Lorenza Morello"Occorre sbarazzarsi del cattivo gusto di voler andare d'accordo con tutti. Le cose grandi ai grandi, gli abissi ai profondi, le finezze ai sottili. Le rarità ai rari", diceva Nietzsche. Ci chiediamo, oggi, come commenterebbe il filosofo l'evidente opportunismo istituzionale in cui è precipitato il nostro Paese. L'opportunismo, in ogni ambito, è una malattia pericolosa: alimenta la sfiducia e può generare mostri. Figuriamoci in un contesto come quello politico attuale, che sconta già da decenni una sfiducia generalizzata da parte degli elettori. Ora, non c'è persona intellettualmente onesta che possa sottacere l'abitudine, ormai sfacciata, di trattare i temi che riguardano il funzionamento e la riforma delle nostre istituzioni in un'ottica essenzialmente partigiana, legata alle convenienze del momento. È all'evidenza di tutti che ciò che è in gioco non sia uno scontro puramente e semplicemente politico tra chi vorrebbe elezioni subito e chi, invece, vorrebbe far durare la legislatura. Sia chiaro: tale dibattito è assolutamente legittimo ed è nella natura delle cose, poiché ciascuno, in politica, persegue i suoi fini e difende i propri interessi, rispondendone di fronte agli elettori. Quello che preoccupa è che, per esorcizzare la natura politica del confitto si chiamino in causa, opportunisticamente appunto, argomenti che dovrebbero invece esprimere un interesse più generale, svincolato dalla contesa contingente. Specie in un momento di così grave posizionamento del Paese sugli scenari internazionali, in cui ogni istante può essere quello fatale, non soprassedere sulle politiche di viltà in favore di un bene comune superiore, la salvezza della nazione, è un tradimento verso quel patto di rappresentanza che lega le Camere al popolo, che rimane sovrano, ovviamente, ma nelle forme e nei limiti dettati dal testo costituzionale. I tempi e i modi di una riforma come quella del taglio dei parlamentari, o una procedura corretta per formalizzare una crisi di governo, sono temi delicatissimi: non a caso molte Costituzioni prevedono delle procedure formalizzate e precise proprio per evitare cortocircuiti. Alcuni ordinamenti codificano con disposizioni formali o consuetudini consolidate le modalità per giungere allo scioglimento delle Camere: alcune Costituzioni prevedono, per esempio, che si tenga un'elezione tra il momento della prima approvazione della riforma costituzionale e la sua entrata in vigore. In Italia, purtroppo, nessuna delle due questioni è adeguatamente regolata. E il vuoto normativo consente un fiorire, anche tra i tecnici, di interpretazioni più o meno fondate, ma certamente diverse e divaricate. Ecco per quale motivo l'opinione pubblica si trova di fronte a una grande confusione: si fa fatica ad accettare che alcune questioni di tale importanza siano opinabili. Soprattutto, quando lo scontro si svolge brandendo le opinioni come verità assolute. Nell'immediato, si produce un unico risultato: incertezza e diffidenza verso politici ed esperti. La percezione diffusa è che gli argomenti costituzionali diventino prese di posizione partigiane. E non sapendo a chi credere, o non si crede a nessuno, o si crede faziosamente solo ai 'propri'. L'intero sistema ne risulta delegittimato, con il rischio che, anche in questo caso, si alimenti una reazione antipolitica che trova il suo brodo di coltura proprio nell'incertezza e nella diffidenza. Lo sgretolamento di una grammatica costituzionale condivisa rischia di travolgere tutto e tutti: per questo motivo, la situazione è drammatica ben al di là della sorte di un governo. Certo, ognuno può cercare il proprio 'capro espiatorio' di comodo, gettando la colpa su questo o quel protagonista, ma sarebbe disonesto intellettualmente credere davvero che esista un singolo carnefice che tenta di divorare tutti gli innocenti. Voltafaccia, faziosità, trasformismo, uso di comodo degli argomenti, disinvoltura nel cambiare posizioni dall'oggi al domani sono fenomeni ormai diffusi e trasversali. Si ritiene che non sia opportuno sciogliere le Camere prima dell'approvazione referendaria della riduzione dei parlamentari? Bene, allora si riformi subito. Ma subito. E non si parli di governi di legislatura. E soprattutto, non ci si inventi, pur di andare alle calende, stiracchiati automatismi per cui, ridotti i parlamentari, si deve poi approvare una legge elettorale nuova, possibilmente proporzionale, oppure di ristrutturare gli uffici delle Camere per adeguarli alla nuova composizione. Dall'insediamento del governo, avvenuto il 1° giugno 2018, gli occupati sono diminuiti di 91 mila unità; lo spread è raddoppiato; la produzione industriale è scesa di 11 punti; la pressione fiscale è salita dello 0,4%; gli investimenti esteri di portafoglio sono calati di 99 mld. Se la stima di Fitch (+0,1%) è realistica, il rapporto deficit/Pil 2019 sarà almeno del 2,5%. E se il governo intende evitare l'aumento dell'Iva nel 2020 col deficit, esso schizzerà al 4%. Vuol dire un debito/Pil che va oltre il 135%. In buona sostanza, a colpi di ignoranza e di cialtroneria, stiamo andando verso il disastro.




Giurista d'impresa
Mediatore Civile Professionista
cultrice di diritto civile
Presidente nazionale APM
A. D. R. & Conflict Management
www.masmore.ch

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