è importantissima, perché ha in sé il sentimento, l’impegno civile, l'immaginazione, la bellezza e l’amore per la natura. La poesia racchiude in sé il senso stesso della vita. E’ proprio questo che ha reso Dante Alighieri un poeta immortale: il caposaldo della nostro umanesimo storico e culturale”.





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