Vittorio LussanaÈ stato depositato in questi giorni, presso la commissione Giustizia della Camera dei deputati, il nuovo disegno di legge contro la 'omotransfobia'. Il primo firmatario è il deputato Alessandro Zan, del Partito democratico. Pertanto, da adesso in poi parleremo di "disegno di legge Zan", che in effetti rende bene l'idea di un 'colpo di mano' da parte di un eroico personaggio dei romanzi di avventura dei primi del novecento. In ogni caso, veniamo ora a esporre il nostro punto di vista in merito alla questione. Innanzitutto, l'attuale Atto Camera n. 569 (C. 569) unifica altri progetti di legge presentati in parlamento. Nonostante ciò, esso è composto da due semplici modifiche, che intervengono sul codice penale italiano agli articoli 604 bis e 604 ter (legge Mancino e la precedente legge Reale). Si tratta di norme che puniscono i reati e le incitazioni d'odio fondate su caratteristiche individuali, quali la nazionalità, l'origine etnica e la confessione religiosa. In buona sostanza, questo nuovo disegno di legge individua e aggiunge, come atti discriminatori, anche quelli basati sul genere, sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere. Ecco pertanto il primo punto della questione: quello relativo ai reati di odio, che non saranno legati esclusivamente alla discriminazione etnica, religiosa o razziale, bensì verranno affiancati anche da quelli legati alla sfera sessuale individuale, punendo sia chi li commette, sia chi istiga altri a farlo. Avendo dovuto registrare, in questi ultimi anni, numerosi fatti di cronaca legati a forme di intimidazione, dileggio e minaccia, quando non di vera e propria aggressione fisica nei confronti di persone omosessuali, l'idea di presentare un progetto legislativo di questo tipo ci appare un'ottima intenzione. Attenzione, però: già in questi giorni, sui social network, abbiamo dovuto contenere alcune reazioni totalmente 'capovolte', tese cioè a 'saltare a piè pari' ogni tipo di valutazione e di soppesamento della notizia relativa ai contenuti del 'ddl Zan'. Ecco, dunque, un primo problema, che distingue nettamente la professionalità giornalistica dall'opinionismo di massa: la valutazione di una notizia. Un centrodestra che corre troppo 'dietro' agli umori populisti finisce col favorire quegli elementi di movimentismo eversivo e irrazionalista i quali generano, a loro volta, più confusione che altro. Se un dibattito potrà esserci, come noi auspichiamo, lo vorremmo sereno e senza eccessi. In caso contrario, si sappia che, come già capitato in passato, abbiamo imparato anche ad alzarci da certi 'tavoli' assolutamente indegni di vederci rappresentati come laici, democratici e, più in generale, come difensori della più autentica e originaria professionalità giornalistica. In secondo luogo, il testo presentato in commissione Giustizia contiene disposizioni interessanti sotto il profilo sociologico-culturale, funzionali a tutelare le vittime di deteminati atti di discriminazione: a) viene istituita la 'Giornata mondiale contro l'omotransfobia' in data 17 maggio; b) è prevista la creazione di un fondo destinato ai centri antidisciminazione, affinché possano offrire un aiuto sostanziale e psicologico a chi non riesce a inserirsi socialmente, o a trovare lavoro, a causa del proprio orientamento sessuale, oltreché, naturalmente, a tutti coloro che hanno subito vere e proprie violenze fisiche e psicologiche; c) a tutto questo, vengono aggiunte alcune iniziative culturali in contesti lavorativi e scolastici, insieme a un monitoraggio periodico da parte dell'Istat intorno all'andamento dell'omotransfobia nel nostro Paese. Insomma, tutto bene? Non del tutto: anche noi solleviamo la questione dell'identità di genere allo scopo di un miglior delineamento di alcuni 'confini concettuali' atti a evitare alcune confusioni probabilmente involontarie. Infatti, la definizione stessa di 'identità di genere' potrebbe essere interpretata come una sorta di parità assoluta, considerando come implicite quelle specificità storiche, sociali e biologiche le quali, se non riconosciute, potrebbero riproporre nuovi effetti discriminatori, in particolar modo nei confronti delle donne. Sarebbe pertanto assai meglio 'delimitare il campo' delle modifiche legislative, per individuare una formulazione scientificamente più precisa come, per esempio, quella di "identità transessuale". Insomma, fermarsi innanzi alla semplice 'autopercezione individuale' del proprio genere sessuale di appartenenza è poca cosa. E rischia di generare equivoci ulteriori, limitando spazi, attenzione e risorse per le iniziative di altri. Comprendiamo che si giunga quasi all'attestazione di "una nuova categoria umana", per dirla con Pier Paolo Pasolini, o che si finisca col certificare, 'nero su bianco', l'esistenza stessa di un terzo genere sessuale. Ma tant'è: a questo punto, sarebbe anche l'ora che l'Italia si decidesse a definire certe cose per come esse sono, senza infingimenti, ipocrisie o 'mezze verità'. Veniamo, invece, alle consuete obiezioni provenienti dagli ambienti del centrodestra, ovvero da coloro i quali sono convinti che, rimanendo impalati e immobili di fronte a ogni fenomeno, si possa riuscire a estendere i confini culturali di una dottrina filosofica, politica o religiosa qualsiasi, soprattutto di matrice moderata e conservatrice. Il primo punto di confronto è la cosiddetta 'normalizzazione' di quella che viene definita 'teoria gender': in un mondo 'fissato' per le subculture tribali e le categorizzazioni pornografiche, ammettere che esista una nuova e più dignitosa teoria con la quale confrontarsi dovrebbe rappresentare, quanto meno, un elemento stimolante. Invece, no: l'accusa è quella di voler imporre una sorta di nuovo 'pensiero unico'. Una scemenza alla quale si può solo rispondere con la semplice constatazione che, in una politica ormai fortemente 'annacquata', massificata e standardizzata, il fatto che vi sia una sola e unica novità nel nostro 'panorama teorico' non può certo essere addebitato a chi ha deciso di farsi portatore di alcuni cambiamenti. Se anche le destre proponessero qualcosa di diverso dalla solita difesa irriducibilista e intransigente dei valori di quando 'Berta filava' (ricordiamo ai lettori, citando il poeta, che Berta "filava con Mario, filava con Gino e nasceva un bambino, che non era di Mario e non era di Gino"...) non sarebbe affatto un male. E magari, potrebbero anche sorgere idee diverse, confrontabili tra loro. Riproponendo l'esempio del presepio scolastico, da destra si dovrebbe favorire un incontro con le altre culture per narrare, rimembrare e confrontare le diverse tradizioni epiche, mitologiche o religiose dei popoli, evitando di 'mandare a monte' l'allestimento stesso del presepio, che è sempre assai suggestivo da osservare e ammirare. Ma se ci si limita alle contrapposizioni 'nette', il confronto tra culture differenti si trasforma in un'esclusione a vicenda, che genera unicamente il vuoto. Insomma, se il pensiero è 'unico', ciò accade anche perché, di questi tempi, chi propone un'idea qualsiasi si ritrova, spesso e volentieri, in una condizione di desolante solitudine rispetto alla 'piattezza logica' imperante nella nostra società. Se ve ne fossero almeno due di 'pensieri', per lo meno potremmo discutere di qualcosa di più interessante, rispetto alle banali obiezioni di Matteo Salvini, il quale pensa che questo tema sia sostanzialmente marginale rispetto a quello occupazionale. Può anche darsi che le cose stiano esattamente così. Tuttavia, provare a 'battere nuovi sentieri' spesso favorisce il risolvimento anche dei problemi più 'cronici', stimolando le distinte forze politiche a 'darsi una mossa', generando altresì alcuni sani 'sussulti' di vitalità. Se viceversa, il leader della Lega a queste cose proprio non ci tiene, il problema allora diviene unicamente suo, declinando invariabilmente dalla critica al 'pensiero unico' all'autocertificazione della 'questione unica': quella dell'esistenza di Matteo Salvini sul palcoscenico della politica italiana. Sia come sia, veniamo adesso ai nostri cari amici della Conferenza episcopale italiana, la Cei. I quali, ovviamente, anche questa volta non hanno lesinato di farci conoscere le loro critiche e obiezioni. Ebbene, secondo i nostri gentilissimi vescovi, l'inserimento di tali modifiche nel nostro ordinamento giudiziario sarebbe "un atto liberticida", poiché si rischia di "limitare la libertà di opinione altrui, anziché sanzionare una discriminazione". Una splendida battuta, che spiega pienamente come mai il sottoscritto si sia trovato nell'impossibilità di tentare una radiosa carriera da attore comico-brillante: con una concorrenza del genere, diviene impossibile ritagliarsi un qualsiasi 'spazio alternativo'. Ma a prescindere dalle 'boutades', è chiaro che la libertà di opinione incontra i suoi stessi limiti proprio nelle forme e nei modi in cui essa si esprime. E quando essa prende la forma dell'odio, dovrebbe essere logico dedurre, persino sotto il profilo teologico, che ci ritroviamo di fronte a una contraddizione precisa: quella di voler sostanzialmente annullare una questione che altri stanno, invece, cercando di combattere. Probabilmente, la spiegazione più ovvia è quella di temere quell'eliminazione del negativo che, invece, noi laici siamo tenuti quanto meno a tentare, poiché l'esistenza anche semplicemente ideologica del 'diavolo' finisce col mantenere in asse anche un bisogno escatologico di tipo sovrannaturale. Una religiosità 'esogena', insomma, ben poco 'interiore', che fa perfettamente il 'paio' con l'incontro tra il generale Pappalardo e gli alieni di qualche estate fa. Ma fin quando la Cei continuerà a ragionare in questo modo, noi saremo liberi di perlustrare qualsiasi campo dell'animo umano, poiché loro, sostanzialmente, o non se ne intendono, oppure non se ne vogliono minimamente occupare. Niente male, per degli appartenenti al clero...




Direttore responsabile di www.laici.it, della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it) e di 'A.Live' - Giornale socialista (www.avanti.live)


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