Domenico BriguglioAlla galleria 'Il collezionista' di via Rasella 132 in Roma, è 'andata in scena' in questi giorni la personale di Luise Gandon, artista franco-austriaca abituale frequentatrice di 'piazze' artistiche d'assoluta rilevanza in tutta Europa. La mostra, fortemente voluta dal direttore artistico, Gabriele Giuliani e presentata dal critico d'arte Elena Gradini, ha fortemente impressionato il pubblico presente, accolto in stretta ottemperanza alle norme di prevenzione da Covid 19. In effetti, le opere della Gandon non possono non colpire: primi piani che balzano 'in proscenio' da sfondi oscuri (come i ritratti apparsi tra il medio e il tardo rinascimento) o, al contrario, composti da riflessi multicolori. La differenziazione tra le due tipologie non viene fatta a caso, ma risponde all'intenzione dell'artista d'identificare i soggetti ritratti con criteri di connotazione strettamente psicologici. Non sono, pertanto, le fattezze estetiche di un individuo a essere protagoniste, quanto il suo carattere, la personalità, che 'deve' risaltare nel caso dello sfondo scuro o confondersi, trarre forza espressiva da quello colorato, quasi a indicare un'essenza sfuggente a un'identificazione precisa, celata dietro una maschera pubblica a uso e consumo della società: un apparire totalmente diverso dall'essere. Ne deriva la peculiare strumentalizzazione del colore a cui le opere sono piegate, quasi costrette: violento, debordante o delicatamente sfumato, in declinazioni inconsuete nelle figure intere, il cui volto riulta nascosto, mai rivelato. In tal guisa, l'artista affida il 'messaggio' che intende veicolare a un codice posturale, o lo cela in particolari che intervengono dall'esterno dello spazio ritrattivo. Una psicologia estremamente sottile e modulata, che salta letteralmente da un quadro all'altro, trascinando l'osservatore verso esiti che mutano, se considerati in un modo piuttosto che in un altro, in generale o in particolare: un'operazione lucida, obbediente a un focus sulle "mille facce della verità" che sembra il fine ultimo della Gandon. Uno sforzo già tentato da altri artisti, utilizzando soggetti diversi e differenti: approcci tecnici, con risultati talvolta eccellenti, spesso troppo criptici. In questo caso, l'artista ha invece affidato le sue chances espressive a una pittura d'effetto, che potesse creare, nell'osservatore, un' impressione permanente, simile a una lastra fotografica o, forse, al fotogramma di un film. Una scelta che ben si confà al suo modo di vedere l'arte, concettualmente rivolto a trasmettere messaggi indelebili e atemporali.





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