Vittorio LussanaL'impegno delle donne durante lo sforzo bellico del Regno d'Italia negli anni 1915-'18 raccontato attraverso tre personaggi: uno spaccato toccante di ciò che ha rappresentato, per la nostra Storia, la Grande Guerra, a cento anni esatti dall'intervento italiano in un conflitto di proporzioni apocalittiche

Tre tipologie di ragazze, poco più che ventenni, raccontano la loro vita negli anni della Grande Guerra: c'è la patriota Angela, che si finge un 'maschio' per andare volontaria a combattere; la sofisticata albergatrice Eva, che ammira la classe e lo stile, ma anche il pensiero all'avanguardia, di Coco Chanel; e c'è Franca, una contadina veneta che, tutte le mattine, si carica sulle spalle pesantissime 'sporte' di cibo, acqua e medicinali, ma soprattutto armi, scorte di proiettili e persino un intero 'cannone', per portarli in prima linea ai nostri soldati, impegnati in una lunga guerra di posizione in alta montagna. Nella rappresentazione teatrale di Giorgia Mazzuccato, intitolata 'Guerriere', uno spettacolo giunto alla 'finalissima' del Roma Fringe Festival 2015 svoltosi all'inizio dell'estate presso i giardini di Castel Sant'Angelo in Roma, emergono una serie di nuovi elementi e contenuti storici molto importanti e assai fondati: 1) l'Italia, nel 1915, entrò in guerra convinta che il conflitto sarebbe stato di breve durata, mentre invece le cose non andarono affatto così; 2) la 'patriota' Angela, partita con grandi speranze e il cuore gonfio d'orgoglio per la Patria, anno dopo anno vede disgregarsi il proprio idealismo, poiché assiste agli assurdi assalti in campo aperto ordinati da Luigi Cadorna, alle pessime condizioni in cui furono costretti a vivere i nostri soldati nelle trincee, all'arbitrarietà delle decimazioni decise dagli alti comandi militari, nel tentativo di dissuadere le truppe dalla tentazione di disertare; 3) la contadina Franca, di fede socialista, intravede nello sviluppo tecnologico e industriale generato dalla guerra un tipo di produzione che, al termine del conflitto, avrebbe creato fortissimi problemi di 'riconversione', oppure una degenerazione bellicista che, spesso, è prodroma di gravissime sventure; 4) anche la sofisticata Eva giunge, poco a poco, alla consapevolezza che, al termine del conflitto, il maschilismo italico non avrebbe affatto riconosciuto alle donne i loro meriti per aver mantenuto 'in piedi' il Paese durante i difficilissimi anni di una guerra spaventosa. Lo spettacolo si chiude con un toccante ed esteticamente splendido monologo finale, nel quale Angela ha vinto la sua guerra contro l'Austria-Ungheria, ma ha perduto ambedue le gambe. Giunta ormai al fondo della disperazione, la ragazza rivede il proprio rapporto interiore con il nostro Paese non più sulla base di un'esaltazione nazionalista, bensì nell'ottica, assai più amara e tuttavia più cosciente e generosa, di amore verso una 'sorella', l'Italia, che come lei non è mai stata altro che una vittima sfortunata e 'maledetta' della Storia.

Giorgia Mazzuccato, il testo di 'Guerriere', da lei portato in scena al Roma Fringe Festival 2015, finalmente fa giustizia sul ruolo fondamentale svolto dalle donne italiane durante la prima guerra mondiale: perché ci sono voluti 100 anni per scoprire - o riscoprire - una cosa del genere?
"Credo che la Storia non sia un libro da leggere, ma un racconto da ascoltare e su cui far domande. Per raccontare e per ricercare, credo ci voglia molto tempo e molta voglia, per rimettersi in discussione. Quello che impariamo a scuola è, per diversi motivi, più o meno comprensibili, un frammento di quello che si decide di portate alla luce. Per una pagina di Storia investigata ce ne sono dieci nascoste e sconosciute. L'occasione di una ricorrenza così forte e importante come il centenario di una guerra mondiale mette in moto una serie di 'ingranaggi' intellettuali', tra cui la curiosità. In occasione di questa celebrazione, nel mio piccolo, ho cercato di fare la cosa che reputo essere la più proficua nei confronti di un fatto compiuto: porsi, appunto, delle domande. Mi sono interrogata sulla Grande Guerra in quanto donna, in quanto cittadina italiana e in quanto artista. Altre persone, in questi ultimi 100 anni, hanno compiuto ricerche sulle donne nel 1915-'18, ma forse quella che è sempre mancata è stata l'organicità nel rendere fruibile il prodotto di tali ricerche. Proprio per vincere questo ostacolo ho deciso di usare il mezzo a me più congeniale: il teatro. Credo che per le persone sia bello ascoltare e condividere racconti. E questo è quello che per me significa fare teatro".

Le tre ragazze italiane portate in scena sono molto diverse tra loro: un'interventista un po' ingenua, che decide di travestirsi da uomo per potersi arruolare come volontaria nel Regio esercito italiano; una sorta di 'suffragetta' sofisticata in salsa italica; una contadina che fa la 'staffetta' per portare armi e munizioni agli alpini in alta montagna. Erano queste le uniche 'tipizzazioni' possibili delle donne italiane del 1915, oppure si tratta di semplici 'spunti' per sottolineare anche altro?
"Il lavoro di scrittura è stato un 'momento' (lungo circa un anno) per me decisamente interessante e stimolante. La ricerca ha portato al ritrovamento di una lunga serie di documenti inediti, scritti da donne nell'epoca della Grande Guerra che, in seguito, ho riadattato e ricucito insieme nelle vesti di tre differenti personaggi. Il mio scopo è stato perciò quello di dipingere un affresco storico variopinto, che portasse alla luce il maggior numero di impressioni ritrovate e studiate. I personaggi, presi singolarmente, non sono realmente esistiti, ma raccontano tutte storie vere, realmente vissute e che rivivono sul palco".

La verità sulla nostra guerra del 1915-'18, alla fine, diviene evidente: la politica, come al solito, ha dato per scontato che il nostro sforzo bellico sarebbe durato pochi mesi; gli alti ufficiali del nostro esercito hanno dimostrato un'incredibile miopia strategica; la realtà delle decimazioni, infine, ha rivelato un grado di alienazione raggiunto dai nostri soldati che non poteva far altro che 'infrangere' ogni ideale di Patria: lei ritiene che queste verità storiografiche siano, oggi, più accettabili, oppure è 'pessimista' - o quanto meno 'scettica' - intorno al grado di interesse del pubblico per questi argomenti?
"Io sono non semplicemente scettica, ma contraria a ogni giustificazione nei confronti della guerra. In ogni epoca, esistono diverse motivazioni per agire in un determinato modo. Forse, agli inizi della prima guerra mondiale esisteva il 'patriottismo', ma quando si parla di guerra, alla base vi è, sempre e comunque, un sopruso nei confronti dell'umanità".

Delle tre donne da lei rappresentate, alla fine la più lucida e lungimirante, che intravede con largo anticipo le future conseguenze negative della guerra, come il reducismo e l'irrazionalismo piccolo borghese di Benito Mussolini, a sorpresa è proprio la povera e umile contadina veneta: non è una contraddizione? Non è proprio il ceto rurale quello più egoista e conservatore, che ragiona più con la 'pancia' che con la 'testa'?
"Nel momento in cui una famiglia viene spezzata a causa della guerra, credo che le barriere tra i diversi ceti e l'agire di 'pancia 'o di 'testa' vengano meno".

Lo spettacolo ha il merito, soprattutto nel bellissimo monologo finale, di ribaltare il classico nazionalismo da esaltati, trasformandolo in un amore più consapevole e profondo nei confronti dell'Italia, considerata come una sorta di sorella 'sfortunata', vittima della Storia: è forse l'embrione di un nuovo patriottismo 'di sinistra'?
"Nel mongolo finale si viene a concepire, parola su parola, l'embrione di un patriottismo semplice, inteso come amore e orgoglio di appartenenza alla propria Patria. Il personaggio che ha l'ultima parola si rivolge all'Italia come "fragile figlia, amata sorella, dolce madre, amore", ovvero come un vero e proprio 'tutto' per il quale non vi è sforzo nel dedicarci la vita. Nell'amore non ci sono Partiti, vi è solo dedizione e spirito di protezione. Nel monologo si chiede all'Italia, interlocutrice della preghiera, "una tregua dai libri di Storia", in favore di "pagine bianche di straordinaria quotidianità per scrivere parole come dignità, amore, bellezza e libertà". Queste parole sono i semi da cui sono nati i 'fiori' delle mie 'donne-guerriere'...".




(intervista tratta dalla rivista sfogliabile 'Periodico italiano magazine' - n. 13 luglio/agosto 2015)

Lascia il tuo commento

Cristina - Milano - Mail - venerdi 4 settembre 2015 9.32
Pensare che nel 2015 ancora si parli di guerre, studiate sui libri da adolescenti, è aberrante e sconcertante...
Roberto - Roma - Mail - giovedi 3 settembre 2015 12.18
Non vengo a contestare i dati storici inediti evidenziati da questo lavoro teatrale, molto interessante, e non contesto la buona preparazione storica del direttore Lussana, al quale voglio però ribadire che non mi piacciono per niente certe sue difese del mondo socialista, burocratico, vecchio, calunniatorio e irrazionale ancora oggi, come giustamente ha sottolineato il lettore di Milano. Contesto inoltre al direttore di essere diventato un liberaldemocratico gerarchico, un centrista esattamente come gli ambienti che a lungo ha frequentato e che oggi giudica e si permette di giudicare.
Vittorio Lussana - Roma/Milano/Bergamo - Mail - giovedi 3 settembre 2015 9.37
RISPOSTA AL SIG. ARRIGO BORIN: gentile lettore, Benito Mussolini non è mai stato Segretario nazionale del Partito socialista italiano, bensì solamente della Federazione provinciale di Forlì. In quanto esponente di punta dell'ala socialista rivoluzionaria, a un certo punto gli venne affidato l'incarico di dirigere il quotidiano 'Avanti!'. Ma proprio per le sue posizioni interventiste nei confronti del conflitto bellico esploso nell'estate del 1914, egli venne licenziato dal giornale ed espulso dal Partito. Le sue posizioni nei riguardi del Psi, glielo ribadisco per l'ennesima volta, si basano su malignità e pregiudizi nei riguardi di un movimento che, seppur tradizionalmente caratterizzato da una propria 'vivacità' interna, applica da sempre e quotidianamente un autentico principio di democrazia interna, proprio per fare in modo che ogni idea e proposta risulti sempre pensata, valutata ed espressa. Viceversa, nei Partiti di discedenza totalitaria, oligarchica e verticista, tutto questo non avviene: il centralismo democratico del Pci ha sempre svuotato ogni dibattito interno, opponendosi come vero e proprio 'specchio' rispetto dell'elitismo dei liberali e al verticismo dei moderati e delle destre. E' vero: dalle costole del Psi sono nati sia il Pci, che comunque ha spesso dimostrato una propria lucidità di analisi e, con il tempo, ha saputo addentrarsi all'interno delle procedure democratico-parlamentari, sia il Pnf di Benito Mussolini. Ma ciò è accaduto proprio per la ferrea coerenza di esponenti e gruppi dirigenti come Bissolati, Turati, Nenni e lo stesso Sandro Pertini, che non hanno mai voluto abdicare alla metodologia riformista e socialdemocratica. Questa è la verità della Storia. Una verità che la maggior parte degli italiani proprio non vuole digerire, per smemoratezza, oppure perché non ha ancora compreso di doversi definitivamente distaccare da una scala di valori degna di Adolf Hitler, in cui un Partito che, per certo periodo, è stato frequentato da 'pasticcioni' e 'affaristi', sarebbe comunque assai peggiore di quelli che oggi si ritrovano collusi con mafie, mafiette e pezzi di banda della Magliana. Cordiali saluti. VL
ARRIGO BORIN - MILANO - Mail - martedi 1 settembre 2015 18.21
Una discreta analisi, ma purtroppo con qualche carenza dal punto di vista sia storico che politico da entrambi le parti.
Al Sig. Cadorna vorrei far notare che se l'esercito italiano fosse avanzato immediatamente dopo l'entrata in guerra (giusta o sbagliata questo competeva alla politica) i nostri sarebbero arrivati a Vienna in breve perchè davanti avevano delle forze praticamente inesistenti (pochi reparti territoriali) essendo il grosso dell'esercito austroungarico impegnato sul fronte orientale (Russia). Questo però non stava scritto sui manuali (ecco perchè Garibaldi prevaleva su forze dieci volte superiori) ed il Generale Cadorna che di tali manuali era un pedissequo osservante, trovava blasfemo non impostare le battaglie con adeguate trincee e assalti alla baionetta, questo era quanto esprimevano gli stati maggiori, se poi le cose non andavano come i manuali prevedevano (Caporetto) magari si rinfrancavano gli animi con qualche sana decimazione. Il fatto che fosse decisa dalla magistratura (militare) non toglie la valenza dell'azione.
In parole povere la prima guerra mondiale è stato uno dei tanti episodi che costellano il nostro backgrond guerresco, pieno di medaglie (alla memoria) ma senza una (dico una, nemmeno con la Grecia) guerra vinta.
Al Sig. Lussana vorrei ricordare che Mussolini era stato segretario del Partito Socialista, e Direttore dell'Avanti. Quindi era un'appendice socialista, un po' facinorosa ma sempre socialista, quindi è in quell'ambiente che si devono individuare le carenze ideologiche, tralasciando le favolette degli agrari che sostenevano il fascismo, gli agrari contavano come il due di picche.
Cordiali Saluti
A. Borin
Vittorio Lussana - Roma/Milano/Bergamo - Mail - martedi 1 settembre 2015 9.53
RISPOSTA AL SIG. CADORNA: gentilissimo lettore, le dò pienamente ragione sulla questione dei caporali istruttori, una mancanza ben documentata in vari testi. E anche sul fatto che l'errore maggiore fu quello politico, poiché il Governo Salandra - e Sidney Sonnino in particolare - come specificato nell'intervista si dimostrò inconsapevole delle condizioni di partenza - anche di carattere tecnologico, di armi ed equipaggiamento - del Regio Esercito italiano. Tuttavia, rimango dell'opinione che la nostra condizione di neutralità e il nostro repentino 'voltafaccia' nei confronti della 'Triplice' sia stato assai poco razionale. E che le idee di Cadorna di avanzare in pochi mesi a nord e a est puntando sulla quantità, anziché su uno studio approfondito del territorio, non tenne in considerazione il fatto che, anche se le truppe dell'Impero asburgico risultavano composte da pochi uomini, queste erano comunque ben posizionate strategicamente. E proprio per questo motivo, non vi fu alcun 'effetto-sorpresa'. Inoltre, avanzare dal basso verso l'alto, con continui assalti alla baionetta e bombe a mano, ha storicamente dimostrato la superficialità dei vertici militari dell'epoca, assolutamente rigidi nelle loro idee arretrate, nonché insensibili alle condizioni in cui i nostri soldati furono costretti a operare. Il fatto stesso che Cadorna fosse convinto di arrivare a Trieste già alla fine del '15 e che invece si ritrovò 'impelagato' in una lunga guerra di posizione, con alpini e soldati costretti a vivere in mezzo ai topi e al fango, rende pienamente l'idea di una concezione della guerra statica e poco aggiornata, ferma al 1870 o quasi, mentre le già umilianti sconfitte subite in Etiopia per opera di un esercito di poveri selvaggi, che sebbene armato dagli inglesi poteva definirsi assolutamente 'inventato', avrebbe dovuto avvertire che lo sviluppo industriale stava accelerando di molto i progressi tecnologici in campo militare. Un processo di modernizzazione già cominciato da tempo: nel 1866, Garibaldi si era aperto, da solo e con i suoi uomini, senza cioè alcun aiuto da parte dell'esercito, la strada per Vienna. Ma solamente un anno dopo, nel 1867, fu fermato facilmente a Mentana dai francesi, dotati di fucili semi-automatici. Infine, riguardo alle decimazioni, intorno a ciò le fonti ufficiali divergono da tempo con le testimonianze popolari. Io rimango fedele ai racconti di famiglia e di quei "ragazzi del '99" che ho potuto conoscere personalmente durante l'infanzia e l'adolescenza: ai tempi, il popolo italiano era considerato "carne da cannone". Eravamo gente povera e sottoproletaria, questo è vero, ma il disprezzo dell'alta borghesia italiana nei confronti delle classi sociali meno abbienti rimane un dato storico facilmente dimostrabile, che non solo causò la fine dell'Italia liberale prefascista, ma che già alle elezioni del 1919 portò il Psi a diventare il primo Partito in Italia, innescando la 'reazione' difensiva del 'mussolinismo' demagogico e del fascismo. Cordiali saluti. VL
Carlo Cadorna - Frascati - Mail - martedi 1 settembre 2015 6.24
Gentile Direttore, nell'articolo sono scritte alcune cose prive di fondamento. Per valutare le responsabilità della Grande Guerra bisogna conoscere le conseguenze militari del Patto di Londra firmato dal governo all'insaputa del vertice militare: esso obbligava l'Italia ad entrare in guerra entro un mese ed a tenere impegnate, con tutte le risorse disponibili, le forze austriache per impedire travasi sul fronte del Reno. Il nostro esercito era inesistente numericamente, senza la possibilità di essere addestrato per l'indisponibilità di istruttori e degli stessi soldati che furono sempre insufficienti. Quindi non potevano fare altro di quello che hanno fatto. Quanto alle decimazioni, in Italia non si sono mai verificate nel significato stretto del termine. Comunque qualsiasi provvedimento competeva alla magistratura se non in circostanze eccezionali. La invito a leggere la conferenza ("Un generale del Risorgimento") postata sul mio diario Facebook: contiene la Verità in tutti i dettagli.


 1