Gaetano Massimo MacrìMartina Badiluzzi è una delle tre artiste che hanno vinto il premio come migliore attrice del Roma Fringe Festival 2015, in ex aequo con Arianna Pozzoli e Ylenia Giovanna Cammisa, le tre protagoniste di uno spettacolo schietto, ironico e irriverente intitolato 'Fak Fek Fik: le tre giovani'. Una 'performance' che oltre ad aver visto premiate le sue interpreti, ha ottenuto anche il premio per la miglior drammaturgia e quello 'finale' come miglior spettacolo, vincendo nettamente l'edizione di quest'anno della vivace rassegna teatrale capitolina. Il pregio di 'Fak Fek Fik' è quello di denotare una drammaturgia del tutto particolare: non si tratta della classica rappresentazione di un testo che si dipana tra un inizio e una fine, con una precisa 'chiave di volta' nella parte centrale. Gli schemi della trama classica, in questo caso sono completamente 'saltati per aria'. Ciononostante, lo spettatore riesce a seguire il filo (il)logico delle tre protagoniste, in cui ognuna narra la propria storia raccontandola a frammenti. "Il bello è proprio questo", ha confessato il regista, Dante Antonelli. Del resto, come dicono le attrici nel finale: "Rappresentare se stessi è un lavoro. La rappresentazione dovrebbe evidenziarlo". Lo spettacolo è piaciuto molto anche al pubblico, lasciando la netta impressione che non si tratti di una sperimentazione fine a se stessa. Al contempo, riesce difficile raccontarlo. Non è un difetto, ma in qualche modo costringe lo spettatore a rielaborare le immagini e il testo, pregni di significato e offerti con grande ironia. Sempre nel finale, un coraggioso riferimento al 'padre' ispiratore della commedia, quel Werner Schwab che negli anni '80 del secolo scorso scrisse: 'Le presidentesse'. Dal 'mondo' inventato dal drammaturgo austriaco derivano immagini surreali, una particolare visione escatologica, un certo degrado del corpo che 'le tre giovani' ripercorrono lasciandocene cogliere, a tratti, qualcosa. Schwab aleggia sullo spettacolo "come un faro nella nebbia: così lo abbiamo voluto rappresentare, senza riproporlo in modo canonico", ci ha spiegato sempre il regista. Ecco dunque, qui di seguito, il testo dell'intervista che una delle 'tre giovani', Martina Badiluzzi, ha cortesemente rilasciato alle nostre testate.

Martina Badiluzzi, innanzitutto possiamo chiederti di dove sei e qual è stato il tuo percorso di formazione artistica?
"Sono di Udine. E mi sono formata attraverso un percorso un po' strano: prima ho fatto l'accademica 'Nico Pepe', la 'Civica' di Udine. In seguito, sono venuta a Roma, dove ho frequentato l'Eutheca (European Union Academy of Theatre and Cinema, ndr), con sede a Cinecittà".

Puoi parlarci di questo spettacolo, 'Fak Fek Fik - Le tre giovani' che ha 'stravinto' l'edizione 2015 del Roma Fringe Festival?
"A noi piace dire che 'Fak Fek Fik' sia una riscrittura radicale de 'Le presidentesse' di Werner Schwab. Un testo in cui questo autore austriaco racconta la storia di tre donne anziane riunite in una cucina che bevono caffé, parlano dei loro film preferiti, di politica, dei loro problemi, dei loro figli, dei rispettivi mariti. Poi, se per caso 'salta fuori' una bottiglia di vino o di birra e le tre donne alzano un po' il 'gomito', esse cominciano a sognare una festa dove non ci sono regole, in cui incontrano l'uomo della loro vita, lo vedono, ci parlano, lo frequentano, lo conoscono e lo amano. Ma cosa succede se il 'gomito' si alza ancora di più? Accade che Maria, una delle tre donne, un personaggio che Schwab descrive magnificamente, all'improvviso distrugge la 'festa-sogno', svelando la verità: questo sogno non esiste; questi uomini non esistono; i vostri figli vi odiano. Questa è la verità. Noi allora abbiamo deciso di ricominciare là dove Werner Schwab ha terminato. Schwab, infatti, conclude 'Le presidentesse' con le tre anziane che vengono sostituite da tre giovani, le quali si alzano dal pubblico, prendono il loro posto e ricominciano lo spettacolo da capo. Noi abbiamo semplicemente provato a immaginare cosa poteva succedere se queste giovani, anziché essere tre ragazze austriache degli anni '90, fossero tre giovani italiane del 2015. E 'Fak Fek Fik' è questo: le tre giovani".

Gran parte del pubblico italiano non conosce questo autore austriaco, Werner Schwab, scomparso nel 1994 e considerato, come drammaturgo, piuttosto 'sui generis', se non addirittura 'dannato', quasi 'maledetto', che ha riempito i suoi spettacoli con un genere di ironia 'tagliente', 'sferzante': perché avete deciso di ispirarvi a un autore così poco conosciuto, qui da noi?
"Nel mio caso è stato un amore a prima vista. E non ho alcun dubbio che anche per il nostro regista, Dante Antonelli e le altre attrici, Arianna Pozzoli e Ylenia Giovanna Cammisa, sia accaduta la stessa identica cosa. E' stata una strana 'epifania' incontrare un autore così prolisso e, al contempo, così incisivo, così 'tagliente'. Werner Schwab parla di una bellezza che c'è nelle cose, che lui riconosce e che, tuttavia, viene regolarmente 'divorata'. Come scrisse in 'Sovrappeso', ogni genere di bellezza finisce col subire un processo di degenerazione, finché non finisce con l'essere divorata. Nonostante ciò, Schwab non rinuncia a cercare e a raccontare questa bellezza. E noi abbiamo provato a fare esattamente questo: raccontare, in qualche modo, quella bellezza immersa nel grigiore, tra le feci dei 'drammi fecali', in mezzo alla 'guazza' del 'doposera', come la definisco io: l'avanzo che rimane dopo la festa, dopo la serata, dopo la gioia. Là, immersa nello 'sporco'...".

Il vostro regista, Dante Antonelli, ci ha svelato di avervi concesso 'carta bianca' nella creazione della vostra performance, che non esiste un testo scritto da interpretare, ma che voi stesse avete partecipato alla creazione drammaturgica: è così?
"La nostra è una 'scrittura scenica': non c'è, dietro di noi o prima di noi, un drammaturgo che si siede davanti al computer, alla macchina da scrivere o innanzi a un foglio di carta, per produrre la drammaturgia. Questo spettacolo, noi lo abbiamo scritto 'in piedi'. Dante Antonelli ci ha guidate all'interno del mondo 'schwabiano', ma le parole sono le nostre. E questo modo, attraverso il quale abbiamo costruito questo lavoro, è esattamente lo stesso con cui ci poniamo davanti al pubblico: cioè, in presenza. Noi tre, sul palco, ci chiamiamo con i nostri nomi. Quando mi rivolgo ad Arianna, non parlo all'attrice, ma proprio ad Arianna. Così fa anche Ylenia con me. E io con loro. E' uno spettacolo di presenza".

Perché questo titolo: 'Fak Fek Fik'? Cosa significa?
"Fak Fek Fik è un gioco di parole. E senza voler essere 'scurrili', questo titolo fa diretto riferimento al 'fottere', al 'ficcare', che è ciò che fa Werner Schwab con ogni termine, con ogni singola parola. Il motivo per cui, alla fine dello spettacolo, incidiamo in tedesco il nome di Werner Schwab, deriva proprio dal fatto che si tratta di un autore che non scrive, bensì 'incide', 'taglia'. E noi abbiamo semplicemente cercato di riprodurre questo suo linguaggio".

Quando un autore, un attore o un regista, presenta uno spettacolo come il vostro, ricco di riferimenti 'elevati' o, quanto meno, 'cifrati', non si crea una divisione tra un pubblico che riesce a cogliere determinati elementi e uno meno colto?
"Per noi era importante parlare della bellezza a cui ho appena fatto cenno. Era importante essere attrici ed essere presenti in quello che facciamo. Questo spettacolo non ha necessariamente bisogno di uno spazio teatrale: esso può esser messo in scena anche in una piazza o in un bagno pubblico. Ciò non ha alcuna importanza, perché quello che fa veramente la differenza è la presenza delle tre attrici: nel momento in cui le tre attrici ci sono, lo spettacolo esiste, la 'performance' esiste. Di sicuro, noi lavoriamo cercando di raccontarci e di raccontare. Non c'è l'intenzione di fare una fotografia della nostra attuale condizione sociale, perché provare a esprimersi con le parole di un autore come Schwab è come un 'vomito'. E quanto accade sul quel palcoscenico, o all'interno di una piazza, è ciò che noi abbiamo provato, fa parte delle nostre esperienze personali. Prendendo spunto dal nostro personale e diventando una scrittura personale, lo spettacolo non può far altro che raccontare il disagio che noi, giovani ventenni, viviamo e quello che siamo. Noi non ci siamo chiesti se qualcuno potesse non capire questo spettacolo, perché non crediamo ci sia una reale difficoltà a comprendere ciò di cui parliamo. Forse, ci può essere qualche difficoltà ad afferrare i distinti 'linguaggi' che utilizziamo per raccontarlo, poiché 'Fak Fek Fik' non possiede un linguaggio 'lineare': non è una prosa classica. Non lo è: è una 'performance'. E proprio perché è una 'performance', noi ci permettiamo di raccontare quel che stiamo raccontando in vari modi, per mezzo di diversi linguaggi. Per questo motivo utilizziamo la musica 'live'. Per questo motivo abbiamo voluto i brani di Samovar, alias Samuele Cestola, il ragazzo che scrive le musiche per noi. Cosa c'è di più 'presente' della musica elettronica suonata col 'launchpad' (applicazione web sviluppata per fornire strumenti di supporto, ndr)? Cosa c'è di più presente del lavoro 'in nero' che faccio? Il fatto che lo faccio, dunque ne parlo. E' questo ciò che abbiamo raccontato: noi, oggi, nel 2015".

E cosa avete intenzione di fare adesso, dopo aver ottenuto tutti questi riconoscimenti al Roma Fringe Festival del 2015?
"La nostra idea è quella di poter mettere in scena tutti e tre i 'Drammi fecali' di Schwab, a partire da 'Fak Fek Fik', che come ho già detto è la riscrittura di 'Le presidentesse'. Vogliamo attraversare tutta la drammaturgia di Werner Schwab, quindi anche 'Sovrappeso: insignificante informe' e 'Sterminio'. E, al momento, stiamo cercando altri 'performer' che possano fare queste cose con la direzione di Dante Antonelli".

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