Valentina SpagnoloIl recente doloroso evento di Ponte Morandi, a Genova, ci ha posto nelle condizioni di tornare a riflettere sul tema delle responsabilità giuridiche e penali dello Stato, degli enti pubblici nazionali e locali, delle società e associazioni private. In campo giurisprudenziale, tutto ciò rientra in un ambito di discussione e ricerca definito: responsabilità penale degli enti. Si tratta di un campo di riflessioni in cui, oltre a comparare i diversi ordinamenti giuridici vigenti nelle distinte nazioni ed entità sovranazionali, si cerca anche di stabilire dei 'punti cardine' di orientamento e di omogeneizzazione del diritto in merito alla responsabilità personale di chi, all'interno di un ente pubblico o di una società privata, ricopre un determinato ruolo. E fino a che punto, invece, sia determinabile una responsabilità più generale dell'ente medesimo. Infatti, sotto il profilo dottrinario ed evolutivo dell'attività collettiva, s'insinua, oggi, un chiaro indirizzo d'inquadramento della materia 'responsabilità dell'ente', emergendo il suo ruolo predominante sia nel riconoscimento della sua punibilità nella fattispecie di reato, sia nell'analisi del ruolo rivestito all'interno della compagine sociale. In tale ottica, l'integrazione, l'organizzazione e la globalizzazione dei sistemi economici è l'augurio prospettato all'interno di tale processo, in continua evoluzione. Di conseguenza, si concepisce tale campo come luogo di esercizio per una funzione promotrice della Comunità internazionale. Per effetto delle dilatazioni del fenomeno della criminalità organizzata e della concomitante globalizzazione, abbiamo sviluppato alcuni lavori di riflessione in questione. Cominciamo innanzitutto col sottolineare che, con il termine 'Global Law', viene intesa la dimensione di ricerca, equilibrio e omogeneità fra i distinti ordinamenti. Il forte carattere interdisciplinare dei rpocessi diglobalizzazione in atto pone in essere un rapporto con la scienza economica, collocando tale ricerca in stretta collaborazione con quella degli economisti. Infatti, bisogna intendere la formazione del nuovo diritto, sia in nome dell'armonizzazione legislativa e dell'analisi integrata dei fenomeni giuridici, sia in una prospettiva economico-giuridica. Seguendo tale orientamento, analizziamo ora alcune interpretazioni applicate all'area dei Paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), innanzitutto precisando che si tratta di un'associazione che si riunisce periodicamente: può dunque esserci la possibilità di considerarla un 'unicum'? Lo spunto di riflessione e la domanda converge in tali soluzioni e risposte su quattro fondamentali elementi disfunzionali di natura economica: a) la divergenza di sviluppo: non sono recenti, ma già presenti e in fase di formazione dell'area stessa, grandi differenze (evidente il raffronto con la Cina in pieno sviluppo). Oltretutto, le divergenze crescono sempre più e non trovano alcun fenomeno di riduzione delle stesse; b) disuguaglianze interne di reddito e di settore (Russia, Brasile, Cina). Fortissimi sono gli squilibri, dal punto di vista territoriale e funzionale, nello sviluppo dei distinti Paesi. Circa 160 milioni di immigrati illegali e a bassa istruzione sono già forti indici di rilevante divergenza. Infatti, il conseguente abbassamento dei livelli salariali e la possibilità di competitività avvalorano il disagio. Inoltre, se come accaduto di recente intervenisse una crisi finanziaria, il fenomeno delle disuguaglianze risulta accentuato. Per quanto concerne le risorse finanziarie, uno sviluppo ambientale sostenibile si è attuato, per esempio, nel territorio cinese, che dopo due anni è riuscito a costituire uno sviluppo bancario autonomamente, ponendosi in forte concorrenza, per esempio, con l'India; c) movimenti di capitali finanziari: l'afflusso notevole del capitale, interrotto, porta a un effetto negativo per i Paesi che prima ne avevano beneficiato, assistendo a una svalutazione delle monete nazionali; d) la gestione e la proprietà dei diritti della conoscenza: cioè l'innovazione tecnologica e il connesso sviluppo dei diritti di proprietà delle innovazioni, applicate e attivate, sia nel pubblico, sia nel privato. Oltretutto, nel pubblico, la possibilità di una crescita diffusa e del libero accesso è sempre più in evoluzione e crescita. Infatti, negli Usa, l'accentramento dei diritti di proprietà sulle innovazioni ha portato a un'area totalmente riservata, delocalizzando ed estraniando i Paesi Brics dell'area occidentale.

Profili di diritto sostanziale
Un secondo importante passo su tale tracciato è rappresentato dalla riflessione sulla concezione ideale della giustizia globalizzata. La giustizia sociale è una ricerca del 'giusto'. Ma tale ricerca si muove, oggi, in un'ottica dimensionale 'post-moderna' di cittadinanza ed eguaglianza. E la cittadinanza si riferisce a un luogo tendenzialmente riconosciuto. Allora, lo Stato globale prevede l'essere cittadini? La possibilità di uno Stato globale realizzabile dipende soprattutto dall'economia e dalle sue istanze, oppure anche da ragioni giuridiche? L'orientamento rimane di matrice 'kantiana'? Sicuramente, la soccombenza dello Stato di diritto riconoscente le singole norme significherebbe anche l'esclusione dal diritto nella sua 'terzietà'. La libertà del dissenso e la resistenza a un ordine costituito, in cui lo status di giustizia verrebbe offuscato da un ordine di esigenze e di criteri di omogeneità dettati dai mercati finanziari globali e dall'economia stessa. Ma in termini di principio, il concetto di giustizia sociale contrasta fortemente con le scelte economiche. La stessa legislazione, sia nella differenza, sia nell'omogeneità delle norme, genera sempre contrasti. La centralizzazione dell'economia monetaria di scambio ha addirittura annullato la concezione temporale del diritto, che da sempre ha conferito certezza contrattuale (iconografia e demografia dei processi attuali). Il presente contingente, insomma, priva di un'esperienza di progettazione futura. E l'impossibilità di trovare alterità diviene il riflesso di un 'consumazionismo' immediato. Sembrerebbe, a prima vista, una dimensione pragmatica e dritta. Dunque, si assiste a un relativismo dei diritti dell'uomo? Cosa farne di tale concetto, in chiave di universalizzazione, senza passato e futuro? Innanzi a un degrado del diritto positivo e all'interno della Storia dell'umanità, non si può prescindere dalla ricerca del vero e del giusto. Già Kant rifletteva su tali argomenti concependo il mercato come sistema prevalente, che pone al diritto difficoltà reali e, apparentemente, insuperabili. La creazione di una dicotomia tra economia funzionale (accesso alle informazioni) e ipotesi di diritti umani (lavoro, bene comune, dignità umana) rischia di generare un'assenza di 'auctoritas' e di porre in essere un imperativo di delocalizzazione. Ecco allora sorgere un altro quesito: le leggi sono delle 'grundnormen' alle quali aderire in risposta ad altri fenomeni? Il parlamento e i tribunali sono i luoghi immanenti di produzione e applicazione del diritto. La 'Grundnorm' dev'essere assoggettata al diritto. Ma ciò contrasta con il fatto che esso possa essere sostituito da algoritmi (depurazione dei giuristi). Il diritto, alla stregua della finanza, diverrebbe un campo elitario, alimentante un'opacità che solo il 'tecnico delle norme' può risolvere. Dunque, tale distinzione creatasi diviene inutile, poiché richiederebbe sempre un 'tecnicismo' diretto dal giurista. Lo strumento penale subisce una conformazione rispetto al suo usuale impiego nell'applicazione dell'economia globalizzata. E il collegamento causale-naturalistico è strettamente legato all'interdipendenza di scambio culturale ed economico, che ne giustifica l'esistenza del nesso. Dunque, sorge l'ultimo quesito: questo processo evolutivo richiede uno spazio maggiore rispetto a una responsabilità collettiva? E la stessa imputazione è diretta dal reato all'ente e non a una persona fisica?

Rilievi penalistici
In tale contesto, sono maturati  i cambiamenti dei parametri penalistici: innanzitutto, il principio normativo d'imputazione e quello causale-naturalistico come paradigma normativo. Ossia, l'ascrizione di un evento. Esistono diverse ipotesi, in cui la giurisprudenza tende a sostituire il paradigma normativo dell'imputazione.

Un esempio
Poniamo un primo esempio: rilevanza della responsabilità per il ruolo ricoperto dall'amministratore di diritto nel reato di 'bancarotta'. Bisogna intendere l'imputazione di responsabilità penale di quest'ultimo, nonostante sia un 'prestanome' in semplice accettazione della carica (la cosiddetta 'culpa in vigilando')? Ora, intendere la globalizzazione è accettare il collegamento tra i vari Paesi nei vari settori, la tutela del regolare andamento del mercato (prezzi e società quotate), la diffusione delle notizie false, gli artifizi e l'incidente sulla determinazione del prezzo delle quote societarie. Quindi, una condotta tipica, quale la manipolazione informativa, in tali parametri evolutivi viene definita dalla stessa giurisprudenza come reato di alterazione, di mera condotta. Tale meccanismo dell'ascrizione causale si palesa mediante la sostituzione del paradigma dell'imputazione normativa. Quindi, tali esempi spingono la giurisprudenza a sostituire i principi naturalistici con quelli normativi dell'imputazione. E la possibile omogeneizzazione del diritto? Non sarebbe preferibile un modello di reato che individui la  responsabilità di un agente all'interno dell'ente? In sostanza, ci troviamo di fronte a una responsabilità di 'fatto altrui', ossia a una responsabilità diretta dell'ente, in cui la persona giuridica ha caratteristiche diverse da quella fisica? Pertanto, interviene la disciplina relativa alla personalità giuridica, quindi all'imputazione senza indicizzazione della persona, alla prescrizione dell'ente anche se prescritto nel reato presupposto, alla costruzione di un illecito penale dell'ente e non di mera agevolazione alla commissione del reato da parte della persona fisica. Quindi, viene concepito un modello di illecito in chiave positiva, coerente con l'organizzazione e la realtà concepita, in nome dell'ascrizione normativa.

Profili di diritto comparato
Sotto la luce di una comparazione dei vari sistemi proponibili, in disanima si pone un confronto di tradizione storico-culturale in ordine alla responsabilità degli enti, sotto l'egida dell'economia aperta e globalizzata. I Paesi di matrice anglosassone, quali l'India e il Sud Africa, per citarli in esempio, rappresentano una diretta conseguenza dell'applicazione alla 'persona' del codice penale, sia come persona fisica, sia giuridica. Dal punto di vista dell'elaborazione, ha un ruolo propulsivo proprio la giurisprudenza, la quale applica dei limiti ben precisi alll'estensione della responsabilità da reato, soprattutto alla mirata individuazione dell'elemento psicologico soggettivo e oggettivo. Invece, per quanto riguarda l'individuazione della pena, è chiaro il punto di partenza - e costante dell'ordinamento anglosassone - del principio non accolto della reclusione come sanzione. La responsabilizzazione dell'ente e la previsione congiunta nei reati della pena pecuniaria è quella reclusiva. La giurisprudenza, in tale riguardi, è contrastante. Per cui si è deciso che l'impunità dell'ente non dev'essere esclusa. E nei casi di ambivalenza, si applica comunque la sanzione pecuniaria. In Sud Africa è presente un'elaborazione vicina a quella anglosassone, per cui l'imputazione sulla responsabilità vicariale viene diretta all'ente. Il ruolo propulsivo della dottrina sulla responsabilizzazione punta verso: a) l'identificazione dei ruoli decisionali; b) il criterio dell'interesse e il vantaggio. In tale Paese, il Sud Africa, non è sufficiente che il reato venga commesso all'interno dell'attività professionale per lo scopo dello stesso, ma può essere una condotta fuori attenzione, per realizzare uno scopo mirato agli interessi degli enti medesimi. Quindi, tale concezione impone un principio di 'attribuzione di responsabilità', da molti giudicato rischioso ed espansivo. Quando vengono applicate le sanzioni, esse possono essere tali da pregiudicarne la chiusura. E il dato oggettivo serve a conferire maggior concretezza.

Sintetica disanima dei Paesi del Brics
Il Brasile conserva le riserve di una matrice culturale diversa, prevedendo la responsabilità penale degli enti solo per i reati ambientali.

Responsabilizzazione dell'impresa
Sempre in Brasile, una legge del 2013 ha inserito la 'responsabilizzazione dell'impresa' come utilizzo di programmi mirati all'integrità. Al momento, ancora non è chiaro quale sarà il ruolo dei modelli organizzativi e l'effetto-beneficio per l'impresa, dunque se la legislazione mitigherà o meno tale disposizione verso la responsabilità degli enti.

Tentata applicazione della 'immedesimazione organica'
In Russia, l'economia di Stato e dirigista di derivazone sovietica è ormai volta alla piena e completa apertura. Non si ammette responsabilità penale dell'ente, riferita, tuttavia, esclusivamente all'illecito amministrativo. La peculiarità dell'ordinamento russo risiede nel principio di personalità e colpevolezza. La responsabilità amministrativa è prevista per tutti gli enti collettivi, sia per la condotta attiva, sia per quella omissiva (non occorre una specifica rispondenza al requisito della persona giuridica oppure fisica). In Cina si è ormai innanzi a un'economia di mercato, anche se diretta dall'alto. Soltanto tale Paese è associato anche ai Tcs, grazie alla sua floridità. Significativa la differenza con l'ordinamento russo: con l'accezione di 'corporate crime', s'intende il riconoscimento del diritto di proprietà privata, con ampio spazio alla spinta economica tramite l'operato delle imprese sottese. Abbiamo già un primo riferimento al 1987, in tema di legge doganale in materia di contrabbando (esempio di prima riconduzione della legge penale verso un riconoscimento di responsabilità dell'ente). Tale input normativo si è poi conclamato nel 1997 negli articoli 30 e 31 del codice penale cinese. Trattasi di una 'section codicistica', che differisce le 'Units' quali enti di diritto privato e pubblico e le persone fisiche e giuridiche (organi dello Stato). L'articolo 30 definisce i criteri d'imputazione all'ente, in quanto reato dannoso dell'ente medesimo. Ricollegabile al 'principio di offensività' sono attualmente 150 le fattispecie di reato esistenti - per la maggior parte contenute in tali titoli all'interno di un ordine socialista di mercato - e contro la Pubblica Amministrazione (per esempio, l'articolo 137 tratta, nello specifico, il reato di disastro). Il codice penale cinese riconduce la soluzione dell'attribuzione della responsabilità alla persona fisica (articolo 31), soprattutto verso tutte quelle persone che ricoprono una determinata carica all'interno dell'ente (efficacia delle sentenza della Suprema corte 'interpretatis erga omnes'). L'applicazione dei criteri di collegamento della immedesimazione organica riportano a Li Hong, patriarca della corrente dottrinale che evita una risposta esclusiva per la responsabilità oggettiva dell'ente (diritto ambientale e ascrizione soggettiva). Sussiste, in ogni caso, solo la funzione pecuniaria. E, in sede amministrativa, quella interdittiva. In tale prospettiva non sono mancati problemi di effettività della sanzione. Quindi, alla luce dell'evoluzione degli scambi commerciali, dello sviluppo emergente, della costituzione delle società satellite centralizzate a livello transfrontaliero, operanti anche nell'Unione europea, si sono sollevate, negli ultimi decenni, delle questioni rilevanti e di preponderante e puntuale richiesta normativa, per regolare lo svolgimento delle transazioni commerciali in libera concorrenza all'interno del sistema di mercato. Proprio in tale contesto, le problematiche attinenti allo sviluppo della criminalità organizzata e l'estrinsecazione delle varie fattispecie correlate alla truffa, grazie anche alla formazione di un associazionismo dilaniante, hanno posto importanti quesiti ai giuristi di livello teorico-sostanziale. Dunque, si è mossa una spinta propulsiva alla riformulazione internazionale della normativa connessa alla responsabilità degli illeciti, in funzione anche del ruolo rivestito dal soggetto-agente all'interno delle società, oppure nelle anzidette associazioni. Talvolta, queste ultime, in totale indipendenza, o apparendo tali, risultano favorite da un uso sconsiderato della 'fictio iuris', riconducibile alla portata materiale concorsuale delle azioni poste in essere. Il profilo maggiormente interessante della questione si focalizza nella diversità di approccio metodologico affrontato dai vari Governi, rispetto alla considerazione dell'illecito attribuibile all'ente. E la stessa condizione di valutazione nell'alea di valutazione del reato penale. La considerazione anzidetta è oggi da applicare all'analisi dei Paesi Brics, ossia alle nuove economie di scala poggianti su uno sviluppo imprenditoriale e commerciale strettamente connesso alle politiche interne dei rispettivi Paesi, oltreché alla matrice culturale e giuridica degli stessi. E' così che, in tale analisi, si stabilisce, nell'ottica comparativa, una connessione fortemente interdisciplinare, al fine di individuare un nucleo paradigmatico di 'unica accezione', volta a rintracciare gli elementi basilari e costitutivi delle condotte illecite, riferite a ogni determinata 'branca' di applicazione, estesa a livello internazionale.

La certezza delle norme
Una riflessione sul mondo globalizzato porta l'attenzione del giurista, automaticamente, a rilevare l'importanza dei cambiamenti e, soprattutto, i rischi connessi alla trasformazione dei principi e dei concetti a fondamento della teoria classica del diritto, su cui poggia il nostro sistema. Le principali preoccupazioni sono quelle relative alla caduta di certezza delle norme connesse in una dimensione globalizzata, dunque indeterminata, in quanto non sempre applicabile 'erga omnes'. Per meglio comprendere la reale applicabilità di una disposizione normativa, intesa all'interno di un panorama internazionale globalizzato, certamente si eluderebbero i connotati primordiali connessi alla natura giuridica delle norme, disorientando la scelta attuabile per rispondere alle richieste sociali dettate da un'identità propria di quel singolo sistema di diritto. Determinatezza e certezza della norma, dunque, verrebbero spogliate del loro significato primo, legato ai concetti teorici più classici del diritto, di matrice 'romanico-germanica'. L'instaurarsi di un interscambio di realtà su un piano normativo-diciplinare, applicato al mondo delle grandi multinazionali operanti sul mercato, rivelano il rischio di un gran 'caos normativo'. O, meglio, di un'accentuata difformità tra i vari ordinamenti giuridici, non connaturati a una radice comune, sia culturale, sia identitaria. Quindi, proprio la ricerca di una risposta alle disposizioni normative applicabili e relativamente a una rintracciabile responsabilità da reato, non trova una soluzione pragmatica ai fini della certezza della norma e del contenuto stesso. Una difficoltà che possiede una portata dirompente sia sul piano penalistico, sia sanzionatorio. Precipuamente, il valore sanzionatorio delle norme e le conseguenze connesse ai possibili e rinviabili giudizi alle stesse, riconducono una pericolosa 'flessibilità', mossa per la rivisitazione di un unico modello di riferimento normativo, sotteso alla visione globalizzata della realtà economico-produttiva. Non si può parlare di mondo globalizzato, di evoluzione e progresso se, al contempo, tale processo vuol dire coinvolgere sostanzialmente i valori cardini di ogni società o stravolgere gli stessi, riducendone l'impianto sul quale si fondano e conferendo, altresì, mera inconsistenza e indeterminatezza sia alla destinazione, sia all'applicazione della norma. Per ritornare all'introduzione del fenomeno della 'criminalità economica', passiamo ora in disamina quelle che sono le misure di contrasto a essa, non più di carattere individuale, ma ricondotte nella Ue agli enti quali società e  associazioni, 'con' o anche 'senza' personalità giuridica. Peculiare è la circostanza che tale fenomeno non investa soltanto imprese illecite, che avevano come obiettivo il perseguimento di uno scopo criminale, ma anche organizzazioni e istituzioni dotate di un fine in sé lecito, ma comunque perpetrato mediante politiche interne inclini ad attività da cui scaturivano lesioni agli interessi patrimoniali pubblici, la truffa finanziaria e, soprattutto, la corruzione. Proprio la conformazione di tali enti e le modalità di estrinsecazione del proprio operato all'interno della 'macchina burocratica' ha dilatato la difficoltà nell'individuazione e identificazione di un unico responsabile per le intere operazioni criminose, evadendo così una precisa e determinata accezione della fattispecie. Pertanto, risulta ancor più avvalorato il carattere d'incertezza nel contestualizzare, per tempo e per luogo, il reato stesso. Dunque, il nostro invito al legislatore comunitario, nonostante le difficoltà insite nella natura stessa del reato in questione rapportato alle singole realtà nazionali, è quello di muoversi verso la produzione di strumenti legislativi tesi a perseguire le distorsioni operate sui mercati anche dalle società o dagli eventuali enti coinvolti. Ovvero, di cominciare a combattere alcuni reati di matrice economica. Ha esordito in Italia, con l'approvazione della Legge-delega n. 300 del 2000, un primo 'impulso-cardine' di regolamentazione della disciplina. Tale normativa ha rappresentato un forte cambiamento d'indirizzo all'interno del nostro impianto normativo. Infatti, mediante l'accettazione dell'istituto della responsabilità penale degli enti, si è attuata una deroga al sommo principio costituzionale dell'articolo 27 della Costituzione, per cui 'societas delinquere non potest'. Precipuamente, al fine di dare attuazione al disposto della Legge-delega n. 300 del 2000 era stato promulgato il Decreto legislativo n. 231 del 2001, che individuava la responsabilità amministrativa dell'ente, anche se limitatamente ai reati commessi dai propri dirigenti, amministratori o dipendenti in favore e a beneficio dell'ente medesimo, dunque imputando le azioni criminose alla singola persona operante e non all'intero apparato. Il decreto anzidetto ha individuato le responsabilità amministrative degli enti in relazione ai reati commessi dai loro dipendenti, dai loro amministratori o dai loro dirigenti a favore degli enti stessi. Si tratta di fattispecie interessanti, che hanno lo scopo di bloccare sul nascere la diffusione di una percezione negativa degli enti collettivi, pubblici o privati essi siano. Lo scopo è quello d'investire gli operatori economici di una specie di 'ruolo di garanzia', con l'obiettivo di evitare qualunque tipo di reato nell'ambito dell'esercizio d'impresa. In seguito all'introduzione del Decreto n. 231 dell'8 giugno del 2001, è stata introdotta anche la Legge n. 366 del 2001: la cosiddetta Legge-delega di riforma del diritto societario, che ha ampliato la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti anche nell'ambito dei reati societari. Una parte dei dispositivi che sono stati adottati dal Decreto n. 231 hanno una provenienza culturale, dottrinaria e di principio anglo-americana: derivano, infatti, dai 'Compliance Company Programs', che non sono altro che dei prototipi organizzativi con il fine di uniformare i comportamenti dei singoli e di mettere in atto dei sistemi di controllo interno, facendo sì che la correttezza e la liceità dell'esercizio dell'impresa vengano salvaguardate. Pertanto, il nostro sistema, a partire dal 2001, ha voluto investire gli operatori economici di una sorta di 'funzione di garanzia', sensibilizzando gli stessi a prevenire qualsiasi crimine economico all'interno dell'esercizio dell'impresa. Il legislatore ha così infranto quella sorta di 'estraneità' mediante la quale la percezione del reato economico era ridotta a evento isolato, lontano dalla sfera di interesse dell'ente stesso. La dilatazione della responsabilità del singolo ha indirettamente investito e inglobato l'intero ente, sopperendo in tal guisa a una maggiore garanzia per lo stesso.

Giurisprudenza
La stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20060 del 2013, ha accolto il ricorso della Procura di Milano su un caso di responsabilità amministrativa societaria, affermando che "l'illecito amministrativo dell'ente ha carattere autonomo e può quindi sussistere, anche in mancanza di una concreta condanna del sottoposto o della figura apicale societaria". Premesso che il giudice della Corte d'appello di Milano non aveva condannato la società, poiché al termine del processo penale il soggetto che aveva agito per conto della società stessa, contro il quale era stato ascritto il reato presupposto, era stato assolto "per non aver commesso il fatto". Come si legge direttamente nella norma, all'articolo 8, è stata stabilita la sussistenza della responsabilità dell'ente "anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile". Oltretutto, la società è responsabile anche quando il reato è stato commesso da 'ignoti' o, come nel caso in esame, quando il soggetto è stato assolto e non risulta più imputabile. Infatti, basandosi su un'interpretazione letterale dell'articolo 8 del decreto, la Corte ha ritenuto che "la violazione di legge sussista e sia configurabile nell'avere il tribunale ritenuto automaticamente esclusa la responsabilità amministrativa dell'ente, in conseguenza dell'assoluzione del suo funzionario". La finalità di tale sentenza appare evidente: come la stessa Cassazione aveva già avuto modo di dichiarare in una precedente sentenza in materia, la n. 26654 del 27 marzo 2008, "il sistema sanzionatorio proposto dal Decreto legislativo n. 231 del 2001 opera certamente sul piano della deterrenza e persegue una massiccia finalità special-preventiva". Insomma, da tutto ciò possiamo dedurre che il divario tra persone fisiche e persone giuridiche si sta progressivamente riducendo. E, con esso, la possibilità di utilizzare lo strumento societario come 'schermo' per evitare che la macchina della giustizia possa imporre sanzioni, in caso di palesi violazioni della legge.

Conlusioni
L'importanza di tale riflessione è globalmente orientata a porre in evidenza la rilevanza degli enti come strutture anch'esse tenute a comportamenti e politiche di responsabilità e di garanzia all'interno della compagine sociale. La stessa normativa disciplinante i relativi casi di fattispecie criminose, pone un severo controllo sull'operato degli enti che, di riflesso, appaga le richieste di maggiore coerenza e di rispetto dei canoni sociali, che non possono continuare a degenerare nell'inefficienza più irresponsabile o nell'ingiustizia più arbitraria. L'indirizzamento delle società, delle associazioni e di tutti gli altri tipi di enti sotto l'egido controllo di un impianto normativo standardizzante ha lo scopo di garantire una maggiore giustizia sociale e un controllo più puntuale del tasso di criminalità insito nell'esercizio delle attività d'impresa, così come in quello della funzione pubblica. E' dunque in tale ottica che si posiziona la funzione sociale delle norme. E cioè in quanto tutela del singolo nella collettività, legata al fondamentale principio di certezza e determinatezza della norma, a fini di comportamenti di esclusiva e non soltanto formale legalità, ponendo finalmente un limite al dilagare delle più inette consuetudini e dei più iniqui comportamenti di non responsabilità.


Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio