Vittorio LussanaIn un Paese appena emerso dalla recessione economica, è facile scambiare per 'eccellenze' alcune semplici storie di normalità. Ecco perché, in questo primo numero del 2018 di 'Periodico italiano magazine', siamo andati a cercarle tra le imprese medio-piccole e fra quelle 'start-up' che si sono dimostrate capaci, in questi ultimi anni, di competere sui mercati internazionali per qualità produttiva e innovazione. Abbiamo voluto cioè focalizzare la nostra attenzione su quelle aziende che hanno saputo reagire alla crisi, oppure che sono riuscite ad ampliare e a rigenerare i mercati, confrontandosi con altre realtà sparse in tutto il mondo. Innanzitutto, abbiamo notato che una delle cause della nostra crisi di produttività deriva proprio da una mentalità 'nazionalista' e 'sovranista', la quale proprio non intende abbandonare un determinato 'campanilismo' imprenditoriale, spesso legato a settori scarsamente propensi alle innovazioni. In secondo luogo, cattive politiche di assistenza e una scarsa attenzione verso i consumatori hanno provocato conseguenze negative su alcuni comparti industriali, come per esempio quello delle automobili, costringendo molti grandi gruppi a concentrazioni e fusioni che permettessero ricapitalizzazioni e investimenti. Infine, rimane insuperata, in particolar modo in Italia, una certa idea del profitto che non proviene affatto dalla cultura calvinista e 'weberiana' dell'interesse privato che riesce a evolversi in quello collettivo dei consumatori - i quali vorrebbero comparare tra loro i vari prodotti, al fine di scegliere sulla base di un più efficace rapporto qualità/prezzo - bensì si preferisce rimanere legati a una concezione economica di 'quasi monopolio', in cui solo le aziende più grandi hanno influenza sui mercati, determinando i prezzi delle merci. Tali 'zavorre', che fanno esplicito riferimento a forme di capitalismo spesso ingannevoli, quando non 'estorsive' o da 'Far west', sono espressamente vietate da numerose direttive emanate dall'Unione europea in questi ultimi decenni. Ed è esattamente per questo motivo che essa viene indicata, da qualche tempo, come una struttura 'iperburocratica', da abbandonare immediatamente. Proprio addentrandoci alla ricerca delle 'nuove eccellenze', ci siamo accorti dei veri conservatorismi che stanno cercando di contrastare il processo di costruzione europea, giudicato negativamente da alcuni grandi gruppi d'interesse, non soltanto americani, i quali, fino a qualche anno fa erano liberi di 'soffocare' i mercati, ricorrendo ad alleanze e 'cartelli' che sostanzialmente impedivano l'entrata di nuovi soggetti in molti comparti produttivi. Da tali comportamenti deriva una forte, ma giustificata, diffidenza verso la ricerca privata, finalizzata quasi esclusivamente a difendere gli interessi dei 'colossi'. Ciò, a sua volta, determina la marginalizzazione della libera ricerca indipendente, che risultando scevra da ogni condizionamento, viene considerata potenzialmente in grado di destabilizzare e rimettere in discussione interi settori industriali e di mercato. Tutto questo produce una situazione di 'stallo', culturale e politico, ma anche e soprattutto economico, profondamente radicato nel nostro 'sistema-Paese'. Una 'impasse' che dovrebbe essere oggetto di maggior attenzione da parte delle forze di progresso, poiché si tratta di un vero e proprio 'macigno' posto sulla strada di un nuovo rapporto di fiducia tra interesse pubblico e quello privato. La dimostrazione di quanto stiamo denunciando la si può notare, per esempio, nel settore delle biotecnologie e della biogenetica, in cui si assiste a un grande fermento che nasce al di fuori delle grandi aziende e che potrebbe essere accompagnato da forti politiche di irrobustimento attraverso fondi specializzati, sia pubblici, sia privati. Una 'terza via' che, da altre parti, ha già preso piede da tempo, costituendo un esempio virtuoso di rilancio economico esportabile anche in 'tessuti' e situazioni molto differenti, permettendo altresì di aggregare competenze che possano non solo aiutarci nelle valutazioni qualitative della produzione, ma anche di aprire i mercati a nuovi soggetti e protagonisti. Le 'nuove eccellenze', insomma, potrebbero superare una vecchia concezione del capitalismo, paragonabile alla città di Las Vegas - ricca al proprio interno di attrazioni e divertimenti, ma interamente circondata dal deserto - al fine di ricondurci verso condizioni di concorrenza maggiormente 'leali', basate cioè sulla qualità effettiva dei prodotti e su politiche dei prezzi non ricattatorie, in grado di creare nuove 'zone abitabili' per molte giovani aziende e, al contempo, di assorbire la disoccupazione giovanile. E' esattamente questo il 'piano regolatore' a cui dovrebbero attenersi le forze cosiddette 'di sinistra', dotandosi di strumenti che favoriscano l'avvio delle svariate e molteplici iniziative, in particolar modo quelle legate agli ambiti dell'imprenditoria giovanile o di quella femminile, per fare in modo che esse siano poste nelle condizioni di riuscire ad attrarre nuovi investimenti lungo il percorso del loro sviluppo. E' dunque necessario un forte senso della competitività, che selezioni le 'eccellenze' ponendole in un contesto specifico, finalizzato a valorizzarle: una strategia di specializzazione della produzione e del lavoro che non sia rivolta solo a qualche singola iniziativa, bensì entri a far parte di un progetto di politica economica e industriale in grado di renderci più competitivi a livello globale. Una focalizzazione sovranazionale - e non semplicemente nazionale o locale, cioè basata unicamente su alcune 'eccellenze' specifiche - accompagnata dall'accettazione di forme di selettività dettate dai consumatori: dovrebbero esser queste le basi di una nuova 'agenda' per il futuro della cultura imprenditoriale italiana. Invece, è esattamente questo ciò che si cerca d'impedire, anche qui da noi, attraverso l'utilizzo delle forze 'sovraniste' e populiste, avvantaggiate dalla scarsa consapevolezza di alcuni ambienti della sinistra radicale, tutt'oggi ancorati a obsoleti schematismi statalisti che rischiano di 'fare il gioco' dei gruppi d'interesse più retrivi e conservatori.

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Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
(editoriale tratto dalla rivista 'Periodico italiano magazine' n. 35 - gennaio 2018)

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Roberto - Roma - Mail - martedi 23 gennaio 2018 18.43
In pratica, nelle discussioni di questi anni sulla "Brexit" hanno tutti scherzato, a cominciare dagli inglesi? Perché se le cose non stanno cosi' allora sono stati commessi degli errori molto gravi.
Sonia - Cagliari - Mail - lunedi 22 gennaio 2018 8.35
Un articolo molto interessante, complimenti.


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