Chiara ScattoneLeggiamo su 'Plus', l'inserto settimanale de 'Il Sole 24 ore' pubblicato sabato 7 marzo 2015, un articolo a firma Stefano Elli che necessita di alcune puntualizzazioni. Il processo che vede coinvolto il Gruppo Delta e la Cassa di Risparmio di San Marino con l'accusa di riciclaggio, abusiva attività bancaria e ostacolo alle attività di vigilanza, a Forlì non s'ha da fare. Così ha infatti sancito, il 12 febbraio scorso, il Tribunale della cittadina romagnola, indicando Rimini e Bologna come giurisdizioni idonee al suo svolgimento. Dopo cinque anni dall'inizio dell'inchiesta e appena pochi mesi dopo l'avvio della fase preliminare del dibattimento in aula, il processo chiude i battenti ed è tutto da rifare: nuovi magistrati inquirenti, nuovi tribunali giudicanti. Insomma, ci sono voluti cinque anni perché un Tribunale - e non il Gip, che aveva avallato le tesi del Pm e ordinato il rinvio a giudizio e le misure cautelari - stabilisse che Forlì non era la sede più idonea a istituire l'inchiesta, poiché i reati contestati, tra i quali quello più odioso, il riciclaggio, sono stati consumati a Rimini e a Bologna. Secondo la tesi accusatoria, gli imputati avevano istituito un'associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, alla commissione di abusiva attività bancaria e finanziaria, tramite il gruppo bancario bolognese Delta e all'ostacolo alle autorità di vigilanza, ma non venivano attribuiti anche degli illeciti amministrativi alla filiale di Forlì del Monte dei Paschi, alla Cassa di Risparmio di San Marino e alla società di diritto sammarinese Carifin SA. Lo schema descritto dai Pm dei reati commessi dagli imputati è, più o meno, il seguente: alcuni soggetti italiani sconosciuti (al fisco e alle autorità giudiziarie, che non sembrano si siano interessate alla loro identità nel corso dell'inchiesta) versavano assegni bancari presso la Cassa di Risparmio di San Marino attraverso la fiduciaria Carifin SA. Gli assegni, poi, venivano portati all'incasso presso la stanza di compensazione della Banca d'Italia a Milano, che ne disponeva la liquidità presso un conto della Cassa di Risparmio aperto presso la filiale di Forlì del MPS. La Cassa di San Marino richiedeva, a sua volta, il prelievo di quelle somme attraverso il conto di gestione del MPS di Forlì, acceso presso la filiale locale della Banca d'Italia. Infine, la ditta Battistolli andava a ritirare il contante presso la Banca d'Italia e lo riportava a San Marino. Questo il giro, questo il piano 'delittuoso'. Senza entrare nel merito della vicenda processuale, che si trovava ancora nella sua fase preliminare, il Tribunale di Forlì ha deciso di accettare le eccezioni territoriali sollevate dagli avvocati degli imputati senza entrare nel merito dell'ipotesi accusatoria, ma solo ripercorrendo la sua struttura, la sua formulazione. Su questo era stato chiamato a decidere e su questo si è espresso, ribadendo alcuni postulati sanciti dalla dottrina e da diverse sentenze della Corte di Cassazione. Il collegio dei giudici, presieduti da Giovanni Trere e formato da Roberta Dioguardi e Massimo De Paoli, ha quindi ribadito e fatto proprio quello che la Cassazione aveva affermato, ovvero che "il delitto di riciclaggio è a forma libera e potenzialmente a 'consumazione prolungata', attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, le quali integrano il momento consumativo del reato - dimodoché l'azione possa scomporsi in una pluralità di autonome fattispecie, unite dal vincolo della continuazione - solo a condizione che si perfezioni il 'ciclo' composto dalle fasi ricezione-sostituzione-restituzione". Sulla base di ciò, dunque, il reato di riciclaggio in questo caso non si consuma al momento della trasformazione della moneta bancaria in moneta fisica, come sostenuto dal Pm Fabio Di Vizio, ma nella fase successiva, ovvero nel trasferimento di quelle banconote a San Marino e nell'effettiva restituzione delle somme ai primi soggetti italiani ignoti che avevano versato gli assegni. Questa sentenza si può considerare una vittoria? O è forse una sconfitta? Di sicuro è una sconfitta totale per gli 800 dipendenti del Gruppo Delta, che hanno perso il posto di lavoro e visto morire sotto gli occhi la propria azienda e che, probabilmente, non vedranno mai la fine di un processo che sta per giungere alla prescrizione (per il reato di abusiva attività bancaria sono previsti sette anni per la prescrizione). Ma questa sentenza può esser letta anche come una vittoria 'procedurale', perché finalmente il processo è stato portato via da Forlì e tolto a una Procura che appariva 'avvitata' e fossilizzata sui propri ragionamenti, miope davanti alla probabile inconsistenza di un procedimento che si basava su un "supposto reato fondato su di un altro reato ancora in corso di accertamento". Oggi, il processo è completamente da rifare. E quelle migliaia di carte scritte in un italiano quasi del tutto incomprensibile e privo di punteggiatura dal Pm Di Vizio, va rivisto, riletto, ristudiato e rianalizzato. Ci auguriamo, quindi, che un nuovo magistrato, indipendente e autonomo, sia in grado di ricostruire la vicenda non più in base a sospetti e presunzioni di reato da accertare, bensì su prove certe e verificate. Perché, come disse Giovanni Falcone: "La cultura del sospetto è l'anticamera del khomeinismo e io sono per la cultura delle prove".


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