Silvio ParrelloA 40 anni di distanza dalla morte del regista e scrittore Pier Paolo Pasolini e a seguito della recente presentazione, da parte della deputata Serena Pellegrino, di un disegno di legge per l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta per far luce su quanto accaduto realmente all'idroscalo di Ostia nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975, abbiamo deciso di pubblicare una 'relazione-memoriale' che il pittore romano Silvio Parrello, amico personale del poeta friulano - noto a Roma con il soprannome 'er Pecetto', ben descritto e citato nel romanzo 'Ragazzi di vita' - ha voluto scrivere di suo pugno consegnandola nelle mani della nostra redattrice Michela Zanarella, al fine di permettere alla nostra redazione di verificare le numerose ed evidenti incongruenze rispetto alla verità processuale sin qui emersa, nonché valutarne la possibile pubblicazione sulle colonne della nostra testata on line di approfondimento politico-culturale. Ovviamente, laici.it si schiera apertamente a favore dell'iniziativa assunta dall'onorevole Serena Pellegrino, poiché stabilire la verità intorno a quest'orribile delitto, che da ormai 4 decenni non riesce a trovare una spiegazione coerente e plausibile, non rappresenta soltanto un dovere civico e morale, ma una 'battaglia' che tutto l'ambiente giornalistico, politico e intellettuale italiano deve combattere fino in fondo, senza mai arrendersi.

"A distanza di oltre dieci anni dalla mia personale indagine sulla morte di Pier Paolo Pasolini, emerge con chiarezza una verità completamente diversa da quella processuale. A cominciare dall'incontro che Pier Paolo ebbe con Pino Pelosi alla stazione Termini la sera del 1° novembre 1975, che non fu affatto casuale, bensì derivava da un appuntamento già fissato in precedenza, in quanto i due si frequentavano da alcuni mesi. Quella notte, il ruolo di Pelosi doveva esser solo quello di accompagnare l'intellettuale a Ostia, per recuperare le 'bobine' del film 'Salò', che i due fratelli Borsellino, amici di Pelosi, avevano rubato su commissione a fini di estorsione. Fu a quel punto che balenò l'idea dell'omicidio: quando Pelosi e Pasolini finirono di cenare al 'Biondo Tevere', salirono in macchina e si avviarono in direzione di Ostia. I due furono seguiti dai fratelli Borsellino in sella alla loro Vespa e da una moto Gilera 125, ovviamente rubata, guidata da un tal Giuseppe M. Lungo il percorso, si accodarono una Fiat 1500 con a bordo tre balordi, quelli che materialmente massacrarono di botte il poeta, e un'Alfa Romeo simile a quella di Pasolini, con a bordo una sola persona: quella che investì e uccise lo scrittore, schiacciandolo con le ruote di questa autovettura. Alla fine della mattanza, quando i sicari fuggirono, nel luogo del delitto rimasero solo in due: Pino Pelosi e questo Giuseppe M. Costoro s'impossessarono dell'autovettura del poeta per scappare, ma dopo aver percorso soltanto pochi metri, Pelosi si sentì male, scese dalla macchina e vomitò, mentre il suo 'caro' amico si diede alla fuga e, giunto sulla Tiburtina, abbandonò l'Alfa Romeo di Pasolini, dileguandosi. Pino Pelosi, rimasto all'idroscalo solo e 'appiedato', venne fermato a Ostia dalle Forze dell'ordine, a poche centinaia di metri dal luogo del delitto. Alle tre del mattino, cioè due ore dopo l'omicidio, due poliziotti telefonarono a casa di Pasolini all'Eur, comunicando alla cugina, Graziella Chiarcossi, che la vettura di Pier Paolo era stata ritrovata abbandonata sulla Tiburtina. Di questa telefonata, la Chiarcossi ne ha parlato più volte con Sergio Citti, il quale, cinque mesi prima della sua morte, verbalizzò il fatto alla presenza dell'avvocato Guido Calvi. Durante il processo, l'automobile di Pasolini venne 'periziata' dai periti Ronchi, Ronchetti e Merli. Ma si comprese immediatamente che si trattava di un'analisi blanda e superficiale, tenendo presente che questi tre 'esperti' non si disturbarono nemmeno a recarsi sul luogo del delitto. Al contrario, la perizia presentata dal professor Faustino Durante, nominato dalla famiglia, è ben diversa. Ed è quella che maggiormente si avvicina alla verità. In essa, appare con chiarezza che fu un'altra vettura a uccidere l'intellettuale friulano. All'indomani del delitto, quest'automobile fu portata da Antonio Pinna in riparazione presso una carrozzeria del quartiere romano Portuense. Il primo carrozziere, Marcello Sperati, viste le condizioni della vettura si rifiutò di eseguire il lavoro, mentre un secondo, Luciano Ciancabilla, la riparò. Il 12 febbraio 1976, durante le indagini sull'omicidio, il maresciallo dei Carabinieri Renzo Sansone fece arrestare i fratelli Borsellino. La notizia venne data alla stampa due giorni dopo, il 14 febbraio, lo stesso giorno in cui Antonio Pinna scomparve definitivamente e la cui auto venne trovata all'aeroporto di Fiumicino. Di Antonio Pinna per lungo tempo non si è saputo nulla. Sino al venerdì di Pasqua dell'anno 2006. Quel giorno, infatti, venne a trovarmi presso il mio studio di pittore un sedicente figlio di Antonio Pinna, tale Massimo Boscato, di cui nessuno conosceva l'esistenza, nemmeno i parenti più stretti. Nato da una relazione tra il Pinna e una donna del nord'Italia, il ragazzo era alla ricerca del padre e, con l'aiuto di un amico che prestava servizio presso la Digos, mi disse che stava conducendo lui stesso la ricerca del padre. E che, dalle informazioni che aveva raccolto, risultava che Antonio Pinna era stato fermato a Roma nel 1979 alla guida di un'auto con la patente scaduta. Oltre a ciò, questo Massimo Boscato mi riferì di non essere riuscito a scoprire nulla di più, poiché il fascicolo relativo alle indagini riguardanti Antonio Pinna era classificato come 'Top secret'. Questa è la 'mia' verità sull'omicidio di Pier Paolo: non posso documentarla con prove o fatti circostanziati, ma sono pronto a confermare tale ricostruzione in qualsiasi sede e innanzi a chiunque".

Nota aggiuntiva
"Riguardo al rapporto 'orale' che Pasolini ebbe con Pino Pelosi nella notte dell'omicidio, come risulta anche dagli atti processuali è una menzogna: quel rapporto avvenne in un altro posto, esattamente dietro le 'baracche' di Porta Portese, dove i due si erano appartati dopo aver lasciato il ristorante 'Il Biondo Tevere', ovvero prima di recarsi a Ostia per recuperare le 'bobine' di 'Salò'. Inoltre, da quanto trapelato di recente, Antonio Pinna pare non fosse solo alla guida della sua Alfa Romeo, la vettura quasi identica a quella di Pasolini: insieme a lui viaggiava un'altra persona, un quindicenne che, alla fine della mattanza, si mise lui stesso alla guida dell'auto del Pinna e che decise di proposito di passare sul corpo dell'intellettuale, provocando l'esplosione del suo cuore. Anche il plantare e il maglione verde rinvenuti nell'Alfa Romeo dello scrittore appartenevano a questo ragazzo, che ha commesso l'omicidio. Il Pinna, che alcuni vorrebbero 'incolpare', non si sarebbe mai macchiato di un simile crimine: a Roma lo conoscevamo in molti ed egli stesso era un buon amico di Pier Paolo. I due si frequentavano assiduamente. E questa confidenza me la riferì Antonio Pinna in persona verso la fine di ottobre del 1975, ovvero pochi giorni prima dell'omicidio. Si tratta, tra l'altro, di un dato che potrebbe essere confermato da molti amici e conoscenti del quartiere romano di Monteverde".


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