Giuseppe LorinLo scorso gennaio, Dolce&Gabbana hanno scelto Vanessa Incontrada come musa della loro nuova campagna ‘curvy’, ispirata all’arte del pittore fiammingo Pieter Paul Rubens. Che la Incontrada sia carina anche in versione ‘burrosa’, lo ammettiamo pacificamente. Ma per rendere omaggio al maestro del romanticismo barocco fosse necessario ‘mutuarne’ lo stile per lanciare una campagna di moda, dunque per finalità commerciali, ci convince meno. Anche se, questa volta, non si è trattato di una ‘inflencer’ che non si sa bene cosa sappia fare nella vita, ma di un’artista che sa recitare e presentare decentemente uno show televisivo. In ogni caso, è la cultura artistica, quella che avrebbe bisogno di essere ‘sponsorizzata’, non certo una casa di moda. Al limite, per approfondire meglio chi fosse Pieter Paul Rubens. Figlio di un rifugiato politico fuggito dai Paesi Bassi, il maestro del filone ‘fiammingo’, in realtà, era nato il 28 giugno 1577 a Siegen, in Germania. Alla morte del padre, egli apprese i suoi primi rudimenti di pittura ad Anversa, nel Belgio settentrionale: la città più importante delle Fiandre. La madre, Maria Rubens, lo affidò a un parente: il pittore paesaggista Tobias Verhaeght. Nel 1593 entrò nella bottega di Adam van Noort e, un anno dopo, in quella di Otto van Veen, che resterà il suo vero maestro per quattro anni. Ovvero, fino a quando Pieter Paul Rubens, forte dei suoi apprendimenti, aprì ad Anversa una bottega tutta sua e vi accolse degli allievi. Ma già nel maggio del 1600, il pittore si accinse a un viaggio in Italia che si prospettava piuttosto lungo. In luglio, a Venezia, incontrò Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova, che lo volle come suo pittore di corte. Nel marzo 1603, l’artista fu inviato dal duca a Madrid, per accompagnare una raccolta di opere d’arte e gioielli in dono al re di Spagna e al suo ministro, il duca di Lerma. Dopo aver dipinto il ‘trittico’, offerto da Vincenzo Gonzaga per la chiesa della Trinità, a Mantova, nel 1605 l’artista si mise in viaggio per un più lungo periodo di studio e approfondimento a Roma. Nell’estate del 1606 entrò in contatto con gli oratoriani di San Filippo Neri, per la commissione dell’altare maggiore nella chiesa romana di Santa Maria in Vallicella, terminata in quegli anni. Frattanto, a Genova aveva dipinto, nella chiesa di Sant’Ambrogio, una pala d’altare offerta da Niccolò Pallavicino, marchese di Busseto, figlio di Oberto e Caterina di Marsilio Rossi. Insomma, Rubens è stato il protagonista indiscusso di una parabola di sviluppo di una ‘poetica artistica’ che ha attraversato influenze classiche, il rapporto con l’arte italiana e la relazione con alcuni artisti suoi contemporanei, conosciuti durante i suoi soggiorni nel nostro Paese. Viaggi dai quali si evince la centralità dell’Italia nello sviluppo della Storia dell’arte. È a Rubens che si devono i primi segnali del barocco, che poi si diffuse in espressioni altissime in ogni regione d'Europa. Fu da questi prodomi che, dopo il proprio ‘insegnamento’ di stile, si diede spazio alla trovata artistica ‘rococò’ della piazza di Sant’Ignazio a Roma, con le splendide quinte teatrali rappresentate dalla via e dal vicolo de’ Burrò, che venne in seguito ampliata dal 1727 in poi. I suoi rapporti con Genova, Mantova, Venezia e Roma, senza dimenticare Fermo, per l’opera commissionata sempre dagli oratoriani, ‘Adorazione dei pastori’ e che si trova nel Museo civico, ci permettono di ricostruire una passione che lo legò profondamente alla cultura italiana, sino al punto di diventare il suo vero tratto d’identità di tutta la sua produzione successiva. Rubens, pertanto, noi lo annoveriamo come pittore italiano, più che fiammingo. Ricordiamo, per esempio, l’olio su tela ‘Romolo e Remo allattati dalla lupa’, che oggi è il prestigio della Pinacoteca capitolina. Sul finire di ottobre del 1608, una grave malattia della madre lo richiamò ad Anversa, ma quando arrivò la trovò già deceduta. Dopo quel lutto, Rubens non tornò più in Italia: nel settembre 1609, gli arciduchi Alberto e Isabella, governatori dei Paesi Bassi, lo chiamarono come loro pittore di corte. In una lettera del maggio 1611, egli stesso afferma che la sua bottega di Anversa “è talmente sovraffollata di discepoli, che ho dovuto respingere più di cento nuovi aspiranti alla pittura”. Nello stesso anno terminò il ‘trittico’ dell’Elevazione della croce per la chiesa di San Walburgis, ad Anversa, seguito della 'Discesa della croce' sempre per la cattedrale della sua città. Sposatosi nell’ottobre 1609 con Isabella Brant, nel gennaio 1611 acquistò un appezzamento di terra, sul quale eresse la propria casa. A partire dal 1617, l'allievo Anthonis van Dick lavorò nella sua bottega come aiuto e, per lui, completò numerose opere. Nel marzo 1620, Rubens ebbe la commissione di 39 dipinti per il soffitto della chiesa dei Gesuiti ad Anversa. E due anni dopo, la regina di Francia, Maria de’ Medici, lo chiamò a Parigi per progettare insieme a lui la realizzazione di 22 grandiose tele, destinate a decorare una Galleria del Palazzo di Lussemburgo e a celebrare il periodo della sua reggenza. L’impresa fu portata a termine nel febbraio del 1625. Negli anni successivi, alla morte della moglie, Rubens si dedicò all’attività politico-diplomatica: al servizio dell’arciduchessa Isabella trattò con il Governo inglese per la pace tra Inghilterra e Spagna; nel luglio 1628 fu richiamato dal sovrano spagnolo a Madrid, per riferire sui fatti avvenuti; nell’aprile del 1629, Filippo IV lo inviò a Londra per concludere il trattato. E alle amenità conferitegli dal sovrano di Spagna, si aggiunsero le dignità del re d’Inghilterra, che dopo la conclusione della pace raggiunta, nominò l’artista ‘Cavaliere’ del regno. Inoltre, Carlo I lo incaricò di decorare i soffitti del suo salone di rappresentanza, la Banqueting Hall, nella Whitehall di Londra, con una serie di dipinti allegorici che il pittore terminò nel 1635. Intanto, nel dicembre 1630, il grande pittore convolò a nuove nozze con la sedicenne Hélène Fourment e, nel 1634, stese i primi ‘abbozzi’ della decorazione per l’entrata trionfale ad Anversa del cardinale, infante di Spagna, Ferdinando. Nel 1636 ebbe il suo ultimo grande e importante incarico: il sovrano di Spagna gli ordinò una serie di scene mitologiche per il suo castello di caccia, la ‘Torre de la parada’. Poiché già all’inizio del suo ultimo decennio di vita l’artista soffriva di intermittenti attacchi di artrite gottosa alle mani, l’esecuzione di quest’ultimo ciclo fu affidata, in misura maggiore che nelle opere precedenti, alla mano di scolari e collaboratori. I quadri, giunsero a Madrid nell’aprile del 1638. Nei due anni successivi, gli attacchi del male si trasformarono in artrosi deformante, con picchi frequenti e acuti. La sua ultima lettera è datata 6 maggio 1640; il suo testamento è del 27 maggio del medesimo anno. Tre giorni dopo, il grande precursore del barocco morì ed ebbe sepoltura nella cappella che si era fatto costruire nella chiesa di San Giacomo, ad Anversa, dietro all’altare maggiore. I concetti di ‘virtù’, ‘onore’, ‘grandezza’ e ‘gloria’ sono l’essenza della ‘pittura rubensiana’. Valori che oggi possono sembrare discutibili, in mezzo alle inquietudini della nostra epoca. In ogni caso, rcordiamo come questo artista tedesco dei Paesi Bassi, potrebbe non essere affatto contento di vedersi strumentalizzato, oggi, per una linea di moda che, probabilmente, durerà non più di una stagione. Anche se è vero che, nei tempi attuali, ogni fenomeno viene bruciato nel breve volgere di qualche mese, senza riuscire a produrre nulla di immortale e inconsumabile. Rubens, una traccia di sé l'ha lasciata. Dubitiamo che la stessa cosa, in una società liquida, possa accadere anche ad altri: le mode passano; Rubens rimane.





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