Domenico BriguglioNella giornata di martedì 21 maggio 2019, lo studio legale tributario 'Fantozzi & Associati', ha ospitato nella sua sede romana di via Sicilia 66 il primo di una serie di appuntamenti espositivi legati al progetto: 'Tributo all'arte'. In linea col progetto, gli spazi dello studio, specializzato in consulenza fiscale italiana e internazionale, si sono trasformati in luogo di promozione di arte e cultura, fuori dai circuiti tradizionali. Anima e motore del progetto è la 'Fondazione per l'arte', che da  anni lavora al sostegno e alla promozione degli artisti italiani, mentre per lo studio si tratta di un'importante scelta di prospettiva, tradotta si nell'istituzione di un dipartimento di 'Tax Art Advisory', con l'intento di fornire ai suoi clienti un servizio altamente specializzato di consulenza e assistenza fiscale. Protagoniste di questo primo appuntamento, il confronto dialogativo tra le tele di Gianni Pellegrini e le tavole di Vincenzo Schillaci, che al di là delle inevitabili differenze, riscontrabili nella composizione dei materiali e nei procedimenti operativi, condividono una certa esplorazione della profondità spaziale del colore e la lenta percezione temporale che permette di accedere all'opera nel suo farsi e mostrarsi. Colpisce, di Vincenzo Schillaci, la densa stratificazione cromatica ottenuta con la stratificazione di elementi eterogenei, dal quarzo alla finitura marmorea, levigati dall'azione reiterata compiuta dall'artista, che fa scorrere via la sostanza in eccesso, rinunziando al pennello ed ottenendo una schermatura accuratamente pulita in superficie, insieme a un accumulo scultoreo ai margini del supporto. Ciò implica, di conseguenza, uno sforzo visivo da parte dell'osservatore, che si traduce in un'attenzione ai dettagli superiore a quanto richiesto, di norma, per le opere concettuali. Esiziale, a questo punto, lasciare spazio alle parole dell'artista che così spiega il suo lavoro e la sua visione dell'arte: "Il mio lavoro", spiega Vincenzo Schillaci, "può essere definito come una riflessione globale sulle componenti linguistiche della pittura come materia prima, anche quando le opere non implicano direttamente il mezzo pittorico. Quel che m'interessa, è lavorare con una vasta gamma di supporti, fondendo allusioni alla storia dell'arte moderna e contemporanea con risvolti sociologici. Mi piace", prosegue l'artista, "indicare il mio lavoro come prodotto di 'post umanismo', un termine che descrive, in generale, una società che, con il progresso tecnologico, si sta evolvendo al di là di alcune categorie 'fisse' dell'essere - per esempio il tempo - o classificazioni predeterminate come, per esempio: animali/uomini. La mia pratica si basa su una combinazione di ricerca filosofica del materiale e le relazioni tra immaterialità e pervasività delle immagini: ciò mi permette d'estendere la comprensione del mio campo semantico. Quadri che vivono formalmente dentro l'ambito dell'astrazione, ma che sono anche frutto di un'esperienza sensibile. Strato scherma strato", aggiunge, "lasciando segni dello strato sottostante. Nei miei lavori si consuma una guerra in cui ogni aggiunta è un muro che fronteggia chi lo guarda e lo spinge a chiedersi cosa nasconde: una curiosità che diventa desiderio e spinge a superare un confine invalicabile che si rivela, nella sua aggiunta materica, proprio ai margini della cornice, con gli strati che, come gradini", conclude Schillaci, "introducono l'osservatore nel quadro". Nell'autunno del 1976, sei artisti italiani formarono a Trento il gruppo di 'Astrazione oggettiva', di cui faceva parte anche Gianni Pellegrini. Le loro ricerche erano accomunate da un preciso interesse per quegli elementi sia teorici, sia formali che definirono, nei primi anni settanta, in ambito italiano e internazionale, un processo di ridefinizione e ripensamento della pittura astratta. Pellegrini si trovò dunque a partecipare a un evento culturale attraversato da un dibattito informato e consapevole, di ampio respiro. Da un primo approccio, giuocato sull'interferenza tra linee e superficie, in cui segni orizzontali e verticali, leggermente devianti dalla retta, attraversano il 'campo monocromo' del dipinto, egli si avviò negli anni '90 sel secolo scorso, verso un sostanziale recupero della sua relazione col colore, inteso non più come oggetto di riflessione e contemplazione, bensì come elemento in grado di catalizzare a sé la materia. Il suo lavoro, più rigoroso, degli anni '70 è stato documentato da un cospicuo numero di opere presso la 'Estorik Collection of Modern  Italian Art' di Londra nel 2016 e al 'Museum Haus Ludwig' di Saarlouis (Germania) nel 2015. Un simile promettente esordio lascia ben sperare per i successivi appuntamenti che, in ogni caso, testimoniano un nuovo fermento nel mondo dell'arte, proteso verso conquiste di territori inesplorati e l'affermarsi di una nascente sensibilità che ci si auspicava da tempo e che merita un sentito plauso.


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