Andrea GiuliaFintantoché non la provi  in prima persona, magari pensi che la metropolitana di Londra altro non sia che un mezzo di trasporto, utile e rapido quanto si vuole, ma pur sempre un mezzo di trasporto e stop. Ma dopo esser penetrato e aver scandagliato in lungo e in largo la ‘metro’ di Londra, ti convinci che forse almeno un minuscolo frammento del misterioso continente di Atlantide possa esser rimasto intatto. E che, per qualche astruso movimento tellurico-geologico, sia finito nei sotterranei della capitale del Regno Unito. Londra, sì: a sole 2 ore di volo da Roma. Che esperienza esaltante! Se non fosse per via di un più che naturale senso di claustrofobia che, fatalmente, subentra, dopo aver cambiato vagoni a tutto spiano - passando dalla Linea-gialla-Circle, per spostarti sulla storica Piccadilly-viola-fucsia-Line, dopo la quale non puoi non imbatterti nella Victoria-blu-Line, incrociando la fascinosa District-verdognola-Line, che ti catapulterà, ineluttabilmente, nel vortice della Central-rosso-fuego-Line!, per poi deliziarti con la Bakerloo-Line, tenebrosa e Nera come il nero della Seppia - ti verrebbe voglia di trasferirtici giorno e notte. E ogni volta che cambi linea è una nuova avventura: vedi il manager rampante di ‘yuppiana’ memoria conversare amabilmente con lo straccione ma acculturato barbone; l'immancabile giovanotto ‘punk’ con la terrorizzante cresta che tira fuori documenti e appunti della sua attività di assicuratore; e mentre la suadente vocina registrata di Marylin Monroe ti ricorda che la prossima stazione è Tottehnam Hale, rimani allibito nel notare che sul pavimento non v'è una cartaccia o foglio di giornalino da metrò che sia uno! Possibile? Si'. E questo ti riporta, dolorosamente, a una serie di rapidi e impietosi raffronti con quella ‘cosa melmosa’, sgangherata, arrabattata, ridicola, malfunzionante, lercia e scomoda che vorresti tanto fosse la metro di Calcutta e, invece - con immenso strazio ma anche onestà - devi ammettere essere la metropolitana di Roma. Roma, la capitale d'Italia, del tuo Paese. Tuo anche se magari non ci vivi più, perché ti ha così tanto deluso e tradito e intossicato e sfiancato e ‘sbomballato’ che, a volte, vorresti non esserci mai nato. Roma, dunque, e la sua metro così simile al Kaos informe e poco allettante descritto dal greco Esiodo. Questa metro di Roma che sta al fascino della mitologia ellenica come il sorcio Gaspare (comandante in armi della ‘Gloriosa-Flotta-Pantegana-Squit’ la cui sede legale e amministrativa è ubicata tra la rotaia destra di Numidio Quadrato e il cunicolo sinistro di Giulio Agricola) sta alla Venere di Milo. Una metropolitana fatiscente che cerca di angustiarti mentre tu, invece, ti stai godendo le coloratissime gallerie (ho finito i colori e pure l'arcobaleno: sorry...) della labirintica Jubilee Line, che ti portano ad ammirare la civiltà (perché di questo stiamo parlando) di un popolo, quello inglese, che aggiunge, così sporcando la propria immagine, il prefisso IN (CIVILE) solo quando fa capolino dalle parti nostre: chissà perché... La ‘metro’ di Londra è anche sinonimo di velocità (il triplo di quella romana), organizzazione (loro hanno uno stuolo di strateghi plurilaureati con tanti master da riempirci la Cappella Sistina, mentre i nostri sono solo quelli che provano a indovinare la formazione del C.T. ai prossimi Mondiali di calcio e che nella Cappella Sistina non sono mai neanche entrati), efficienza (da noi, se questa parola la conosci, la eviti come la peste) e comfort (tutti i vagoni londinesi hanno comodi sedili simili a poltroncine di ‘vittoriana’ memoria, quelli di Roma, invece, sono scomodi come sedie da tortura medioevale con l'aggiunta della scossa elettrica repentina e ripetuta). Se vogliamo dire che noi italiani siamo sempre allegri divertenti, buffi, spassosi, geniali, poeti, creativi, pastasciuttari, abilmente disonesti e marpioni, santi e navigatori diciamolo pure! Sguazziamo pure nel nostro ”eterno oceano autoglorificante”, che ci attira sempre più antipatie e che ci ‘sputtana’ in modo inverecondo da Portland Oregon a Timbuctu. Se questo millenario prenderci per i fondelli da soli ci fa sentire in pace con noi stessi e superiori a tutti gli altri popoli, seguitiamo a dire che siamo i migliori, nonostante tutto. Illudiamoci pure, ma quando poi l'ultimo dei presunti ‘peggiori’ si fa una risata che piomba dentro ai nostri timpani dopo essersi fatto una trasvolata transoceanica e il fracasso di quella impietosa risata ci assorda senza pietà non lamentiamoci, please... “Mind the gap” dice la vocina dall'altoparlante, riferendosi al buco tra la banchina e il vagone: fiato sprecato se a udirla, quella vocina, siamo noi ‘Italians’, perché nella ‘buca dei fessi’ ci cadiamo 25 ore su 24. E ognuno ha il buco che si merita.


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