Carla De LeoPacifica Artuso ha portato in scena, proprio in questi giorni, presso il Teatro Porta Portese in Roma, un monologo dal titolo: 'Voci di donne. Note di Verdi', da lei scritto e interpretato, per la regia di Daniele Scattina. Sul palcoscenico, un misterioso personaggio femminile racconta il mondo del teatro: una cantante lirica che, all'improvviso, perde la voce. Siamo nella seconda metà del secolo XIX e la donna in questione è Giuseppina Strepponi, seconda moglie di Giuseppe Verdi, che riavvolge i fili di una lunga storia, dal loro primo incontro fino agli ultimi anni, svelando aspetti privati del Maestro e la genesi di alcuni dei suoi capolavori. A cominciare dal 'Nabuccodonosor', rappresentato per la prima volta al Teatro alla Scala nel 1842, in cui lei cantò nella parte di Abigaille. Il racconto della vita di Verdi prosegue con Teresa Stolz, altra notevole interprete di alcune delle sue opere più famose, come il 'Don Carlos', 'La forza del destino', 'Un ballo in maschera' e 'Aida', rivelando la sua verità di 'musa ispiratrice', amica e confidente, ma anche l'amore per l'artista e la sua solitudine dopo la morte di Verdi, avvenuta nel 1901. Quella con la soprano Teresa Stolz fu solo una grande amicizia o qualcosa di più? Sulla presunta relazione amorosa tra Giuseppe Verdi e la soprano Stolz sono stati scritti fiumi di inchiostro, ma a tutt'oggi gli storici non forniscono alcuna conferma: fu la sua amante o solo un'amica particolare? Ognuno viene lasciato libero di credere ciò che preferisce. Quel che è certo è che la Stolz frequentava la casa dove il Maestro abitava con Giuseppina Strepponi, della quale fu anche amica. Su questa romantica vicenda di fine XIX secolo è stato pubblicato, nel 2011, un volume a cura di Franco Donatini, dal titolo 'Giuseppe Verdi e Teresa Stolz: un legame oltre la musica' (Mauro Pagliai Editore). Inoltre, nel 2013, il regista Michele Placido ha messo in scena un eccellente spettacolo teatrale. In 'Voci di donne. Note di Verdi', le due protagoniste della vita del musicista sono interpretate da Pacifica Artuso. Lo spettatore può distinguerle grazie a un 'gioco di luci' realizzato da Aliberto Sagretti. Ad affiancarla sul palco, la coreografa e danzatrice, Giusy Pizzimenti. "Questo spettacolo è un omaggio all'opera, ai cantanti, al mondo dello spettacolo", spiega l'autrice e interprete dell'opera. Ma anche un richiamo evidente alla condizione femminile di ieri e di oggi nella società italiana di fine ottocento, aggiungiamo noi. Per questo motivo, abbiamo voluto incontrare Pacifica Artuso a margine della propria perfomance, presso l'accogliente teatro romano di Porta Portese.

Pacifica Artuso, perché ha voluto dedicare un lavoro così importante alle donne di Giuseppe Verdi: Giuseppina Strepponi e Teresa Stolz? E' il punto di vista delle donne all'interno di un triangolo amoroso in stile 'ottocentesco'?
"Innanzitutto, era un'occasione per divulgare quel grande patrimonio italiano che è il melodramma, cercando di arrivare anche ai non addetti ai lavori. Per conquistare ogni tipo di spettatore, ho raccontato il Verdi 'privato' al di là del mito, del monumento, del 'Diopatriaefamiglia' che viene associato alle sue opere. Ci tengo a specificare che di Giuseppe Verdi si parla, ma solo attraverso le voci femminili. Ho cercato di dar voce a una donna sposata con un genio immortale, Giuseppina Strepponi; e a una 'musa' ispiratrice, Teresa Stolz, cantante famosa di allora che fu probabilmente la sua amante. Ma dal testo emerge che, nonostante il riserbo di Verdi, che difendeva come una tigre la sua vita privata, le 'muse' e le 'amanti' furono molte di più. Tra l'altro, sull'altare della Storia, le mogli dei grandi uomini sono sempre state sacrificabili. E hanno accettato la loro condizione: a quale costo? A prezzo di quali le inquietudini, gelosie e depressioni"?

Come si attualizza questo suo lavoro, oltre che in una chiave di ricostruzione storica? Cosa possiamo vederci di utile o di prezioso per i giorni nostri?
"Non posso non parlare del romanzo 'Gli artisti da teatro' di Antonio Ghislanzoni, librettista dell'Aida, ex cantante divenuto scrittore e giornalista. Ero una studentessa universitaria, quando mi capitò tra le mani in biblioteca: è uno spaccato della vita dei cantanti lirici nell'ottocento, ma anche degli attori. Lui, ex cantante che aveva perduto la voce e subìto i fischi del pubblico, è stato un ottimo punto di partenza per raccontare la perdita della voce della Strepponi, fischiata anche lei da un pubblico che considerava l'opera lirica con il fanatismo e l'entusiasmo che, oggi, viene dedicato al calcio: una centralità sociale assoluta. Infatti, nel testo di questo mio lavoro, la Strepponi racconta splendori e miserie del mondo dello spettacolo, il cinismo e un 'sottobosco' fatto di loschi agenti "che ti chiedono di vendere il corpo a ricchi signori". E le cadute: quando il successo non arriva si vivono terribili disinganni, il vizio, la miseria e la solitudine assoluta. La 'razza scomunicata' degli artisti di teatro ha regole tutte sue, una morale propria, una religione fatta di superstizioni: ("costume, indole, abitudini singolarissime"). La ricerca del successo a tutti i costi e i relativi compromessi per raggiungerlo sono meccanismi sempre attuali. Ma anche la dignità e la passione di chi fa teatro o il musicista, visto sempre con un po' di sospetto dal resto del mondo quasi non svolgesse, appunto, un lavoro come gli altri".

Nella sua rappresentazione emerge un Giuseppe Verdi quasi 'wagneriano', dotato di uno spirito energico, da contadino emiliano: è così?
"La scelta anticonvenzionale e coraggiosa, per la metà dell'ottocento, di andare a convivere con una donna per anni, prima del matrimonio, suscitò clamore. La risposta all'ex suocero Barezzi, tramite una lettera che leggo in scena, è la prova del suo carattere: non ammette che gli altri possano dirgli come vivere. E chiede rispetto per questa donna, che tra l'altro era straordinariamente colta, parlava molte lingue ed era la sua principale collaboratrice. La Strepponi racconta come gli abitanti di Busseto la evitassero persino in chiesa, come fosse un'appestata".  

Quanto siamo lontani, oggi, dalla seconda metà dell'ottocento, soprattutto nel rapporto con l'universo femminile? La società italiana ha mosso dei passi concreti nel superare la penalizzazione delle donne?
"Le insidie maschili hanno schiacciato e schiacciano la donna ieri come oggi. La società è andata avanti, certo: oggi, la convivenza è la regola. Ma le donne sono ancora le vittime, nonostante l'emancipazione e la consapevolezza del loro ruolo nel mondo. "Quanto è difficile essere una donna nel mio tempo. Quanti ne ho conosciuti come Germont padre, pronti a spezzare l'animo di una donna nel nome dell'onore, in nome di un Dio a cui credono di essere vicini". Quando declamo queste parole, sul palcoscenico, penso al femminicidio. E a tutte le donne del mondo umiliate e struprate. Questo spettacolo è dedicato alla forza e alla bellezza del mondo femminile, ma è anche e soprattutto un omaggio alla voce parlata e cantata, strumento di seduzione, poiché la voce delle donne è come il canto delle sirene. E' anche una riflessione su cosa significhi essere cantanti lirici, sul suonare uno strumento invisibile, sulla figura della cantante e dell'attrice nell'ottocento, che per l'ipocrisia borghese dell'epoca era una sorta di prostituta. Invece, esse furono le prime 'dive', che anticiparono il divismo del cinema con l'aura erotica di chi offre il proprio corpo agli sguardi dello spettatore. Mi chiedo se, ancora oggi, questo mestiere non sia considerato come una velata forma di prostituzione...".

Può dirci qualcosa in più sul suo percorso personale e professionale? Com'è diventata attrice? E quali progetti ha in serbo per il prossimo futuro?

"Ho studiato canto lirico, recitazione e Lettere all'Università.  Mi piace portare nel teatro le mie passioni, il mio percorso professionale, i miei studi. Molti dicono che quando scrivo sono anche troppo chiara, che seguo sempre una logica, quasi didattica. Questo perché sono un'insegnante, una docente di Arte scenica in Conservatorio: amo questo lavoro e i cantanti lirici, creature speciali da maneggiare con cura, quando si costruisce la regia di arie, duetti, pezzi d'insieme. L'opera lirica può salvarci dalla violenza, dall'ignoranza, dal vuoto dei sentimenti. Un ottimo strumento di educazione sentimentale per bambini e adolescenti, perché t'insegna a ridere e a piangere. Amo molto, ovviamente, anche il teatro e Pirandello: il senso profondo del lutto espresso in maniera così assoluta nella novella 'Colloquio con la madre' è affidato alle ultime parole della Stolz. Perché faccio l'attrice? Per un bisogno di comunicare, per condividere con gli altri il mio mondo e tutto quello che amo di più. Ma spero, in futuro, di tornare a recitare testi scritti da altri, non solo da me. E di poter affrontare anche commedie brillanti. Mi dicono tutti che, nella vita, risulto 'comica'. W che dovrei sfruttare queste mie corde. Infatti, come attrice ho iniziato facendo cabaret e teatro leggero. Far ridere è un gran dono: magari potessi. Dimenticavo: vicino a Verdi, Puccini, Callas e Pirandello, nella mia personale 'galleria' non può mancare anche Totò".


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