L’On. Luciana Sbarbati è il leader del Movimento dei Repubblicani Europei, formazione politica di indiscussa ispirazione laica schierata con la coalizione di centro-sinistra.

On. Sbarbati, la laicità dello Stato è uno dei suoi cavalli di battaglia: perché si scatena tanto rumore ogni qual volta si fa cenno a questo tema? Eppure dovrebbe essere un'ovvietà...
“La laicità è un tema fondante, la nostra stessa essenza di repubblicani e significa rispetto delle istituzioni repubblicane, fermezza della Repubblica e capacità del legislatore di essere equidistante da ogni confessione religiosa, di cui riconosce il diritto di esistere, ma che non può in nessun modo favorire rispetto all’altra. Credo che l’essere laici in termini giuridici e politici significa essenzialmente rispettare chi è cattolico, protestante, musulmano, calvinista, non credente o cambia religione. In questo senso il legislatore deve produrre leggi che siano ‘erga omnes’, cioè leggi che siano veramente a tutela dell’interesse generale e non leggi confessionali. Il problema è nella concezione sbagliata della laicità. Senza eccedere nel laicismo bisogna tornare ad un sano concetto della laicità che fa capo ai principi su cui si fonda uno stato di diritto, che si basa sul concetto di cittadinanza attiva. Un’ovvietà? Non so se si tratta di una ovvietà. Mi pare che non sia così perchè quando una classe politica si fa serva di direttive che sono al di fuori dello stesso Parlamento e al di fuori della battaglia politica stessa in termini di valori e in termini di idee è ovvio che c’è una strumentalizzazione a fini elettorali delle persone. Ed in questo senso anche oggi abbiamo una strumentalizzazione del concetto e del valore della laicità”.

Secondo lei, ha ragione Boselli quando dice di rimettere mano al Concordato?
“Boselli dovrebbe ricordarsi che probabilmente tutto ciò è avvenuto con Craxi, quindi una posizione di dialogo va fatta ad alto livello. Ci sono delle cose fatte bene ed altre meno bene, non dico di rimettere mano al Concordato, dico che probabilmente bisogna riaffrontare il problema del rapporto tra Chiesa e Stato portando la discussione non sul terreno del laicismo sfrenato e rivendicazionista, ma portandola sul terreno di valori alti. Quindi un dialogo di livello alto con la Chiesa che oggi ha occupato lo spazio che la politica ha lasciato libero. Dobbiamo interrogarci sul perchè ciò sia avvenuto e sulle responsabilità che abbiamo. Il nostro nemico non è la Chiesa quando dà delle direttive che ha il dovere e il diritto di dare, è quella classe politica che si fa partigiana di queste direttive a fini elettoralistici”.

Dopo l'uccisione del prete italiano in Turchia, in Italia, la politica discute sull'atteggiamento da tenere nei confronti dell'Islam: c'è il rischio di creare uno scontro tra civiltà?
“La politica continua a discutere, ma è già da tempo che la discussione è avvenuta, sulle strategie per dialogare con l’Islam o sul modo migliore per aprire questo dialogo che in fondo non è mai iniziato del tutto. Qualcuno paventa lo scontro di civiltà o lo vede all’orizzonte, certo è che se i termini della questione si estremizzano, noi corriamo questo rischio, soprattutto se ci mettiamo nella condizione di non umiltà culturale, assumendo, cioè, una posizione superiore che non abbiamo. Rivendicare la nostra storia, le nostre origini, la nostra cultura o lo spirito del cristianesimo, non vuol dire che gli altri, perché hanno altre radici, altre spriritualità o altre culture, siano a noi inferiori. Se si parte da questo dato, il dialogo e il rispetto reciproco è possibile perchè significa reciproca tolleranza e soprattutto voglia e volontà di comprendere le ragioni dell’altro in termini profondi e non superficiali, studiando, analizzando, conoscendo e contattando, attraverso un dialogo che deve essere molto proficuo perchè ci sono degli obiettivi da raggiungere. Questi obiettivi oggi sono però difficili da individuare quando c’ è un mondo che ha tutto – l’occidente – ed un mondo che non ha niente e vive nella disperazione e nella miseria, nell’alfabetismo ed ha problemi incredibili pur avendo delle grandi risorse in seno. Allora dobbiamo puntare ad una politica europea più giusta più aperta dando alla politica dell’Europa il senso di una politica etica, poiché abbiamo globalizzato l’economia ma non abbiamo globalizzato la politica. In politica estera siamo ancora ‘franosi’, del tutto o quasi inesistenti, ci manca quella statura che invece abbiamo sul piano commerciale e sul piano finanziario e la dobbiamo conquistare. Uno dei gradini, a cornice di questa conquista, è la Costituzione Europea alla quale ancora non siamo arrivati perché c’è stato uno stop da parte di due grandi Paesi e speriamo che questo cammino si possa riprendere, come ci ha sempre ammonito il nostro amato Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi”.

Il ruolo e l’impegno delle donne nella politica italiana: i livelli, per quanto riguarda il ruolo, lo spazio e la partecipazione femminile nel nostro Paese, sono di gran lunga inferiori rispetto ad altri Paesi europei. Come giudica tale ritardo e cosa va fatto per recuperare terreno anche su questo versante?
“Il ruolo e l’impegno delle donne nella politica italiana è sconosciuto o per meglio dire misconosciuto. L’impegno è un “impegno” costante, perseverante fattivo e concreto che ha bisogno di venire alla luce per la sua entità che è grande, ma effettivamente non trova uno spazio adeguato di valorizzazione della partecipazione femminile e dell’intelligenza politica delle donne, Noi siamo gli ultimi in Europa e veniamo dopo uno dei Paesi più poveri dell’Africa in quanto a rappresentanza femminile nelle istituzioni, persino con le recenti elezioni l’Afghanistan ci ha superato con il 30% di rappresentanti femminili in Parlamento contro il nostro 9%. Il Cile, come la Germania ha eletto il suo primo presidente donna, la vicina Austria ha formato un governo al 50% con le donne. Solo il nostro Paese, come in questa campagna elettorale, vede contendersi il palcoscenico della politica solo tra maschi, tra uomini, i quali non danno uno spettacolo esaltante della politica italiana perché fanno un gioco al ribasso fatto di schermaglie futili e improduttive che non toccano i problemi del Paese. Forse se si facessero parlare le donne tutto questo non accadrebbe, e non mi pare giusto che non vi sia nessuno spazio femminile in questi grandi dibattiti nazionali perché le donne non sono delle ‘minus habens’, ma hanno idee, cuore, passione e contenuti che possono portare all’attenzione dell’opinione pubblica senza bisogno di consultare i ‘dossier sulle ginocchia’. Le donne sarebbero capaci di fare match a mani nude, perché sanno di cosa possono parlare e di cosa vanno a parlare. Nel mondo c’è una sorta di fenomeno crescente di avanzamento dell’autocoscienza femminile su tutti i fronti e su tutti i livelli. Le donne sono più brave nella scuola, professionalmente ma nelle carriere alte, manageriali e dirigenziali, non riescono ad emergere se non con estrema fatica e a prezzo di pesanti rinunce. Questo non deve più avvenire. Allora cosa fare? Quote rosa o non quote rosa? Le quote rosa sono una delle vie ma il mezzo vero è una battaglia culturale forte, di passione, di presenza e di partecipazione a tutti i livelli della convivenza sociale, politica, civile e culturale delle donne, che devono far valere la propria presenza in termini di capacità e di impegno sociale e soprattutto di coscienza civile. Il ritardo è grande e grave in un Paese che si dice democratico come il nostro e che è tra i più grandi Paesi del mondo. Ritengo che la Repubblica abbia un debito forte con le donne, una emergenza democratica che riguarda la pari opportunità e quindi la presenza delle donne nelle istituzioni della Repubblica che deve essere assolutamente colmata”.

Talvolta, si ha l’impressione che lei, da alcuni partiti maggiori dell’Unione, venga considerata un intralcio: quale sarà il suo ruolo e il suo spazio nell’Ulivo e nel futuro Partito Democratico?
“Un intralcio? Forse. Non ho mai cambiato la mia casacca. Nonostante tutte le traversie che hanno subito i Repubblicani ho mantenuto fede alla mia bandiera di riferimento, ai miei ideali che sono la Repubblica e la Costituzione, la laicità dello Stato e la giustizia sociale, la scuola pubblica e i diritti civili, a quella passione repubblicana che oggi si afferma sempre di più tra le giovani generazioni che hanno bisogno di ideali puri non mercenari. Sono un intralcio perché forse rappresento, per coloro che continuamente hanno cambiato casacca e posizione nella loro vita, quella cattiva coscienza dalla quale allontanarsi, perché guardandomi ricordo loro che c’è qualcuno che ha osato sfidare tutti e ciascuno, rimanendo fedele a se stessa, non lasciandosi comprare. Il mio ruolo e lo spazio nell’Ulivo e nel futuro Partito Democratico sarà quello che i Repubblicani Europei meritano perché sono la più antica cultura democratica di un partito della sinistra storica non marxista che ha molto da dire. Il messaggio di Mazzini viene valorizzato in tutto il mondo, come il più moderno che nella politica si possa trovare e nella nostra Repubblica, essendoci così bisogno di una nuova religione civile, io credo che il nostro ruolo sarà proprio quello di un richiamo ai valori e ad un’etica della politica resa come servizio ai cittadini nell’interesse generale che senza se e senza ma, difende lo Stato, la Res Pubblica - la Repubblica – la Costituzione Italiana nei suoi valori fondanti e nei suoi principi fondamentali che sono stati per lungo tempo riflessi e poi costruiti dai nostri Padri Costituenti”.


Intervista tratta dal mensile di informazione e cultura 'Diario 21'
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