Giovanna AlbiMolte sono le figure femminili presenti nelle opere platoniche, sia come comparse, sia come riferimenti letterari: Euridice, Alcesti, Teti, Melanippe, Ananke, Aspasia, Santippe e Atena. Ma tra queste, si staglia su tutte Diotìma, la sacerdotessa di Mantinea. Le donne ricoprivano un ruolo di tutto rilievo nei simposi greci: concubine, flautiste, suonatrici, etère allietavano i banchetti e istruivano i maschi nelle cose d’amore. Donne che frequentavano le scuole filosofiche, come il giardino del più tardo Epicuro. Noto è il caso di Ipazia, rappresentante della filosofia neoplatonica, uccisa da una folla di cristiani in tumulto. Pur in una società misogina come quella greca, le donne, se istruite e di alto lignaggio, erano tenute in debito conto. D’altra parte, Platone nella ‘Repubblica’ ipotizza che le donne, se filosofe, potessero diventare capo dello Stato. E sempre nella ‘Repubblica’, al paragrafo 256 ss, dice che per quanto attiene alla “funzione”, le donne sono pari agli uomini. Mario Vegetti, uno dei massimi studiosi di filosofia antica, sul punto ha sempre chiosato che questa "è la più grande attestazione democratica di parità dei sessi della Grecia antica". Entriamo nel Simposio: sono le Lenee del 416 a. C. quando Agatone riporta la vittoria nell’agone tragico e decide di dare un banchetto, tre giorni dopo, nelle sua casa. Invita Socrate, che se ne va tirato a lucido con i sandali ai piedi - cosa eccezionale per lui, che in genere andava scalzo – e si ‘imbuca’ anche il discepolo Aristodemo, che fa la figura del parassita. Sono presenti: Pausania, il politico democratico; Erissimaco, il medico; Fedro, il giovane retore; Aristofane, il commediografo; Alcibiade, il giovinetto più bello di Atene, trasgressivo e provocatorio. Accusato di aver mutilano le Erme, le statue di Hermes poste nei crocicchi, Alcibiade aveva già subito un processo. E, in seguito, riportò una pesante sconfitta nella spedizione in Sicilia del 415 a. C. come attestato da Tucidide. In ogni caso, erano presenti otto simposiasti. E, su proposta di Fedro, si decide di trattare il tema dell’Eros. I banchettanti, a turno, elaborano un discorso in materia. Comincia lo stesso Fedro, che compie un elogio di Eros secondo i canoni della retorica classica, con citazioni che andavano da Esiodo e Omero: Eros è il dio più antico, nato dal Kaos e dalla Terra, forza propulsiva dell’universo: “All’inizio era Eros”, solevano dire i Greci. “E’ più fortunato l’amante o l’amato?”, si chiede Fedro. Più fortunato è l’amante, perché può perdere la vita per l’amato. Come Alcesti, che si sacrificò per lo sposo Admeto e fu richiamata sulla Terra. Diversamente, Euridice fu risucchiata nell’Ade perché Orfeo si girò da un'altra parte. Achille perse la vita per vendicare Patroclo e fu assunto nell’isola dei beati. Pausania, invece, fa un lungo discorso, differenziando l’amore celeste, che mira alla sapienza, dall’amore 'pandèmia', che mira alla riproduzione, secondo la nota distinzione della ‘Repubblica’ di Platone in cui si afferma la superiorità dell’amore ‘omoerotico’, su quello ‘eteroerotico’. Il dotto Erissimaco elogia i corpi vigorosi, perché da questi nascono figli vigorosi, cosa che avviene quando si è in perfetto equilibrio. Quando tale equilibrio si rompe, allora interviene il medico che lo ristabilisce. Quindi, il medico è quasi una sorta di sessuologo. Aristofane, per parte sua, ricorre al mito dell’androgino, cosa nota: la storia degli uomini-palla, insomma. Agatone contribuisce anch'egli con un bell’elogio di Eros, dio bello e buono. Prende la parola Socrate, che conviene con Agatone. Dopo di che, ha inizio il più bel passo di tutto il corpus platonico anche a detta di Giovanni Reale, massimo studioso di Platone, recentemente scomparso: “A questo proposito, vi voglio raccontare quanto mi fu detto da una straniera, la sacerdotessa Diotìma di Mantinea, esperta in queste e in altre cose. Dilazionò di ben dieci anni la peste di Atene…”. Figura di spicco del Simposio, maestra di eros, Diotìma ha iniziato Socrate ai piccoli e ai grandi misteri d'amore e alla scoperta dell'universo femminile. Ma chi era costei? Vexata quaestio: è veramente esistita o è il frutto dell’inventiva di Platone? Sempre Giovanni Reale - e noi con lui - ritiene che sia frutto della creatività di Platone. Ma c’è chi pensa fosse una controfigura di Aspasia, la concubina e futura moglie di Pericle, maestra di retorica di Socrate. Tuttavia, si parla di una straniera, il che porta a escludere questa seconda tesi. Si tratta, comunque, di una sacerdotessa e taumaturga che in questa ‘mascherata’ quale è il Simposio, lo rende quasi un’opera teatrale. D’altra parte, prima che filosofo, Platone fu tragediografo, anche se con scarsi risultati. Di qui, per invidia, la condanna della tragedia. Sia come sia, la sacerdotessa, nell’iniziare Socrate ai piccoli misteri di Eros, spiega le sue funzioni, la sua nascita e le sue prerogative. Confuta Agatone, perché Eros non era un dio “bello e buono”, ma nemmeno “brutto e cattivo”; non era né sapiente, né ignorante; né povero, né ricco; né mortale, né immortale. Eros, in realtà, era un ‘demone’, cioè l’anello di congiunzione tra uomini e dei, tra mondo sensibile e mondo sovrasensibile, tra anima e corpo. Vediamo superato quanto si dice nel ‘Fedone’, in cui il corpo è la prigione dell’anima e l’anima si libera con la morte. Nella logica di Diotìma, invece, anima e corpo convivono pacificamente ed Eros li tiene uniti. Diotìma, che è un 'nome parlante', colei che onora Zeus, esperta nella mantica, apre uno squarcio del tutto nuovo su Eros, dandone una lettura nuova e originale, raccontando la sua nascita nota da Penìa, la dea della frugalità e da Poros, figlio di Metis, dio della sovrabbondanza, dello stratagemma e dell’espediente. Nato dalla mancanza, egli aspira ad avere ciò che non ha e che pur ha conosciuto (teoria della reminescenza, ndr). Vi tende con tutti gli espedienti che gli derivano dal padre, a quel 'bello/buono' che non ha. Rimarrebbe lacero, sporco, gettato sui marciapiedi e negli angiporti se non venisse in suo soccorso Pòros. Quindi, Eros emerge dalla sua pochezza grazie alla spinta paterna e guarda in alto al conseguimento della ‘kalokaghatìa’, senza poterla mai ottenere, perché solo gli dei possiedono sapienza, bellezza e bontà. Come dice Dodds ne ‘I Greci e l’irrazionale’, “i Greci non sono sapienti, ma vi aspirano, non in equilibrio, ma in tensione tra le parti, mai felici, mai paghi, ma sempre in pessimistica meditazione per via del tempo che tutto corrode. La vita è una comparsa: meglio non essere nati o morire al più presto. Fortunato colui che muore giovane combattendo in prima fila”. Epì emére: attaccati al giorno é l’uomo, “sogno di un’ombra”, diceva Pindaro. Se la vita è un'apparizione di breve durata, l’eros le conferisce un senso che si dispiega nel discorso della sacerdotessa. Cio, tuttavia, non va cercato nel vigore del corpo, ma nella spinta dell’anima verso la sapienza (confutazione di Erissimaco, ndr). L’eros non tende né alla metà,all’intero, a meno che questo non sia un bene come la sapienza (confutazione del ‘Mito dell’androgino’ di Aristofane, ndr). In questa perenne e mai paga tensione verso la sapienza, Eros non è altri che il filosofo che poggia la sua ricerca sulla ‘mancanza’. E’ questo è il nucleo del discorso di Diotìma, che supera i discorsi degli altri commensali. E’ dalla mancanza che nasce il desiderio ‘de sideribus’: cadere - nella tensione a ricongiungersi a quel mondo delle idee, di cui il mondo è solo una copia e a ritrovare quella pienezza che un tempo possedevamo, prima di essere “gettati sulla Terra”. Per raggiungere il 'Bello/Buono', bisogna scalare i gradini della conoscenza come iniziazione ai grandi misteri: dalla contemplazione di un corpo bello, alla pluralità dei corpi belli, all’apprezzamento delle occupazioni, delle arti, delle leggi e delle scienze. Le leggi garantiscono l’eunomìa (buon governo, ndr): per questo, Licurgo e Solone si sono guadagnati l’immortalità, mente Socrate si è sacrificato in nome delle leggi. Le scienze, come ci spiega Aristotele, sono quelle matematiche che riconducono a unità la pluralità. Infine, si dispiega davanti al filosofo la contemplazione del bello, dell’assoluto libero, puro e incontaminato. Non avremo, allora, una parvenza di virtù, ma la virtù stessa, come virtuoso fu Solone anche come poeta. In buona sostanza, Eros è in grado di procreare il ‘Bello’ secondo l’anima e secondo il corpo: quando i corpi sono gravidi, lo sono anche le anime. E gli uomini si spingono a procreare. Si muovono verso le donne per produrre un bene finito, un figlio mortale; o verso i giovinetti, scambiando saggezza e bellezza e producendo un bene infinito: la sapienza. Questo è il vero amore. Poiché Eros è il filosofo: la figura più erotica di tutte, le cui parole producono incantamento. Chi sa parlare è massimamente erotico. E proprio quell’incantamento che produce, per Alcibiade, un sapiente come Socrate, che infatti era un Satiro. Che poi i Greci dessero grandissimo valore alla parola è cosa nota: già in Omero, il personaggio di Nestore era degno di onori perché vegliardo e oratore. E lo stesso Odisseo viene celebrato per le sue abilità verbali: quando stava seduto non gli avresti dato un soldo, ma quando si alzava a parlare, produceva lo stesso effetto della neve che cade in estate: l’incanto puro. Il Maestro è la figura più erotica di tutte, dunque. A prescindere dall’aspetto fisico. “Abbiamo bisogno dell’eros dell’insegnamento”, ha infatti dichiarato di recente Massimo Recalcati in 'Un’ora di lezione'. Dobbiamo ritrovare le parole ‘leopardiane’ della poesia, del sentimento, del sentire nell’anima e, al contempo, nel corpo per procreare il bello. Il nostro linguaggio si è inaridito, come preconizzato da Leopardi. La tecnologia e la burocrazia non esprimono, ma definiscono. E riguardo al pensare, dobbiamo riprendere quella ‘scalata’ verso il 'Buono/Bello' in quanto “atto puro”, sciolto e assoluto, del divenire. Tocchiamo i vertici dell’incontaminato e riscopriamo la virtù che tanto manca, in questo secolo di deriva di valori e di nichilismo strisciante, che attecchisce a tutte le età, specie tra i giovani. “Debelliamo l’ospite inquietante”, afferma giustamente Umberto Galimberti. E riportiamo la pluralità del divenire all’unicità dell’Essere. Cerchiamo di vivere in pienezza e sarà solo e soltanto Eros: l’unica forza che ci allontana, temporaneamente, dalla morte. Coltiviamo amore e poesia come ultima ‘spes’.





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