Carla De LeoMatteo Renzi e il suo ‘Italicum’, le leadership personalistiche e ‘antipolitiche’ della seconda Repubblica, uno sguardo alla crisi siriana e all’area mediterranea: questi i temi trattati insieme a Vittorio Craxi, detto Bobo, che ha voluto gentilmente rilasciarci questa intervista in merito all’attuale difficilissima fase politica che l’Italia sta attraversando. Certo è che sono ormai in molti a chiedere una ‘scossa’ al Governo Letta, affinché affronti con maggior efficacia questioni preoccupanti come la disoccupazione, soprattutto giovanile, e un rilancio della produttività industriale. Sui temi di politica internazionale, il responsabile della politica estera del Partito socialista italiano ci è apparso piuttosto scettico circa un risolvimento immeditato del conflitto siriano, mentre ci è sembrato assai più ottimista sulla strada che la vicina Tunisia, Paese che diede il via alla ‘primavera araba’ di 3 anni or sono, sembra aver intrapreso nella direzione di una rinascita democratica e nazionale. Una stabilizzazione che potrebbe servire da esempio per tutti gli altri Stati dell’area mediterranea.     

Onorevole Craxi, a pochi giorni dalle celebrazioni del 14esimo anniversario della scomparsa di suo padre Bettino, può dirci se vede all’orizzonte, nella politica italiana di oggi, un leader che sia quanto meno paragonabile alla statura politica di suo padre?
“Penso che ogni leader politico sia figlio del suo tempo. In qualche misura, mio padre Bettino cercò di emulare i suoi predecessori, Nenni su tutti. Nella politica italiana di oggi è probabile che qualcuno si ispiri a lui, ma non si è manifestata, ancora, una figura che ne rappresenti per intero l'esperienza. C'è un tasso di personalismo eccessivo nelle nuove leadership e un eccesso di antipolitica e di populismo nelle tre attuali figure che occupano la scena politica: Grillo, Renzi e Berlusconi”.

Le piace il ‘decisionismo’ di Matteo Renzi, oppure le appare piuttosto precipitoso per le tempistiche classiche della politica italiana?
“Penso che il ‘piglio’ pragmatico della nuova leadership del Pd risponda a un'esigenza di dare della politica un'immagine diversa rispetto al pressappochismo e dall'immobilismo di questi anni. Non condivido molto di quel Matteo Renzi dice e di quel che fa, ma non nascondo che il suo dinamismo non mi turba affatto. Anzi, mi sembra che abbia dato un’utile scossa all'intero sistema”.

Abbiamo letto che sta ponendo più di qualche dubbio di legittimità democratica al cosiddetto ‘Italicum’, ovvero la bozza di riforma elettorale varata dopo l’incontro tra Matteo Renzi e il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi: può dirci quali sono i suoi dubbi in merito?
“La riforma del sistema elettorale imposta dalla decisione della Consulta meritava un approfondimento diverso e un coinvolgimento più ampio delle forze medie e intermedie. E' stata, invece, l'occasione per i due grandi Partiti di tentare una scorciatoia per perpetuare il loro dominio. Loro hanno creato la ‘terra dei fuochi’ parlamentare e ora si propongono come ‘bonificatori’: ciò è paradossale. Il sistema contiene sbarramenti capestro, un premio di maggioranza spropositato, addirittura più alto che in quello previsto nella famigerata ‘legge truffa’, esclude il voto di preferenza, che rimane uno dei nodi più controversi del famigerato ‘porcellum’. Non è una legge moderna, ma il tentativo di ‘blindare’ il maggioritario, che ha già creato tanti guasti nel nostro Paese. Non credo che vedrà la luce: questo, almeno, è il mio auspicio”.

Come sono, allo stato, i rapporti tra il suo Partito e il Pd? Andrete insieme alle prossime consultazioni europee con una lista unica che si richiami, in qualche modo, al Pse?
“Spero in una lista unitaria nel segno del Pse, ma non penso che Renzi abbia lo stesso obiettivo. Diversamente, non posso che auspicare una lista socialista italiana collegata con il resto della famiglia socialista europea, con tutti gli interlocutori che intendano promuoverla”.

Un altro tema sul ‘tappeto’ è quello del ‘rimpasto’ o del ‘rimpastino’ di Governo: come si dovrebbe procedere, secondo lei?
“Ho sempre pensato che la presenza socialista nel Governo fosse un atto dovuto, un riconoscimento a chi, in questi mesi, si è comportato in modo leale anche in frangenti nei quali sarebbe stato lecito comportarsi diversamente. Per questo, secondo noi ci dev’essere un doveroso ‘tagliando’ governativo, che apra a nuove forze e a nuove energie”.

Piuttosto che fare qualche aggiustamento in corsa di una ‘squadra’ che è apparsa, sin qui, alquanto incerta, non sarebbe meglio ridisegnare l’intero ‘quadro’ degli equilibri politici e varare un ‘Letta bis’ con il compito di portare a casa alcune riforme importanti?
“Gli equilibri politici sono cambiati dalla fine dello scorso anno: esaurita la discussione interna al Pd appare naturale fissare dei nuovi obiettivi di politica economica, per dare maggior respiro alle classi sociali più colpite dalla crisi. Penso a provvedimenti efficaci per rafforzare l’occupazione e incentivare l’industria, che sappiano cogliere la ripresa in atto in occidente, nonché un robusto investimento dello Stato per nuove iniziative di carattere infrastrutturale”.

Come sottolineato poc’anzi, lei proviene dalla Tunisia: come ha trovato questo Paese? Sta riuscendo a trovare un proprio equilibrio, oppure il passaggio da un sistema autoritario com’era quello di Ben Alì a un sistema politico democratico è comunque una fase di difficilissima gestione?

“Sono passati tre anni dalla fine della lunga permanenza al potere del presidente Ben Alì e non posso dire che tutte le illusorie premesse della cosiddetta rivoluzione araba siano state soddisfatte. Il Paese vive uno stato transitorio nel quale si può dire che si incominciano a intravedere i primi segni di una possibile stabilità politica e sociale, dopo mesi travagliati e rischiosi sul piano economico e della sicurezza sociale. Non mancano e non mancheranno altre battute d’arresto. Però, posso affermare che i tunisini hanno dimostrato una prevalente volontà di far convivere le diverse tendenze della società in un mutuo e reciproco rispetto, nel segno di una orgogliosa rinascita nazionale. Se prevarranno questi segnali saremo presto in condizione di parlare di modello tunisino”.

Può darci, invece, il suo punto di vista intorno al summit di Montreux e nel merito strettamente politico della questione siriana? Si tratta di uno sforzo diplomatico che riuscirà a far incamminare anche la Siria sulla strada della democrazia, oppure si rischia la destabilizzazione dell’intera area mediorientale?
“Purtroppo, la vicenda siriana resterà per lungo tempo sulla coscienza dei colpevoli ritardi della politica o della cinica indifferenza con la quale la comunità internazionale ha accompagnato questa vicenda, nonché dei calcoli spericolati dei grandi players dell’area. Ginevra 2 è un buon successo diplomatico, anche se non sono convinto che produrrà, nell’immediato, dei significativi cambiamenti. E’ importante che il conflitto si sposti su un terreno squisitamente politico. Per l’avvenire democratico, penso si dovranno attendere tempi futuri”.


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