Vittorio LussanaLe continue 'giravolte' del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ormai si commentano da sole. Non si tratta di un atteggiamento 'preconcetto', da parte nostra: siamo pienamente coscienti del peso e dell'importanza che la Russia di Vladimir Putin ha saputo conquistarsi in questi anni. Tuttavia, non si può neanche affermare che il leader russo sia un personaggio che non ami ricorrere alle 'forzature', come avvenuto, per esempio, con l'invasione e relativa annessione della Crimea. Ogni tanto, il caro 'amico Putin' risolve alcuni problemi a modo suo. Esattamente come Donald Trump: probabilmente, è per questo motivo che i due si piacciono così tanto. Sia come sia, non è la Russia il vero 'pomo' della discordia: dopo neanche 5 minuti di Quebec, anche il nostro nuovo premier, Giuseppe Conte, lo ha capito al volo. Il vero problema è il 'turbo-propagandismo' di un presidente americano preoccupato unicamente di mantenere il proprio consenso elettorale. Decidere di far 'saltare' la già complessa costruzione di una nota congiunta con un 'tweet', inviato dall'Air Force One mentre era in volo verso Singapore, in realtà denota - questo sì - un pregiudizio nei confronti degli alleati europei. In buona sostanza, si è voluto evitare a tutti i costi un accordo che garantisse la stabilità dei mercati, poiché in realtà Donald Trump preferisce esattamente l'opposto: rendere il mondo instabile per motivi totalmente personali. Il 'casino' come coronamento di una 'visione' della politica, anche di quella internazionale, unicamente incentrata sulla ricerca ossessiva del consenso. Il presidente americano già da tempo aveva promesso l'innalzamento di dazi e tributi a protezione dei suoi 'amici' del settore dell'acciaio e dell'alluminio: egli non è affatto con le 'mani libere' come vorrebbe far credere. Il 'protezionismo' è un metodo da teorici dell'instabilità, oltreché illiberale: nel momento in cui un Paese decide di proteggere i propri mercati interni, finisce col giustificare il medesimo comportamento da parte di tutti gli altri. Ben presto, osserveremo cosa tutto ciò potrà comportare per gli Stati Uniti d'America. Infine, l'atteggiamento più sconcertante è l'evidente disgusto nei confronti delle questioni relative ai cambiamenti climatici. Un tema che gli americani continuano a sottovalutare pericolosamente, nella convinzione che si voglia impedire loro di continuare a sfruttare le risorse energetiche più inquinanti, come il carbone e il petrolio. Gli Usa vogliono essere liberi di 'strangolare' le economie altrui, come nel recente caso del Venezuela, piuttosto che scendere a 'patti' sulle nuove 'pipelines' provenienti dall'Asia centrale, o da quel 'Leviathan' di metano individuato sotto il mar Mediterraneo. Niente da fare: agli americani di passare al gas non gliene può 'fregare' di meno, anche se si tratta di una risorsa a basso tasso d'inquinamento per le nostre sempre più caotiche e 'bollenti' città. Ed ecco spiegato, altresì, il disinteresse verso tutte le tematiche di riconversione industriale, che dovrebbero essere considerate importantissime per chi afferma di voler proteggere, anche nel futuro, la propria produzione interna. Attenzione, però: qui non s'intende accusare gli Stati Uniti di voler inquinare il mondo secondo un'ottica di condanna moralista, o ideologico-culturale. Semplicemente, si sta cercando di avvertirli di quanto determinate scelte 'isolazioniste' siano poco lungimiranti, sotto il profilo dell'indirizzo macroeconomico complessivo. Quando il mondo sarà passato al metano per auto-trazione e al trasporto elettrico, proteggere la produzione interna con dazi e tributi risulterà una 'mossa' totalmente inutile, come quando si chiude una 'stalla' dopo che i 'buoi' son già fuggiti. E quando si deciderà di eliminarli, ci si accorgerà di aver perduto un 'treno' importantissimo, oltre all'essere costretti a 'svendere' a prezzi 'stracciati' la propria produzione industriale. Gli Usa rischiano di scontare un ritardo in settori produttivi destinati a diventare fondamentali nell'economia di domani. E non stiamo parlando di un 'domani' genericamente inteso, ma di una 'svolta' praticamente già avvenuta. Le scelte di Donald Trump stanno accelerando la fine dell'impero americano. E il suo noto slogan elettorale "America first", si trasformerà ben presto in un malinconico: "Bye bye, America". Un 'passaggio' che non porrà solamente il problema del difficile recupero di un 'bisonte' improvvisamente costretto a correre come una 'gazzella', ma anche quello di un mondo in cui il dominio delle potenze asiatiche, dell'India e della Cina in particolare, non vedrà presentarsi innanzi a loro alcun interlocutore di rilievo, nessuna potenza con funzioni di 'contrappeso'. E ciò è un male in economia, anche quando le cose vanno bene, perché il sistema di mercato è una funzione matematica - più precisamente un'equazione - basata su una ricerca di equilibro anche ai livelli più elevati e importanti. Se le economie asiatiche non troveranno un interlocutore con cui confrontarsi in termini di sviluppo, diritti civili e sociali, leale competitività globale, esse si vedranno costrette a rivolgersi altrove, al fine di riuscire a 'piazzare' i propri prodotti ad alto tasso di innovazione tecnologica. Ma, in fondo, cosa importa tutto questo, mister Donald Trump? Niente, non è vero? Quand'anche arrivasse quel giorno, lei non sarà più il presidente degli Stati Uniti. E magari vestirà i 'panni' del 'vecchio saggio', dispensatore di consigli sui social network e sulle piattaforme delle web-tv satellitari. Perché il reale obiettivo dell'attuale irrazionalismo politico, demagogico e astratto, è quello di trasformare la politica, anche quella internazionale, in un 'teatrino' di quart'ordine, con la complicità dei popoli e attraverso la loro manipolazione, al fine di 'scaricare' in avanti - e quel che è peggio sugli altri - le conseguenze dei propri errori.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)

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Leo Bacile - Gallipoli - Mail - domenica 17 giugno 2018 17.30
Sono d'accordo. Ma, attenzione: al peggio non c'è mai fine. Leo
Roberto - Roma - Mail - mercoledi 13 giugno 2018 13.5
Mi sembra una buona analisi. Certo, questa cosa di mettersi a inquinare perché lo fa' pure la Cina è le stessa convinzione di chi vuole gettarsi dall'ultimo piano perché lo ha visto fare da altri.
Alba - Fabrica di Roma (VT) - Mail - mercoledi 13 giugno 2018 8.29
I sogni non muoiono all'alba!


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