Susanna SchimpernaUomini e donne che manifestano insieme. E' accaduto in Turchia, dove a febbraio uomini e donne in minigonna hanno sfilato, gli uni accanto alle altre, per protestare contro la politica antifemminile del presidente Erdogan e la tiepidissima reazione del governo dopo il ritrovamento del corpo di una ventenne massacrata perché aveva tentato di resistere a uno stupro. E' accaduto di nuovo adesso, in Afghanistan, sempre in difesa dei diritti delle donne che, a quattordici anni dalla fine del regime talebano, non sono stati affatto ripristinati. Questa volta niente minigonna, ma il burqa, orrendo vestito pesante dai colori scuri che copre tutto il corpo, permettendo solo agli occhi di essere relativamente liberi, coperti da una 'retina' che lascia vedere (male). Questo vero e proprio strumento di tortura e di umiliazione, insano e mai prescritto dal Corano, che parla solo di "velo", avrebbe dovuto sparire insieme ai talebani che l'avevano riportato in auge (era stato imposto a fine ottocento dal re Kalakani alle sue duecento concubine), ma non è stato così. L'abbigliamento non è cambiato per tutte. E in moltissime zone, data l'alta incidenza di violenze, sono le donne stesse che scelgono di indossare il burqa per proteggersi. L'opposizione, inascoltata, denuncia da anni le colpe del fondamentalismo religioso, che resiste, come denuncia la presenza di ex talebani a fianco del presidente Karzai (autore di molte dichiarazioni pesantissime antifemminili) e gli innumerevoli soprusi e divieti che le donne continuano a subire. Sotto il regime teocratico dei talebani si poteva essere fustigate sulla pubblica piazza con qualunque minimo pretesto, come una caviglia mostrata o un colore del burqa troppo acceso. Ma non dimentichiamo che dieci anni fa Amina, una 29enne accusata di adulterio, venne lapidata per decisione di un tribunale distrettuale. Vecchie tradizioni, talebani ancora in posti dirigenziali se non addirittura ai vertici del potere, fondamentalismo: tre elementi portatori di una misoginia incrollabile, furiosa. Una misoginia che vede nelle donne delle creature inferiori e pericolose, da tenere soggiogate in ogni modo, perché portatrici di disordine e, soprattutto, causa della perdizione degli uomini. L'ossessione della provocazione sessuale è, infatti, alla base di tutti i divieti e di tutte le violenze. Il volto e il corpo non si devono mostrare: indurrebbero in tentazione. I tacchi no, proibiti dai talebani, perché il loro suono sul selciato è provocante. Ridere ad alta voce e cantare mai: sono cose eccitanti, quindi terribilmente peccaminose. Essersi tolti di mezzo i talebani, insomma, non ha sconfitto l'antica mentalità secondo cui le donne appartengono a un "secondo sesso", a cui non deve essere concesso di prendere autonomamente decisioni, ma solo di obbedire all'uomo. Le cose non stanno migliorando: negli ultimi tempi è stato, al contrario, registrato un aumento notevole del numero degli stupri e dei matrimoni forzati, dopo un periodo in cui era sembrato che il trend andasse in direzione opposta. Adesso, non a caso a ridosso della Giornata internazionale della donna, giovani uomini afghani sono scesi in piazza, a Kabul, vestiti col burqa. E insieme a giovani afghane, intonando slogan a sostegno dei diritti delle donne, hanno raggiunto gli uffici della Commissione per i diritti umani. Una scelta coraggiosa e lucida: i diritti delle donne riguardano sia le donne, sia gli uomini. E la costruzione di una società che si lasci alle spalle ogni discriminazione può avvenire solo con l'impegno di tutti.




(articolo tratto dal quotidiano 'il Garantista' del 6 marzo 2014)

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