Claudio MartelliIsis attacca il parlamento tunisino, uccide almeno 20 turisti europei e, tra loro, miete le prime vittime italiane. Dopo la Libia, dopo lo Yemen, dopo la Siria e l'Iraq, dopo il Pakistan, l'Isis non si ferma, apre nuovi fronti mentre si radica in tutto il centro Africa, nel Mediterraneo e in Europa reclutando, addestrando, attentando e uccidendo. È una guerra, asimmetrica, come piace dire agli esperti, una guerra tra la gente, una guerra senza limiti, di cui l'Occidente non vuole trarre le conseguenze. Obama non vuole abbandonare le illusioni che l'hanno ispirato e che ha accreditato sulle 'primavere arabe', non vuole impegnarsi, non vuole ripetere Bush e dichiarare "guerra al terrore". Figuriamoci l'Europa stanca! Ma l'inerzia non paga, l'indecisione occidentale, frutto di una diagnosi minimalista, è pericolosa. L'Isis è molto più efficiente e globale di Al Qaeda, ma persegue lo stesso obiettivo: il Califfato. L'intero scenario mondiale è cambiato;: è urgente, è indispensabile adeguarci, prepararci, prevenire e reagire. Anche noi dobbiamo cambiare, senza aspettare di scongiurare un attacco a Roma. Gli italiani fanno parte del mondo e, come a Tunisi, possono essere colpiti ovunque. E' indispensabile un cambiamento di visione, di paradigma della nostra politica filo-araba e di sicurezza. Ancora poche settimane fa la presidente Marcegaglia annunciava che la produzione di gas libico destinata all'Italia (cioè la gran parte) "è tornata quasi ai livelli massimi" e che una nuova 'piattaforma' dell'Eni sarà installata a 80 km dalla costa. "Business as usual", avranno pensato in tanti, malignando sui soliti italiani che fanno affari in mezzo alle sparatorie e sull'Eni, per il quale che si trattasse dell'Algeria socialista, dei re sauditi, dello Scia di Persia o di Gheddafi, la qualità del greggio contava - conta? - più della qualità delle élites locali. Gli italiani sanno che la politica filo-araba è stata condizionata dalla nostra sete di petrolio come, nella cultura di massa, hanno contato il pacifismo e la solidarietà con i popoli ex-coloniali comuni alla sinistra socialcomunista e alla cultura cattolica. Qualche volta hanno contato più del diritto di Israele a esistere e della solidarietà reciproca con i nostri principali alleati. Al tempo della guerra tra Israele e la grande coalizione araba, Fanfani definì la linea italiana come "equidistanza attiva". Un'ambiguità che dissimulava il filo-arabismo. Furono Nenni e La Malfa a difendere le ragioni della solidarietà con Israele. Anche Moro farà dell'ambiguità il cardine della sua politica, destreggiandosi tra arabi, iraniani e anglo-americani. Non saranno da meno Craxi e Andreotti, Berlusconi e Prodi. Piaccia o non piaccia, questa autonomia italiana nel Mediterraneo e in Medio Oriente rispetto alla solidarietà atlantica è stato il tratto distintivo della nostra politica estera. Adesso, tutto è cambiato. E tutto deve essere messo in discussione. Il disastro seguito alle 'primavere arabe' non ha rimesso indietro le 'lancette' della Storia: ha, invece, arato il terreno per la semina dell'Isis. All'Italia, a Renzi, spetta di spronare una nuova solidarietà internazionale, in cui la priorità sia la sicurezza, non i soldi.




(articolo tratto da www.quotidiano.net)
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