Vittorio LussanaIn questi giorni, si sta tenendo a Parigi un'importante conferenza internazionale sul Medio Oriente, organizzata dalla Francia, alla presenza dei ministri degli Esteri di 26 Paesi e finalizzata a riunire una serie di proposte che possano, in futuro, far ripartire il processo di pace tra isreaeliani e palestinesi. Proprio di recente, abbiamo avuto modo di partecipare, presso l'Ambasciata palestinese in Italia, alla festa del 'Nakba': la ricorrenza della 'cacciata' del popolo palestinese dai territori stabiliti 'a tavolino' nel 1948 dalle potenze occidentali, per ricreare lo Stato d'Israele e porre fine alla millenaria diaspora degli ebrei in tutto il mondo. Una commemorazione trasformata in una festa da un popolo, quello palestinese, gioioso e pacifico, che attende con fiducia e speranza di poter vivere in pace all'interno di un proprio Stato, riconosciuto dai Paesi vicini e dall'intero consesso internazionale. Proprio durante la festa del 'Nakba' abbiamo avuto modo di scambiare alcune idee con il rappresentate delle comunità arabe in italia, Foad Aodi e con il docente di Storia contemporanea, Mario Canino. Vi proponiamo, dunque, il nostro resoconto 'testuale', accompagnato anche da un video caricato sul nostro canale 'Youtube', di questo approfondimento, teso a evidenziare come la questione 'israelo-palestinese' non solo non meriti affatto di finire in secondo piano, bensì rappresenti il vero 'nervo scoperto' per una pacificazione complessiva dell'intero 'teatro di crisi' mediorientale.  

Professor Aodi, qual è la situazione delle comunità arabe in Italia? Ci sono giudizi preventivi che gli arabi stanno subendo in un momento come questo, devastato, purtroppo, dal terrorismo fondamentalista?
"Sicuramente, noi siamo impegnati, sin dal primo giorno in cui è emerso questo terrorismo 'cieco', contro tutti e contro i musulmani stessi, poiché siamo proprio noi, arabi e musulmani, le prime vittime di questo terrorismo internazionale causato dal vuoto politico creato sin dall'inizio delle 'primavere araba'. Io mi sono visto impegnato sin dal primo giorno, con l'ambasciata francese e con quei Paesi che, purtroppo, hanno subito gravi attentati. Non possiamo nascondere, l'ho ribadito proprio pochi giorni fa durante la presentazione di un libro sul 'velo', alla presenza dell'ambasciatore della Lega Araba, dell'ambasciatrice palestinese e di tutti i presidenti delle comunità arabe presenti in Italia, che dobbiamo in realtà togliere il 'velo' che sta al confine dell'identità, della libertà e della sottomissione delle donne, ma dobbiamo anche togliere il 'velo' del pregiudizio e della paura, sia nei confronti degli arabi, sia dei musulmani. Una fobìa nata da una strumentalizzazione politica e da una cattiva informazione, che purtroppo caratterizza alcune televisioni e alcuni titoli di giornali, soprattutto quando si arriva a identificare i musulmani come dei "bastardi", senza prendere in considerazione l'effetto negativo di parole così 'pesanti'. Innanzitutto, l'islam ha condannato senza 'se' e senza 'ma', questi atti di terrorismo. La 'Co-mai', la nostra comunità di arabi in Italia, sin dal primo giorno si è impegnata con atti concreti. Io stesso ho messo la 'faccia', partecipando alle manifestazioni 'Not in my name' davanti a tutte le televisioni. Senza paura, perché noi dobbiamo fare ancora di più: dobbiamo far cadere il muro della paura tra le comunità arabe; dobbiamo, noi per primi, dire 'no' alle moschee 'fai da te'; 'no' agli imam 'fai da te'; 'no' alle moschee che nascono da un giorno all'altro come 'funghi' e non sappiamo da chi sono gestite. La nostra comunità araba in Italia, tramite la vostra testata prestigiosa, vuol ribadire la sua condanna contro ogni forma di terrorismo e la sua posizione 'laica', considerando che il 75% dei musulmani che risiedono in Italia sono 'laici'; che tanti nostri bambini frequentano le vostre scuole; che dopo i primi attentati a Parigi, le discriminazioni nei confronti dei bambini sono aumentate del 37%. Noi, come 'sportello Co-mai', riceviamo tutti i giorni 'segnalazioni'. Anche come 'sportello' sanitario, tramite l'associazione dei 'Medici di origine straniera in Italia' che ho l'onore di presiedere. E anche come 'Focal point' per l'integrazione e il dialogo tra le civiltà dell'agenzia dell'Onu 'Unaoc', nominato dal ministero degli Affari esteri. Tutto questo per difendere la nostra identità e per dire, prima di tutto, che siamo italiani, anche se di origine araba o musulmani, ma anche cristiani, poiché il mondo arabo comprende tutte le religioni".

Su questo vorrei chiamare in causa il professor Mario Canino, al quale voglio chiedere: il fondamentalismo islamico sta creando una guerra soprattutto all'interno dell'islam?
"Sì, certamente. Questo lo riporta la stampa quotidianamente e lo riportano i fatti della Storia. La questione è molto complessa: non esiste una lettura 'univoca' del Corano: ci sono tutta una serie di differenze e di distinzioni, diverse interpretazioni e sensibilità. Riagganciandomi a quanto detto ora dal professor Aodi, vorrei ricordare o accennare a una candidata del prossimo Consiglio comunale di Milano, la prima di religione islamica, o musulmana, a Milano. E' una giovanissima donna che, sin dalle prime dichiarazioni, presentate alla stampa per spiegare la sua candidatura e il suo desiderio di voler rappresentare la comunità araba al comune di Milano, è stata quella di dire: "Abbiamo sensibilità diverse. Abbiamo storie diverse. Chi nasce in un Paese come arabo o musulmano fa riferimento a forme di cultura diverse rispetto a chi nasce in un altro Paese". Ecco: quando ci si avvicina all'islam bisogna tener conto di questa sua 'ricchezza' e non interpretare il messaggio religioso in modo univoco. Questo, a mio parere, è un grandissimo messaggio. E lo dimostra il fatto che questa donna, giovanissima, è stata minacciata di morte e, credo, sia già stata messa sotto 'scorta'. E' stata minacciata di morte e, quindi, ha ragione l'amico Aodi: difendere la laicità è un atto di coraggio e di grande personalità, ma spesso tali qualità, questi caratteri, vengono sottovalutati, anche da noi stessi, ma principalmente dai mezzi di comunicazione di massa. I nostri giornali e le nostre televisioni puntano molto sulla divisione tra gli arabi. Ma questa cosa ha una spiegazione: gli arabi sono effettivamente divisi: ci sono gli arabi che si riconoscono nell'Arabia Saudita o nello Yemen e ci sono arabi che si riconoscono in Paesi con maggiori tendenze democratiche. E questo fa una grossa differenza: se noi pensiamo all'Iran, per esempio, che prima era considerato come il 'diavolo' e veniva dipinto come il nemico principale degli Stati Uniti - e dell'occidente, per proprietà transitiva - e che, all'improvviso, diventa l'interlocutore privilegiato, tutto questo significa che le grandi potenze occidentali vivono una 'schizofrenìa'. Stiamo vivendo, cioè, una condizione di mutabilità temporanee, basata su interessi specifici temporanei. Non c'è una idealità, non c'è un'utopia 'sana': una visione d'insieme sui problemi della pace o, comunque, una visione generale e globale di lungo periodo. Ormai, le grandi potenze pensano solamente a interessi specifici, spesso 'personalizzati': il problema del petrolio e quello del nucleare sono i due temi fondamentali che distinguono, differenziano o uniscono queste differenti 'versioni' dell'islam. Noi sappiamo che l'islam non vede una distinzione tra l'elemento teologico-religioso dall'elemento politico. Questa connessione è ancora molto forte. Quindi, ha un significato forte il problema della laicità, poiché esiste una questione di secolarizzazione religiosa. E questo aspetto io voglio sottolinearlo, all'interno del ragionamento che stiamo facendo, perché le grandi potenze sono responsabili anche del conflitto tra Palestina e Israele".

E infatti, noi oggi siamo qui per la ricorrenza del 'Nakba', cioè per commemorare il giorno in cui le popolazioni arabe sono state espulse dalla Palestina. I palestinesi, essendo un popolo gioioso e felice, con il passare degli anni hanno trasformato questa giornata in una festa, eppure, pur essendo questo il vero 'nervo scoperto' dell'intera questione mediorientale, del conflitto israelo-palestinese all'improvviso non se ne parla più: perché, secondo lei, professor Canino?
"Perché 'dietro' questa questione ci sono troppi interessi economici e troppi interessi politico-ideologici. Io credo che ci sia una questione razziale: un aspetto antropologico che, forse, non è mai stato molto analizzato. C'è una questione razziale, nel senso che i palestinesi sono visti come arabi di seconda classe. Sono visti, cioè, come un popolo che, nonostante la propria tradizione 'altamente' laica, altamente socialista e liberale, rappresenta una minoranza 'fastidiosa'. E quindi, le grandi potenze arabe, appoggiate da Stati Uniti e Inghilterra sin dagli inizi del XX secolo, oggi prevalgono nel rapporto tra Palestina e Israele. Ma perché, oggi, 'vince' Israele? Perché la Palestina - e questo è un elemento storico -  non ha armi, non ha un esercito, dunque è debole, fragile, vive della sua Storia e della sua cultura. La Palestina, insomma, non ha un esercito in grado di rispondere a un altro esercito. E qui abbiamo queste due situazioni: da una parte, c'è un Paese che è anche una potenza nucleare senza che nessuno possa entrare in Israele per controllare le centrali nucleari, le armi nucleari e i missili nucleari perché loro sono il 'popolo eletto'; dall'altra, un popolo che viene considerato talmente 'minore' che l'uccisione dei suoi cittadini non è reato. In questo momento, voglio ricordare un aspetto che io ho vissuto personalmente, in Palestina: quando io ho scoperto che un ministro del Governo israeliano di Netanyahu si rifaceva a una certa concezione, di qualche decennio fa, che vedeva nell'eliminazione fisica del popolo palestinese un elemento di identità del popolo di Israele. Io sono rimasto senza parole, letteralmente sconvolto, perché in Europa e in occidente questo approccio non esiste più. Questa cosa che loro replichino questa forma di genocidio, di eliminazione fisica quotidiana, una distinzione anche tra i villaggi quotidiana. Noi abbiamo assistito alla distruzione di un villaggio e all'espulsione di donne e bambini perché in quel villaggio palestinese, oggetto di quella espulsione, si sarebbe dovuta costruire una nuova 'colonia'. Ecco: il problema delle 'colonie' viene appoggiato, oggettivamente, dalle grandi potenze e anche dall'Onu. Perché l'Onu, se avesse avuto o avesse un ruolo politico forte, avrebbe chiesto il rispetto delle varie 'risoluzioni' che sono state scritte e approvate dal 1948 sino a oggi. Israele e gli ebrei hanno diritto ad avere una loro terra, purché rispettino il territorio, gli abitanti e i cittadini residenti nella Palestina. Questo non è stato fatto. E nessuna potenza internazionale che ha voluto la costituzione dello Stato di Israele, a discapito della Palestina, è mai intervenuta. Perché Israele rappresenta il luogo geo-politico di controllo del Mediterraneo e dei Paesi arabi 'nemici', tra i quali, prima, c'era anche l'Iran, ma adesso non più. Israele, per parte sua, non rispetta assolutamente nulla, poiché si ritiene il popolo 'eletto da Dio'. Contro questa visione 'deistica', teologica, noi non possiamo fare assolutamente nulla: sono passati secoli, ma loro non hanno mai mutato questo loro approccio nei rapporti tra i popoli. Israele ha un problema di 'approccio laico'. E non è neanche vero che sia una democrazia, perché se così fosse, un sistema democratico all'interno d'Israele chiederebbe il rispetto degli abitanti di religione islamica e degli arabi-palestinesi, tra i quali ci sono molti di loro che, quotidianamente, si recano a lavorare nel loro territorio. Quindi, non è vero che in Israele esiste la democrazia".

Professor Aodi, secondo lei, in Medio Oriente, c'è una sorta di 'aparthaid' nei confronti del popolo palestinese, oppure vi è proprio una 'spinta' occidentale verso uno scontro di civiltà?
"Sicuramente, la situazione, per quanto riguarda l'occidente e l'Europa, è peggiorata nei confronti di tutte le comunità arabe: si è ormai diffuso una grave pregiudizio nei loro confronti. Secondo me, vi sono delle vere e proprie azioni 'mirate' per fare dell'Isis, per esempio, una sorta di 'consorzio del terrore': ecco perché si stanno formando, in vari Paesi, una serie di movimenti estremisti. E queste forze estremiste sono quelle che vorrebbero innalzare barriere all'ingresso dei loro Paesi, finendo col fornire un pretesto all'Isis per giustificare la svolta storica di un terrorismo diverso da quello del passato, cioè a favore di una 'svolta' storica di terrorismo feroce, di un terrorismo mai visto. Cosa fa l'Isis? Con la sua comunicazione riesce ad avere quello che io chiamo: 'Il consorzio del terrore'. Ovvero, fa capire che, all'interno dell'islam più estremo, non c'è più al Qaeda, non ci sono più altri gruppi estremisti: 'Ci siamo solo noi dell'Isis: dunque, dovete seguire noi'....".

Ma, nello specifico, i palestinesi da chi si dovrebbero guardare, oggi?
"I palestinesi debbono continuare a dire la loro, a reclamare il loro diritto a esistere, dimostrando, a livello internazionale, che la loro questione va risolta e non dev'essere messa da parte. Va risolta con soluzioni politiche e diplomatiche, attraverso uno sforzo della comunità internazionale che porti a una nuova Conferenza internazionale intorno alla questione. Noi, il punto massimo di speranza lo abbiamo avuto ai tempi della stretta di mano tra Rabin e Arafat. Ma dopo quel saluto e quella speranza, la situazione è cambiata: con le 'primavere arabe' e il successivo avvento dell'Isis, che ha potuto organizzare il suo 'Consorzio del terrore', la questione palestinese ha finito con l'essere considerata una questione a parte, sotto il profilo diplomatico, sia per gli europei, sia per gli americani. Si è così passati ad affrontare un problema più ampio di rapporti con i Paesi arabi: una questione che, ovviamente, va anch'essa risolta. Ecco perché il mondo arabo e il popolo palestinese debbono mettere insieme i loro problemi e trovare un'unità, perché uniti si vince. E anche la Palestina deve sforzarsi di dialogare direttamente con Israele, senza andarsi a cercare un intermediario e deve fermare tutto ciò che lede la libertà e le ingiustizie che subiscono i suoi cittadini. Come abbiamo ribadito anche oggi, nei nostri discorsi, noi palestinesi e noi arabi chiediamo ai nostri fratelli ebrei di dialogare con noi. Noi non vogliamo guardare gli ebrei con altri 'occhi' o sotto altre 'forme': noi vogliamo solamente andare da loro e dirgli: "Noi siamo due popoli fratelli e dobbiamo risolvere la nostra questione e i nostri problemi tra di noi". Per questo motivo, io, in qualità di presidente delle comunità arabe in Italia, non ritengo di dover 'uscire' dal mio ruolo diplomatico per cercare altri modi e altre 'vie' per risolvere la questione palestinese: l'unico modo è quello del dialogo e della pace. Noi palestinesi crediamo nella pace e nel dialogo 'interreligioso'. Ecco perché, oggi, io ritengo che Papa Francesco sia l'unico grande personaggio in grado di risolvere la questione, stimolando il dialogo. Come dimostrato dal suo incontro di qualche anno fa con Shimon Peres, al termine del quale Papa Francesco ha fatto un discorso molto importante, a favore del dialogo interculturale, interreligioso e per la pace. Io, poi, ho avuto il piacere di leggere questo stesso discorso davanti a 50 mila persone in Vaticano, alla presenza di Papa Francesco, un anno dopo, per dire a tutti di non perdere la speranza e la fiducia di trovare una soluzione. Per tutti questi motivi, io ritengo che il terrorismo abbia danneggiato molto la questione palestinese".

Nel discorso tenuto qui oggi, l'ambasciatrice della Palestina in Italia ha fatto riferimento alla conferenza di Parigi sul Medio Oriente, che si sta tenendo in questi giorni, come di una possibile 'porta' che si riapre: è così? E' una domanda riovolta ad ambedue.
Foad Aodi: "Noi non perdiamo mai la speranza: ci 'attacchiamo' a qualsiasi iniziativa diplomatica. Negli ultimi anni, la questione palestinese è passata dall'essere considerata la 'madre' di tutte le battaglie, all'ultima battaglia dimenticata. Ciò, ovviamente, è accaduto per questioni di politica internazionale. Noi, comunque, siamo speranzosi che la politica internazionale possa comprendere che la sicurezza di Israele, degli ebrei e degli israeliani, sia importante, ma che anche i palestinesi non possono continuare a rimanere senza uno Stato. La speranza che noi continuiamo ad alimentare e che io continuo a 'lanciare' in ogni intervista che rilascio, è quella riassunta nella formula: 'Due popoli e due Stati'. Una formula di convivenza pacifica, perché tra questi due popoli molto spesso ci sono esempi di convivenza che sono molto più avanti di una politica ottusa, 'ingessata' da ostacoli e paure. Anche questo è un 'velo' di pregiudizio e di paura che dobbiamo 'squarciare' in favore di un vero Stato palestinese: perché circola una grande paura, totalmente inventata, probabilmente per motivi economici. Ma i diritti umani devono essere rispettati per tutti...".
Mario Canino: "Io, invece, voglio solo sottolineare una cosa, in merito alla proposta della conferenza di Parigi: sono infatti rimasto colpito dalla reazione di Netanyahu, il quale ha emesso una nota nella quale si afferma di non condividere l'iniziativa francese, giudicata "una proposta fragile". Una conferenza, tra l'altro, che non prevede la presenza di palestinesi e israeliani, poiché la Francia ha voluto discutere con tutte le grandi potenze del rapporto tra Palestina e Israele, con qualche 'frutto' e con delle valutazioni oggettive 'libere', per poi arrivare a formulare delle proposte. Netanyahu ha risposto immediatamente 'piccato', mentre invece i palestinesi hanno risposto, ancora una volta, in termini positivi. Ecco, allora, che ci riagganciamo a quanto abbiamo detto fino ad adesso: qui c'è qualcuno che 'bluffa', perché la Francia è sempre stata una grande  potenza, oramai da secoli (e l'Italia sa cosa significa il potere francese nel nostro Paese già da molto tempo, prima persino di Napoleone); fa parte del G8; è tra le maggiori potenze del mondo; propone un incontro internazionale per vedere se questo grave problema è risolvibile in qualche modo e fare delle proposte. Bene: da parte di Tel Aviv ci sono queste risposte, che confermano esattamente lo stato attuale. E cioè che c'è uno Stato che non vuol sentire neanche parlare di pacificazione; che non vuol mettere la parola 'fine' alla politica delle 'colonie'; che non vuole sentirsi dire di considerare i palestinesi come uomini di seconda natura. Dall'altra parte, invece, c'è un popolo che ha speranza di vivere; che vuole salvare la propria Storia, perché ne ha diritto; che chiede rispetto per la propria cultura, perché ne ha diritto; che vuol salvaguardare la propria esistenza futura. Eppoi, permettetemi di dire una cosa: io i palestinesi li conosco sin dagli anni '70, ovvero sin dai tempi in cui insegnavo all'Università. E posso dire che essi sono le 'grandi menti' del mondo arabo: ingegneri, medici (ne abbiamo uno qui...), avvocati: essi sono gli alunni stranieri più preparati che l'università 'La Sapienza' di Roma abbia mai avuto. Io ne ho conosciuti tantissimi e ciò spiega il mio amore per la Palestina. Ebbene: è questa loro intelligenza che dà fastidio, che non deve svilupparsi. La Palestina non deve sviluppare una propria economia: ecco perché gli hanno chiuso i due 'canali' (di 'sbocco' al mare, ndr): il problema dell'Egitto non è grave solamente per un problema di politica interna, ma anche di politica internazionale, perché è oggettivamente alleato con Israele. Quando è stato chiuso il canale che 'sbocca' sul Mediterraneo e che impedisce ai palestinesi di andare a pesca, di avere un commercio internazionale, di vivere e sviluppare una propria ricchezza interna, l'Egitto si è affrettato a chiudere anche l'altro versante, quello più a nord, esattamente come aveva fatto Israele. Ecco: questo voler 'strozzare' una popolazione rende il processo di pace difficilissimo, perché sviluppa odio e rancori, non il dialogo. Mentre invece, come ha detto giustamente Aodi, noi abbiamo un disperato bisogno di dialogo. E in tutte le vicende internazionali, dopo le guerre e dopo i conflitti, solo il dialogo e la diplomazia possono portare veramente alla pace".

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Saedi - ROMA - Mail - martedi 7 giugno 2016 16.45
Thanks brother!
Roberto - Roma - Mail - martedi 7 giugno 2016 7.51
Questo signor Aodi è un personaggio interessante e convicente, soprattutto quando parla delle moschee fai da te. Raramente ho sentito un arabo esprimersi cone questa sincerità, dato che tendono a proteggersi tra di loro e a far sapere il meno possibile delle loro comunità. Se gli arabi fossero tutti come Aodi, non avremmo le Santanché che urlano stupidaggini in televione.


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