Walter VeltroniIl mio film su Enrico Berlinguer è nato dal desiderio di produrre un nuovo 'tassello' della nostra memoria. Un tassello che ho sempre cercato di ricostruire per tutta la vita. Qualsiasi lavoro abbia svolto in passato, da direttore de l'Unità a sindaco di Roma e a tutti gli altri incarichi che ho avuto la fortuna di ricoprire, ho sempre cercato di lavorare sul tema della memoria, perché considero essenziale che ciascuno di noi abbia, in un tempo così veloce, così rapido, come quello nel quale stiamo vivendo, la coscienza della propria Storia. Ciò non significa nutrire nostalgia, né pensare che quel tempo sia da riproporre: ogni tempo è storicamente determinato. Ma possedere una coscienza dei propri passi, delle meraviglie e delle tragedie che si sono vissute, individualmente e collettivamente, rappresenta un valore fondamentale. Perché la memoria non può solo essere quella del computer, al quale noi stiamo affidando tutta la nostra vita. Peraltro, se solo questa memoria 'tecnologica' si rompesse o si spegnesse, noi ci sentiremmo sostanzialmente indifesi. Eppure accettiamo che si spenga la nostra memoria di esseri umani. Viviamo tutti in un presente consumato bulimicamente, costantemente affannato nel rincorrere notizie che si succedono l'una dopo l'altra, dando tutte una sensazione di assoluta novità rispetto alle altre, impedendoci di razionalizzare. Quanto tempo sembra sia passato dai giorni della strage di Charlie Hebdo? Un anno? Invece, sono trascorse solo poche settimane. Siamo di fronte a un continuo susseguirsi di eventi. E il nostro sistema della comunicazione ci sta aiutando a perdere quel senso di razionalità e di storicizzazione delle cose che, per la nostra memoria, risulta essenziale. Dunque, dal punto di vista culturale, il film è soprattutto questo. Ma dal punto sentimentale, è un modo di dire "grazie" a una persona che è stata decisiva per la mia vita. La mia storia politica, personale e umana sarebbe stata tutt'altra se non ci fosse stato Enrico Berlinguer. Berlinguer fu la persona che, dirigendo il Partito comunista italiano, consentì a quel Partito di cambiare e di allargare enormemente il suo consenso. Io ho cercato di raccontarlo così come l'ho vissuto, partendo da una domanda: come mai il Segretario del Partito comunista italiano, che si chiamava Enrico Berlinguer e che arrivò a fare il Segretario nel 1972 trovando un Pci legato a una percentuale di consensi alla quale era sempre rimasto nel corso della sua storia, il 25%, nel giro di quattro anni, tra il 1972 e il 1976, riuscì a portarlo al 34,4% dei voti, in Italia, nel tempo della guerra fredda e del mondo diviso in blocchi contrapposti? Qual è stata la grandezza, l'innovazione politica e, al tempo stesso, la coerenza con la quale Berlinguer riuscì a fare del Partito comunista italiano una forza politica alla quale potessero guardare anche persone che venivano da storie, culture e provenienze diverse? Berlinguer fu un uomo molto coraggioso. Quel coraggio che, talvolta, è anche solitudine: perché un vero leader conosce anche momenti di solitudine; perché un vero leader non è quello che afferma ciò che la gente si aspetta che dica, ma un uomo che immagina, propone, prevede e che, certe volte, si pone talmente 'oltre' da risultare esposto persino al 'fuoco amico'. Quando Berlinguer propose al Partito comunista italiano, soltanto un anno dopo essere diventato Segretario, la linea del 'compromesso storico', cioè l'alleanza con lo 'storico avversario' del Pci, la Democrazia Cristiana; quando parlò di austerità; quando dichiarò che si stava meglio sotto l'ombrello della Nato anziché sotto quello del Patto di Varsavia, Berlinguer diceva cose che - chi ha vissuto quella fase, lo ricorda bene - aprivano discussioni 'meravigliose'. Non dobbiamo mai credere a coloro che dicono: "La politica sono solo parole". Perché sono proprio le parole che hanno cambiato il mondo: le parole dei personaggi politici coraggiosi, dei leader spirituali, di persone che ne hanno convinte altre. Si parlava e si discuteva, allora. E, a quei tempi, era faticoso far passare 'quelle' posizioni. Nel film, io ho cercato di raccontare esattamente questo. Fare questo film è stato, per me, molto emozionante, poiché ha avuto un successo sinceramente inaspettato e, di recente, è stato premiato, insieme ai film di Gianni Amelio e di Gabriele Salvatores, con il 'Nastro d'Argento'. Essendo un'opera 'prima', ciò ha rappresentato, per me ovviamente, una meravigliosa soddisfazione. Quando questo film è stato proiettato in Cile, a Santiago, alla sua visione erano presenti molti degli esuli cileni che allora si trovavano in Italia: il presidente Lagos, la mamma del presidente Bachelet, gli Intillimani e tutti quelli che allora si erano rifugiati qui da noi. E' stato emozionante, perché il colpo di Stato in Cile fu fondamentale per Berlinguer. Perché Berlinguer propose l'alleanza con la Democrazia Cristiana? Perché c'era stato il colpo di Stato in Cile. E perché Berlinguer si rese conto che, nonostante il Pci stesse crescendo, in quel mondo separato in blocchi la partecipazione del Pci al Governo avrebbe rappresentato un qualcosa di talmente innovativo da riuscire a scuotere, da un parte e dall'altra, gli equilibri tra i diversi sistemi economici. Lui sapeva che, sia gli Americani, sia i Sovietici, non amavano l'idea che quella soluzione si realizzasse. E sapeva anche che quel Pci era diventato talmente grande che, o arrivava a una soluzione di Governo, oppure rischiava, alla fine, di non essere in grado di rappresentare gli interessi che aveva suscitato. Per questi motivi, Enrico Berlinguer propose il compromesso storico. Dall'altra parte, sul fronte 'moderato', c'era un uomo come Aldo Moro, che aveva capito la stessa cosa: la crisi dell'egemonia democristiana e la necessità di reimpostare un'altra stagione, nella quale si sarebbe stati insieme per un certo periodo, per poi arrivare a quella che oggi chiameremmo "democrazia dell'alternanza". Come ho cercato di far comprendere nel film, per Berlinguer tutto cambiò proprio con il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro. Se si osserva il volto di Berlinguer, quel suo modo straordinario di parlare - egli è stato il primo vero leader del tempo della televisione - quel suo modo chiaro, coinvolgente, diretto, caldo e semplice di esprimersi, dopo la tragedia di Moro è come se Berlinguer invecchiasse improvvisamente. E la sua prospettiva politica venne meno. Tuttavia, paradossalmente, tutto quel che accadde dopo fu la conferma di quanto avessero ragione lui e Moro nell'aver saputo portare la loro sfida di innovazione a un punto tale da provocare una reazione. Perché certo: sono state le Brigate Rosse a uccidere Aldo Moro. Ma in quei 55 giorni ci hanno messo la 'mano' in tanti, in quella vicenda. E molti hanno sperato che Moro non ne uscisse vivo, perché era l'uomo che, insieme a Berlinguer, era stato in grado di costruire una prospettiva che avrebbe provocato una trasformazione profonda. Dopo la morte di Moro, infatti, verranno dieci anni di 'Pentapartito' e un quindicennio in cui il debito pubblico del nostro Paese raddoppierà, fino a creare la situazione nella quale ci troviamo ancora oggi. La grandezza di Berlinguer sta inoltre nel fatto che andò a Mosca per dire 'in faccia' ai Sovietici che la democrazia era "un valore universale". Nel film ho voluto riproporre il discorso che Berlinguer fece in occasione del 60° anniversario della rivoluzione d'ottobre. Siamo nel 1977: Berlinguer sale sul palco del Cremlino. Dietro di lui aveva gente come Breznev e Ceausescu. E innanzi ai leader di tutti i Partiti comunisti del mondo fece un discorso in cui definì la democrazia "un valore universale". Detta in quella sala, quest'affermazione fu molto importante. Ma c'è tutta una storia che precede questo 'strappo' così significativo. Quando Berlinguer era arrivato a Mosca, gli venne fatto sapere che lui poteva parlare per 12 minuti, anziché 10, perché era il leader del più grande Partito comunista occidentale. Ovviamente, non si poteva arrivare al Cremlino, salire sul palco e dire quello che ti pareva: si doveva inviare prima il discorso, affinché i Sovietici lo controllassero. E nella notte che precedette l'intervento di Berlinguer, alle 4 del mattino i Sovietici, dopo aver letto il suo discorso, andarono a bussare presso la sua 'dacia' al fine di informarlo che, per ragioni organizzative, non poteva parlare più per 12 minuti, ma solamente per 6. Il messaggio sotteso era evidente: Berlinguer avrebbe dovuto togliere quelle parti del suo intervento molto critiche nei confronti dei regimi dell'Europa orientale. Berlinguer accettò di parlare per soli sei minuti e di 'asciugare' il proprio discorso. E tolse tutte le frasi di carattere cerimoniale, mantenendo solo quelle in cui esprimeva dubbi e critiche sul modo in cui il blocco orientale stava perseguendo la costruzione di una società socialista. Questo era Berlinguer. Nel mio film ho inoltre voluto sottolineare il suo profilo umano. Egli era una persona timida, schiva, ma di grande carisma. Negli ultimi anni della sua segreteria, io ho avuto la fortuna di lavorare con lui. E posso assicurare che incontrare sul proprio cammino Enrico Berlinguer era un qualcosa di importante. Per lo meno per chi, come me, aveva incontrato il Partito comunista grazie alle innovazioni che Berlinguer aveva saputo portare in quel Partito. Infine, un'ultima cosa che ho cercato di dire attraverso questo film è che la politica è una cosa 'bella'. E' un concetto che, detto oggi, può sembrare paradossale. Invece, la politica è una delle cose più belle che ci sono nella vita di un singolo individuo, o di un'intera collettività. In passato, è stata proprio la politica a portare l'umanità fuori dai guai in cui l'umanità stessa si era 'cacciata'. Ma nel mio film ho fatto riferimento a una politica 'vera', quella che crede in certi valori, che tiene in alta considerazione l'onestà. E, infatti, un'altra delle grandi anticipazioni di Berlinguer fu proprio quella di sollevare l'esistenza di una "questione morale" nella politica italiana. Fu la precisa denuncia di quel che stava già accadendo e di quel che sarebbe ulteriormente accaduto. Intorno a ciò, io non credo si debba nutrire nostalgia per quegli anni: quello era un tempo in cui la corruzione era esattamente come e peggio di quella di oggi; quello era un tempo in cui c'era Sindona; in cui c'era Calvi; in cui c'erano le stragi; in cui l'intreccio tra mafia e politica produceva una quantità di morti, sul terreno, spaventosa. Insomma, non dobbiamo nutrire nostalgia, ma coscienza sì. E dobbiamo avere coscienza della bellezza della politica. Alla fine del film, ho voluto presentare le immagini del comizio di Padova, l'ultimo di Berlinguer. Io fui il primo a vedere quelle immagini, immediatamente dopo la sua morte, nella mia stanza a via delle Botteghe Oscure. Noi non volevamo che fossero trasmesse finché Berlinguer era ancora in vita, perché eravamo in campagna elettorale e non volevamo che la sua malattia e, poi, la sua morte, fossero strumentalizzate. Dunque, in accordo con la famiglia, ci sforzammo di fare in modo di non divulgarle. Poi le guardammo, Giovanni Berlinguer ed io, con quel loro fortissimo impatto emotivo, così forte ancora oggi. E io mi sono sempre chiesto, guardandole e riguardandole in tutti questi anni - persino recentemente, in sede di montaggio - il senso di quella sua 'scelta'. Berlinguer, mentre parla a Padova in piazza della Frutta, viene colto da un ictus molto violento, devastante. S'interrompe, si porta la mano alla bocca, cerca di trattenere i suoi conati di vomito, soffre terribilmente. Chiunque altro, trovandosi in una condizione del genere, avrebbe chiuso il proprio blocco degli appunti e si sarebbe affidato subito a un medico: Berlinguer, invece, non lo fa. La gente in piazza gli chiede di smettere; le persone dietro di lui lo pregano di fermarsi; qualcuno cerca di tirarlo per la giacca, ma lui non vuole interrompere il suo discorso. Non ho deciso di mettere queste immagini per dire che Berliguer era un eroe, o che coltivasse una sua idea di eroismo astratto, bensì che era un uomo che aveva vissuto la politica nella sua forma più alta, più intensa, più bella. Quella per la quale, alla fine, nello scegliere tra lo smettere di parlare per farsi curare e il voler finire un discorso, solo uno tra le migliaia di discorsi che lui aveva fatto nella sua vita, Berlinguer scelse di concludere il discorso. E alla fine, abbozza persino un sorriso: quello di chi ce l'ha fatta a portare a termine il proprio compito. Se si riflette bene su questo, c'è tutta intera la più autentica bellezza della politica. Berlinguer, in quel momento, aveva dovuto scegliere tra sé e gli altri. E scelse gli altri. In un frangente per lui conclusivo ma che, per chi lo stava ascoltando, poteva anche non essere decisivo, Berlinguer scelse gli altri. In fondo, questa dovrebbe essere la bellezza, la natura, il senso stesso della politica. In questo film, che parla anche a quei ragazzi che ho voluto coinvolgere nelle primissime scene, ho cercato di dire questo: conserviamo la memoria, non come nostalgia, ma come coscienza. E conserviamo il ricordo di un uomo straordinariamente coraggioso, innovatore, coerente. E, al tempo stesso, amiamo la politica. Perché senza la politica c'è solamente un'altra politica, il più delle volte portatrice di conseguenze molto peggiori. E' questo, quel che dovremmo insegnare alle generazioni più giovani.


Lascia il tuo commento

ARBOR - MILANO - Mail - martedi 17 marzo 2015 19.35
Caro Veltroni,
il fatto che la figura di Berlinguer rappresenti un pezzo del suo passato non le da il diritto di farne una descrizione totalmente acritica, quasi fossimo di fronte ad uno statista che è stato in grado di cambiare realmente le cose. A parte qualche voto in più derivante dall'inizio dello sfascio della DC non ci sono sul terreno delle impronte che siano servite in qualche modo a cambiare il paese. Nel suo "santino" forse avrebbe potuto ricordare che il personaggio era molto contorto anche all'interno del suo stesso partito (v.scissione del manifesto) e si era barcamenato turandosi quotidianamente il naso di fronte ai rubli che arrivavano da quell'Unione Sovietica che lui poi andava a bacchettare (per sei minuti) e senza fare una chiara e ferma dichiarazione di dissenso quando i carri armati russi entravano a Praga.
Il suo pezzo forse lo petevano scrivere gli Intillimani, ma da lei mi aspettavo una maggiore oggettività
Cordiali Saluti

Con il massimo rispetto per uno dei pochi Italiani che sono riusciti a ritirarsi nei termini dovuti.


 1