Michela DiamantiCome è cambiato, nel tempo, il modo di fare comunicazione del Vaticano? Quali ragioni hanno concorso a determinare una nuova attenzione - e un'inedita apertura - della Santa Sede verso i linguaggi audiovisivi, rafforzando e valorizzando il legame con media e cinema? Per rispondere a domande come queste, la facoltà di Scienze della comunicazione dell'Università telematica internazionale 'Uninettuno' ha organizzato, nei giorni scorsi, il seminario: 'La Santa Sede tra guerra e dopoguerra: il rinnovamento della comunicazione'. Durante i lavori sono intervenuti: il professor Dario Edoardo Viganò, preside della facoltà di Scienze della comunicazione (Uninettuno); la professoressa Rosanna Scatamacchia, docente di Storia moderna e contemporanea (Uninettuno); il professor Gianluca Della Maggiore, docente di Visual Storytelling (Uninettuno). L'incontro è stato ideato esattamente all'incrocio di una duplice ricorrenza: da un lato, l'avvenuta celebrazione dei sessant'anni dalla nascita della 'Filmoteca Vaticana' (novembre 2019), della quale il libro di Dario Edoardo Viganò, dal titolo: 'Il cinema dei Papi: documenti inediti dalla Filmoteca Vaticana' (Marietto Editore), costituisce il primo risultato; dall'altro, l'imminente e attesa apertura degli Archivi Vaticani sul pontificato di Pio XII (marzo 2020), che con facile previsione inaugurerà una stagione di intense ricerche e, sul medio-lungo periodo, di nuove pubblicazioni sul tema. A margine del seminario, abbiamo posto alcune domande proprio al professor Viganò, il quale ha saputo illuminarci intorno a molti temi, sfatando numerosi luoghi comuni sul pontificato di Papa Pio XII, spesso ricordato e un poco 'imbalsamato' da molti ambienti conservatori come "l'ultimo Principe della Chiesa di Roma". A ben vedere, molte cose andarono diversamente e alcune 'aperture' di Papa Pacelli verso il mondo moderno sono lì a dimostrarlo.

Professor Viganò, perché un seminario sulla comunicazione della Santa Sede tra guerra e dopoguerra?
"Perché è un tema che si lega all'avvenuta celebrazione della 'Filmoteca Vaticana', la cui data di nascista vede regnante Giovanni XXIII: 19 novembre 1959. Questa data è nota a tutti, ma diviene interessante andare a cercare le tracce più remote dell'istituzione della 'Filmoteca Vaticana', che sono poi quelle di una storia fortemente segnata, in realtà, da Papa Pio XII nel momento in cui avviò una serie di 'tentativi' di istituire 'commissioni' riguardanti il cinema. Queste cose le sappiamo dall'archivio della 'Filmoteca Vaticana' che, per il prossimo 2 marzo, dovrebbe essere riordinato, poiché quando l'ho consultato io non era ancora stato 'sistemato'. Esso è un archivio che, inizialmente, si chiamava 'II sezione della segreteria di Stato', che corrisponde, oggi, alla 'I sezione', cioè quella degli 'Affari ordinari'. In esso, c'è molto materiale. Così come in quello che, all'epoca, si chiamava 'Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali', il quale ha ereditato gli archivi della 'Commissione per il cinema, la radio e la televisione' insieme a quello iniziale della 'Filmoteca Vaticana' medesima. Infine, c'è il materiale del piccolo archivio della 'Pontificia Gendarmeria Vaticana', dove si possono trovare alcuni elementi curiosi, ma molto simpatici: per esempio, una serie di 'bolle' di carico e scarico delle pellicole, ufficialmente sottoscritte da un ufficiale della Gendarmeria, che riportano la dicitura 'Pellicole provenienti dall'appartamento'. Ovvero provenienti, secondo la retorica decodificata del 'piccolo mondo vaticano', dall'appartamento del Papa. Ciò indica che il pontefice riceveva alcuni film come 'dono' senza passare dagli organismi deputati e, molto presumibilmente, tali documenti certificano anche che nell'appartamento pontificio fosse stata allestita una piccola sala di visione per i film. Naturalmente, stiamo parlando di film che si riferivano a Congressi eucaristici, visite del Papa in qualche zona del mondo, oppure di documentari a carattere religioso".

Come è cambiato il rapporto tra il cinema e il mondo cattolico?
"Certamente, la nascita della 'Filmoteca Vaticana' ha rappresentato uno 'spartiacque': una vera e propria 'svolta' nell'atteggiamento della Santa Sede nei confronti del cinema. Tutto ciò che è avvenuto prima dell'istituzione della 'Filmoteca' è stata, infatti, una fase segnata da quell'atteggiamento della Chiesa che io sono solito definire 'doppia pedagogia': da un lato, Roma incentivava, promuoveva ed esaltava alcuni aspetti legati al mondo dell'audiovisivo e dei media in generale; dall'altro, richiamava immediatamente alla prudenza e ai possibili pericoli insiti nei vari strumenti che, di volta in volta, si affacciavano sulla scena sociale. In ogni caso, tutto questo fa parte di un'epoca precedente all'istituzione della 'Filmoteca'. Successivamente, abbiamo un atteggiamento sicuramente 'rivisitato', più aperto al dialogo e a una visione più 'culturale' dell'audiovisivo".

Quali studiosi hanno indagato le varie fasi del percorso di avvicinamento della Chiesa alla modernità?
"Innanzitutto, un gruppo di studiosi dell'Università cattolica di Milano che orbitava attorno alla rivista 'Comunicazioni sociali' e guidato da Francesco Casetti, oggi docente universitario a Yale. Si trattava di un nucleo di studiosi con il quale io stesso sono entrato in contatto ai tempi del mio 'dottorando'. Grazie a loro ho potuto seguire alcuni percorsi di ricerca legati alla sala di un cinema parrocchiale di un determinato territorio, ma in seguito, scoprimmo che nel 'bresciano' esisteva una lunga tradizione di sale parrocchiali, in cui si erano sviluppate alcune metodologie, come per esempio quella dei 'cineforum'. Ovviamente, devo citare anche alcune particolari figure, come quella di padre Federico Taddei, che ha sviluppato una scuola di tipo semiotico, di approccio strutturalista, di analisi all'immagine. Poi troviamo figure come quella di don Giuseppe Gaffuri, un altro religioso milanese che, invece, seguiva un altro tipo di metodologia. Tutte 'pratiche' che sono diventate oggetto di ricerca, di 'microstorie' che hanno avviato un interesse da parte dei corsi di Laurea e dei 'dottorandi'. Ecco perché, a un certo punto, mi è parso arrivare il momento in cui ho ritenuto utile fare il 'punto' della situazione sul rapporto Chiesa/cinema. Così produssi un lavoro enorme: tre volumi che s'intitolano 'Attraverso lo schermo' (edito dalla Fondazione Ente dello spettacolo, ndr) in cui si percepisce un approccio molto diverso rispetto a quello di oggi, poiché erano gli anni - il 2005 - in cui le appartenenze ai vari ambiti disciplinari erano ancora molto rigide: gli storici facevano gli storici; le 'art' - allora si chiamavano così - o chi si occupava di cinema svolgeva solamente un lavoro di critica, spostandosi al massimo verso alcuni ambiti come quelli della sociologica. Di quest'impostazione, quell'opera ha risentito molto: sono 3 volumi, infatti, in cui una prima parte risulta affidata a degli storici e una seconda a chi si occupava di cinema. Una sorta di 'giustapposizione', ma mai un'integrazione. Successivamente, soprattutto negli ultimi 10 anni, questo tipo di approccio è stato lentamente fatto scivolare verso un certo tipo di Storia, importante ma ormai non più ripetibile. Penso soprattutto ad alcuni studi come Moni Ovada a Milano o alla Daniela Trigennari. Sono studi che hanno integrato queste prospettive, per cui c'è chi proviene dalla Storia e si è sempre occupato, da storico, di pratiche legate alla Storia del cinema e chi, anziché limitarsi a occuparsi di critica, ha cominciato a toccare anche gli aspetti più istituzionali. Quest'integrazione ha generato, a mio avviso, un approccio più ampio, di maggior respiro, che ha lasciato perdere la strettezza della configurazione disciplinare, ma ne ha guadagnato la ricerca storica".

Qual è stato il contributo di Pio XII e da dove proveniva questa sua 'intuizione' nei confronti del cinema?
"Il contributo di Pio XII fu decisivo. Siamo, esattamente, negli anni '40-'50 del XX secolo e, in Vaticano, si comincia  a pensare di avviare una sorta di archivio cinematografico e una sala di proiezione. Siamo sotto il pontificato di Pio XII e questa vicenda racconta molto bene come Papa Pacelli guardasse ai mezzi di comunicazione sociale, perché il suo essere stato Nunzio apostolico e poi segretario di Stato ha fatto sì che egli assumesse un ruolo di assoluta centralità nella politica cinematografica della Santa Sede. Da subito, cioè da quando aveva smesso di fare il Nunzio ed era divenuto segretario di Stato, negli anni '30 del secolo scorso. In quel decennio, egli aveva seguito le inchieste cinematografiche dell'Unione Sovietica, aveva supervisionato la campagna di moralizzazione di Hollywood attraverso la 'Legione della decenza' (la 'Legion Decency', ndr) con l'episcopato statunitense e, soprattutto, aveva letto le relazioni di un organismo internazionale che si chiamava 'Organisation catholique internationale du cinéma' (Ocic) semrpe attraverso l'episcopato statunitense. Dunque, proprio in quegli anni lui riuscì a cogliere quali fossero i risvolti 'geopolitici' del cinema: il cinema non possedeva solamente un aspetto ludico, d'intrattenimento, ma era una sorta di 'grande macchina', che poteva predisporre visioni e atteggiamenti con un grande impatto d'influenza sulle masse e di utilizzo ideologico. Con questa consapevolezza, divenuto Papa intervenne immediatamente con una grande produzione 'magisteriale'. Io credo che sia stato il pontefice che ha scritto più di tutti gli altri sul cinema: lettere, discorsi, interventi e così via. Insomma, in 18 anni di pontificato ha prodotto un bagaglio magisteriale, in materia cinematografica, molto ampio. All'interno di questa produzione, a me piace ricordare due discorsi, che si chiamano il I e il II 'Discorso sul film ideale', che davvero marcarono un graduale, ma anche deciso, percorso di apertura e di dialogo nei confronti del cinema".

Come si giunse alla decisione di allestire una 'filmoteca'? Fu un percorso graduale, oppure incontrò delle difficoltà?
"Per comprendere a fondo i motivi per cui si arrivò ad allestire, in Vaticano, un archivio di film e una sala di proiezione bisogna far riferimemto a ciò che stava avvenendo nei rapporti più generlmente intesi tra la Santa Sede e i mass media. E' infatti all'interno di questo processo che si coglie la decisione di organizzare una 'Commissione Pontifica per il cinema'. Un organo che rivelò, fin da subito, le tensioni che si stavano muovendo all'interno della Santa Sede, perché da una parte avevamo un'impostazione fortemente clericale e centralizzatrice di approccio; dall'altra, una tensione più aperta alla valorizzazione delle esperienze delle chiese locali, disperse in tutto il mondo. Sono proprio le carte dell'Archivio Vaticano che mostrano queste tensioni. Il primo progetto di 'Pontificia Commissione', infatti, prevedeva un Ufficio centrale a carattere internazionale "di consulenza e di revisione ecclesiastica dei film a soggetto religioso e morale". Questa fu la prima denominazione e quanto si prevedeva di fare nel gennaio del 1948".

Qual era il disegno?
"Il disegno era molto ampio e faceva riferimento a una figura molto precisa: quella di monsignor Ferdinando Prosperini, che divenne, appunto, il primo segretario della Commissione. Ma quest'idea di Prosperini, che era quella di "riconoscere alla 'Pontificia Commissione' la posizione di supremo organo gerarchico nel campo cinematografico, con la conseguente autorità di vigilare, coordinare e potenziare gli organi cattolici di carattere nazionale e internazionale" dovette fare i conti con una visione molto diversa, quella di Giovan Battista Montini, il quale si oppose strenuamente a questa visione, in favore di una visione di mero coordinamento, di apertura e di dialogo. Montini, in questa tensione, ebbe come suo grande alleato un prelato statunitense, monsignor O' Connor, che proprio Pio XII nominò presidente della Commissione. Questo secondo approccio si muoveva più in un'ottica di valorizzazione del cinema nel suo aspetto specifico di 'linguaggio', che quindi contemplava un giudizio anche estetico, piuttosto che quello di un rigido controllo centralizzato. Naturalmente, tutto questa nasceva anche dalle storie dei personaggi: Prosperini proeniva da un ambiente fortemente clericale, aveva fatto parte del 'Centro cattolico cinematografico', faceva parte dell'Azione cattolica e tendeva a una forte e rigida clericalizzazione della politica cinematografica cattolica. Differentemente da Montini, che fu il vero 'deus ex machina' almeno fino al 1954, cioè fino a quando venne promosso arcivescovo di Milano, per poi tornare a Roma ed essere eletto Papa. Quindi, il progetto voluto fortemente da Prosperini durò pochissimo, non più di due anni, fino a quando vi fu la determinazione di riformare l'organismo. In pratica, Monsignor O' Connor intervenne frontalmente contro Prosperini, mandando una lettera a tutti i membri della 'Pontificia Commissione per la cinematografica didattica e religiosa', affermando, senza alcuna perifrasi: "Si cambia strada". A quel punto, venne nominata un'altra 'figura-chiave', monsignor Galletto, affiancato da monsignor Deskur, un prelato polacco che, in seguito, divenne grande amico di Giovanni Paolo II, il quale lo nominò presidente di una 'Pontificia Commissione' successiva. Quindi, nel 1952 nacque la 'Commissione per la cinematografia', la quale abbandonò ben presto l'aspetto educativo e religioso, cambiò il proprio Statuto, che quindi non ebbe più questa forte tendenza centralizzatrice e, nel 1954, si giunse alla nuova 'Pontifica Commissione per il cinema, la radio e la televisione'. La denominazione stessa dimostra, in qualche modo, che si decise anche di estendere le competenze della 'Pontificia Commissione' anche nei confronti dei nuovi media che si stavano affacciando sulla scena sociale. E in seguito, verranno introdotti anche altri elementi che andranno anche a costituire il primo momento di fondazione della Biblioteca Vaticana, la quale divenne, nei fatti, una 'cineteca', almeno inizialmente: una sala deposito di alcune pellicole arrivate tra il 1951 e il 1953".

Quindi, Pio XII si stava già muovendo verso la modernità?
"Esattamente. Anzi, si trattò di un percorso voluto proprio da Papa Pio XII che portò a un successivo momento di 'snodo', quando il progressivo allargamento delle competenze della 'Pontifica Commissione' proseguì con il cambio di pontificato: quello di Giovanni XXIII. Quest'ultimo, a sua volta, portò un approccio molto diverso, poiché era un uomo che conosceva il cinema. Se si vanno a leggere i suoi diari, lui stesso, quando era Nunzio, annotava sempre quando andava a vedere un film presso qualche Ordine religioso, ma anche quando si recava sui set per vedere come si 'giravano' alcuni film. Quindi, era un uomo che, addirittura, era entrato in contatto con le persone di cinema. E infatti, negli anni in cui era Patriarca di Venezia, era sua abitudine recarsi al Lido durante i giorni in cui si svolgeva il Festival del cinema, naturalmente non per visionare i film, ma per celebrare una Messa: la 'Messa del cinema'. E lì, la sua omelia rispecchiava anche l'intonazione del rapporto tra il mondo della Chiesa rispetto al cinema. Tutto questo porterà anche alla percezione di un 'cambiamento' molto maggiore, rispetto a quello che veramente c'è stato. Ciò perché Giovanni XXIII, a meno di 100 giorni dalla sua elezione, decise tre cose: si recò a San paolo fuori le Mura e dichiarò di voler riscrivere il Codice di diritto canonico; annunziò un Sinodo, che poi si sarebbe celebrato a Roma e, soprattutto, annunciò l'intenzione di convocare un Concilio, che fu poi il Concilio Vaticano II, il quale non riprese affatto i lavori del Concilio Vaticano I, che era stato sospeso, bensì voleva dire: "Facciamo tutt'altra cosa". Ciò dopo soli 100 giorni dalla sua elezione. Questa tempistica, un po' brusca, generò la percezione di un cambiamento 'epocale'. Ma questa sensazione, in realtà, generò persino alcuni aspetti alquanto problematici. Per esempio, nel 1959 venne presentato nelle Americhe il film 'Les amants' di Luis Malle, che era già stato presentato nel 1958 a Venezia. E come viene promosso questo film, soprattutto in Paesi profondamente cattolici come Argentina e in Brasile? Come una pellicola che il Papa aveva già visto e che non aveva affatto giudicato immorale".

Cosa ci rivela questo episodio?
"Ci rivela la percezione di un 'cambio di pontificato' totalmente differente da quello che lo aveva preceduto e che quella percezione portò anche a commettere degli errori, perché in quel caso le cose non stavano affatto così. Intanto, nel 1958, Angelo Roncalli non era ancora divenuto Papa, ma era ancora il Patriarca di Venezia; in secondo luogo, le cose erano andate in ben altro modo. E qui comprendiamo, soprattutto, come la 'Pontificia Commissione per il cinema, la radio e la televisione', che successivamente 'figlierà' la 'Filmoteca Vaticana', stava ormai diventando un interlocutore fondamentale, rispetto alle questioni di cinema, con i vari Stati e le varie 'nunziature' in tutto il mondo. Perché, se anche è vero che il Nunzio a Washington produsse uno scritto in segreteria di Stato, chi intervenne e supportò la successiva chiarificazione fu proprio la Commissione, con un intervento diretto di monsignor Galletto. A dimostrazione che la Commissione era diventata la struttura a cui la Santa Sede 'delegava' tutta una serie di questioni riguardanti il cinema. Una struttura che non solo produsse una risposta ai giornali argentini e brasiliani finalizzata a precisare come, proprio nel 1958, la curia del Patriarcato veneziano era intervenuta con una nota pubblicata sul proprio bollettino circa l'immoralità della selezione dei film presentati al Festival quell'anno, ma sottolineò anche che l'Ocic e il centro cattolico cinematografico, in quella edizione del Festival del cinema avevano deciso di non assegnare alcun premio speciale o particolare. Questo ci fa comprendere come quel cambio di pontificato avesse acceso della aspettative spesso superiori a quelle che, effettivamente, sono avvenute. E che la 'Pontificia Commissione' fu l'organismo che condusse alla nascita della 'Filmoteca Vaticana', a dimostrazione di un percorso molto ampio di avvicinamento di Pio XII nei confronti del cinema. Un 'disegno' che egli consegnò in eredità al pontificato successivo".


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