Lorenza MorelloDelle tante parole proferite dopo la sentenza sulla trattativa Stato-mafia, personalmente, stranisce e sconforta vedere un'ennesima riprova di quanto i personalismi e i particolarismi abbiano l'arroganza di voler prevalere rispetto a quel che dovrebbe essere l'interesse collettivo, quindi un bene superiore, nella lotta alla mafia e a favore della civiltà. Con molti amici palermitani, la maggior parte dei quali 'legulei', da anni ci confrontiamo sul tema in appassionate dissertazioni che durano ore. Ed è sempre molto interessante rilevare come il nostro comune 'cursus studiorum' trovi sempre sfumature diverse per motivo (che i motivi, si sa, sono irrilevanti per il diritto) - a detta loro - della diversa provenienza geografica e, quindi, in tal senso, culturale. Anche per questo, sono impaziente di leggere quelle che saranno le motivazioni di una sentenza che, già di per sé, è storica, poiché sancisce un nuovo caposaldo giuridico, ovvero: il principio di "sufficienza di veicolazione del messaggio mafioso da parte di una forza pubblica o politica tesa a far flettere la volontà dello Stato ai propri voleri" per essere condannati. E che chi lo ha commesso debba essere interdetto ad eterniis dai pubblici uffici. Io, questo, lo chiamo doveroso buon senso applicato al diritto. Lo 'stigma' di chi è riconosciuto colpevole deve essere preteso in uno Stato di diritto, per tornare a sancire quel confine netto tra 'cose buone' e 'cose cattive' che, per troppo tempo, è stato dimenticato, a causa di una società che ha spostato il rigore e la morale in una zona d'ombra. A discapito delle leggi e di chi in esse crede, concedendo o, quantomeno, 'permettendo' (quasi) tutto a tutti. O, almeno, troppo a molti. Tutte le altre polemiche lasciamole ai personalismi 'egoriferiti' di chi pensa di osservare il mondo guardandosi allo specchio, anziché aprendo una finestra.




Giurista d'impresa

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