Maria Elena GottarelliIl 20 e il 21 settembre 2020 si terrà il referendum per la riforma costituzionale sulla riduzione dei parlamentari promossa dal Movimento 5 Stelle: ecco di cosa si tratta e quali sono i principali argomenti per il 'Sì' e quelli per il 'No'

Manca ormai meno di un mese al referendum sul taglio dei parlamentari. Una riforma costituzionale promossa dal Movimento 5 Stelle che comporterebbe la riduzione di un terzo dei seggi di entrambi i rami del parlamento: da 630 a 400 alla Camera e da 315 a 200 in Senato. Viene inoltre ridotto il numero di parlamentari che è possibile eleggere dall'estero (da 12 a 8 deputati, da 6 a 4 senatori) e anche il numero di senatori a vita, mai più di 5. Il taglio dei parlamentari è uno dei principali 'cavalli di battaglia' del movimento 'grillino', che investe il tema della lotta alla casta e del risparmio sui costi della politica. Nel promuovere la riforma, l'ex leader 5 Stelle nonché attuale ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha parlato di 100 milioni di euro risparmiati ogni anno grazie al 'taglio' (secondo uno studio realizzato dall'Osservatorio dei conti pubblici italiani, la cifra si aggirerebbe, però, intorno a 57 milioni, poco più della metà). La riforma era stata approvata nell'ottobre 2019 e sarebbe dovuta entrare in vigore a gennaio, ma una richiesta di 71 senatori di vari Partiti l'aveva sospesa, rendendo necessario il referendum. La data inizialmente prevista era quella del 29 marzo 2020, poi 'slittata' causa coronavirus. Si vota, dunque, il 20 e il 21 settembre prossimi. Nello stesso giorno, si svolgeranno anche le elezioni regionali in Veneto, Campania, Toscana, Liguria, Marche, Puglia e Valle d'Aosta, insieme ad altre consultazioni amministrative riguardanti 1184 comuni. La domanda a cui i cittadini dovranno rispondere con un 'Sì' o con un 'No' è la seguente: "Approvate il testo della Legge Costituzionale concernente 'Modifiche degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari' approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - Serie generale - n. 240 del 12 ottobre 2019"? Si tratta  di un referendum confermativo, quindi privo di quorum, vale a dire senza una soglia minima di affluenza, per decretarne la validità. Il taglio dei parlamentari sarà, inoltre, la quarta riforma costituzionale sottoposta a referendum nella Storia della Repubblica italiana (gli altri sono stati: il referendum sul Titolo V nel 2001; la riforma promossa da Silvio Berlusconi nel 2006 e quella di Matteo Renzi nel 2016). Ma quali sono i principali argomenti addotti dai sostenitori del 'Sì' e da quelli del 'No'? In generale, i primi rivendicano i risparmi economici che la riforma implicherebbe, oltre allo snellimento del sistema parlamentare e delle procedure normative. I detrattori della riforma, invece, gridano a un attacco al sistema democratico e puntano il dito contro un 'taglio orizzontale', che peserebbe sul principio di pluralismo e di rappresentatività, incidendo negativamente su alcune Regioni più che su altre. Ma vediamo le varie posizioni più nel dettaglio.

Gli argomenti del 'Sì'
Luigi Di Maio, principale promotore della riforma, la definisce: "Un'opportunità di cambiamento per il Paese". In seguito all'approvazione definitiva della Camera alla nuova legge, l'attuale ministro degli Esteri ha scritto sulla sua pagina Instagram: "Il 20 e il 21 settembre possiamo cambiare la Storia e riportare l'Italia a essere un Paese normale". Infatti, i promotori del 'Sì' sottolineano come l'Italia sia, tra i Paesi europei, quello con il più alto numero di parlamentari eletti rispetto alla popolazione, con i suoi 96 mila abitanti per deputato: più del Regno Unito (un deputato ogni 102 mila abitanti), ma anche dell'Olanda (uno ogni 114 mila), della Germania e della Francia (entrambe hanno un deputato ogni 116 mila abitanti) e, infine, più della Spagna (uno ogni 133 mila). Sfrondare le fila della 'casta', quindi, al fine di "rottamare i rottamabili" e allinearsi al trend europeo. Secondo Marco Travaglio, direttore de 'Il Fatto Quotidiano', "ridurre i parlamentari non implica affatto il 'superamento del parlamento', ma il rilancio del parlamento, che diventando meno pletorico, sarà più credibile, efficiente e funzionale, perché composto da eletti meno indistinti e, dunque, più forti, autonomi e autorevoli". I sostenitori del 'Sì' insistono anche sul fatto che questa riforma ha suscitato quasi un plebiscito in parlamento, ottenendo persino il consenso delle opposizioni (hanno votato favorevolmente Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia). E il Partito democratico? Inizialmente sfavorevole all'iniziativa, il Pd ha rivisto, nel corso del tempo, la sua posizione senza adottare, tuttavia, una linea ufficiale. Questa apertura è dovuta alla nuova maggioranza 'giallo-rossa' creatasi dopo la caduta del primo Governo Conte, nell'agosto del 2019. Ciononostante, il segretario dem, Nicola Zingaretti, ha vincolato il suo appoggio a una serie di altre riforme costituzionali a tutela della rappresentatività (ivi compresa una riforma della legge elettorale). Queste ultime, però, a oggi non risultano pervenute. Un altro argomento comunemente addotto a favore del 'taglio' è quello relativo allo 'snellimento' delle procedure legislative: "L'efficienza di un'assemblea è inversamente proporzionale al numero dei suoi membri", sostiene Marco Travaglio. Si guadagnerebbe, cioè, velocità ed efficienza, senza incappare nelle insidie del 'presidenzialismo', implicito nel referendum 'renziano' del 2016 e accarezzato dal leader della Lega, Matteo Salvini. I risparmi potrebbero, inoltre, essere investiti per altre riforme a favore dell'educazione, della sanità o dell'ambiente.

Gli argomenti del 'No'
Secondo i suoi detrattori, il taglio dei parlamentari così come attualmente concepito, penalizza gravemente il sistema democratico. Sabino Cassese, giurista, accademico e giudice emerito della Corte costituzionale, lo definisce "un attacco alla democrazia parlamentare da parte di coloro che pensano alla democrazia diretta". In un intervento su Huffington Post, il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, a sua volta ha sottolineato: "Riducendo i parlamentari da 915 a 600, l'Italia diventerà il Paese con il peggior rapporto tra numero di cittadini ed eletti, allontanando ancora di più gli uni dagli altri; verrà spazzato via il principio di rappresentatività territoriale a danno, principalmente, delle aree interne e meno popolate; i parlamentari saranno scelti in liste bloccate, ancora più corte e totalmente nelle mani dei leader nazionali". Il taglio dei parlamentari porterebbe i deputati da 1 su 96 mila dello stato attuale a 1 su 151 mila. "Diventeremmo cioè", scrive Andrea Fabozzi su 'Il Manifesto', "il Paese con la peggior rappresentatività tra tutti i 28 appartenenti all'Unione europea. E, di gran lunga, visto che, dopo di noi, ci sarebbe la Spagna, ferma a un deputato ogni 133 mila abitanti". Un altro argomento dello schieramento dei 'No' si basa sullo 'squilibrio' che il taglio comporterebbe sul piano della rappresentanza in parlamento dei territori. Alcune Regioni subiranno dei tagli pari o superiori alla metà dei loro senatori. In particolare, il Friuli Venezia Giulia (-42,9%: da 7 a 4 senatori), l'Abruzzo (stessa percentuale), la Calabria (-40%: da 10 a 6 senatori), l'Umbria e la Basilicata (entrambe -57,1%: da 7 a 3 senatori). Secondo il giornalista de 'il Foglio', David Allegranti, questa riforma rappresenta "la casta contro la casta". In altre parole,"degli stessi Partiti che si 'auto-tagliano' e si 'auto-riducono' per ripararsi dalle critiche del popolo, sovente feroci".

Le voci dei Partiti
Come detto, tutte le pricipali forze politiche hanno appoggiato la riforma in parlamento (M5S, Lega, Forza Italia, Fratelli d'Italia), escluso il Pd, che ha vincolato il suo appoggio ad altre riforme costituzionali, a garanzia del principio di rappresentanza. Si sono schierati contro i Partiti minori, come i Radicali e Sinistra italiana. Per quanto riguarda 'Italia Viva', il movimento di Matteo Renzi una linea ufficiale non ce l'ha: l'ex primo ministro, che proprio su un referendum costituzionale ha subito una clamorosa sconfitta nel 2016, ha però votato contro la bozza di riforma elettorale, proposta da Nicola Zingaretti come condizione per appoggiare il taglio dei parlamentari, che prevedeva lo sbarramento al 5%: un meccanismo che avrebbe escluso proprio il Partito di Renzi, nato un anno fa e che, attualmente, si aggira attono al 3% dei consensi. Insomma, senza una nuova legge elettorale e senza altre modifiche costituzionali di corredo, il taglio dei parlamentari sarebbe "pericoloso e controproducente". E' quanto ha sottolineato Matteo Orfini, ex presidente del Pd: "Ci fu garantito che il taglio sarebbe stato preceduto da una nuova legge elettorale proporzionale e accompagnato da modifiche costituzionali che garantissero che quel 'taglio' non sfasciasse l'impianto costituzionale. Quegli impegni non si sono realizzati. E ora, come se niente fosse, votiamo per il 'Sì'? Praticamente, possiamo solo dire 'Sì' a ogni capriccio del M5S, anche se si tratta di distruggere la nostra democrazia"? Tuttavia, durante il meeting di Rimini in corso in questi giorni, Luigi Di Maio ha tenuto a rassicurare sul fatto che "riforme e modifiche ai regolamenti parlamentari arriveranno" e che il taglio dei parlamentari "è solo l'inizio di un percorso". Una presa di posizione definitiva da parte del Partito democratico è attesa per i primi di settembre.

Sondaggi

Dagli ultimi sondaggi, emerge una netta prevalenza del 'Sì': il 72,4%, secondo lo studio realizzato dal direttore generale di 'Lab21', Roberto Baldassari, contro un 27,6% di contrari. Un dato rilevante è la scarsità di 'engagement' (interesse civile, ndr), che il referendum suscita nella popolazione italiana. Secondo un sondaggio Ipsos, a giugno 2020 solo il 28% degli intervistati era, infatti, a conoscenza del referendum.


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