Carla De LeoIn occasione della seconda edizione del ‘Roma Fringe Festival’, tenutasi di recente presso il parco di Villa Mercede nel popolare quartiere capitolino di San Lorenzo, una rappresentazione ha particolarmente ‘toccato’ la sensibilità del pubblico, sino a giungere alla semifinale di questo interessante ‘contest’ teatrale: lo spettacolo scritto e diretto da Savino Genovese: ‘Io sono la luna’, dedicato al tema dell’obesità. In questa pièce vengono infatti posti in evidenza, con straordinaria delicatezza, alcuni momenti di vita ‘tipici’ della persona affetta dal problema del sovrappeso. La lucidità della recitazione e la capacità di penetrazione psicologica dei due attori protagonisti (Viren Beltramo e lo stesso Savino Genevose) contribuiscono a rafforzare l’efficacia di una messa in scena che non vuole offrirsi in quanto ‘rimedio’ e non ha lo scopo di fornire soluzioni, ma intende semplicemente ‘informare’ gli spettatori nel merito di questa troppo spesso sottovalutata ‘piaga’ sociale, mostrando retroscena familiari, discriminazioni ed esclusioni affettive, ovvero le difficoltà con le quali molti obesi ‘fanno i conti’ nel corso della loro vita. Savino Genovese, in questa intervista, ci racconta com’è nato questo progetto, con il quale propone un tipo di teatro - integrato anche in alcuni percorsi didattici - che riesce a raggiungere ‘le coscienze’ e a informare il pubblico intorno alle scelte e gli atteggiamenti che tutti noi assumiamo nei confronti di coloro che consideriamo ‘diversi’.

Savino Genovese, perché è scomodo parlare di obesità?
“Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto, finché non vedi che questo è un problema - spesso non si vuole vedere, accettare e considerare la questione del sovrappeso come un problema - non si è nemmeno in grado di affrontare l’argomento. E, non meno importante, credo che l’obesità sia da considerarsi alla stessa stregua della dipendenza e di alcuni episodi di cronaca: la gente non vuole essere toccata da ciò che non conosce, che considera ‘diverso’ e che, quindi, potrebbe turbarla. Oltretutto, parlare di peso in eccesso come di una malattia equivale a mettere in discussione un intero sistema culturale per il quale il cibo è un ‘dono di Dio’ e in cui gettarlo o non finirlo è considerato un grave peccato morale. Di conseguenza, per quelle famiglie che, in passato, hanno sofferto la povertà, la miseria e la fame aver avuto, successivamente, cibo in abbondanza ha significato aver raggiunto uno status sociale migliore: essere diventati benestanti. Questi retaggi hanno portato a considerare il bambino ‘cicciotto’ o ‘in carne’ non come ‘malato’, bensì ‘benedetto’ e pieno di salute. Ai giorni nostri, l’obesità dipende molto anche dall’atteggiamento di sufficienza e superficialità che assumiamo nei confronti del cibo. Oggi, possiamo accedere a tutto con grandissima facilità e velocità. E le persone non pensano a quello che mangiano, non si curano delle qualità di un alimento e, complici pubblicità, costumi e stili di vita che portano a star fuori casa molto tempo, si lasciano ‘gestire’, prediligendo il gusto alla salubrità di un piatto. Dovremmo essere noi a gestirci, soprattutto nel rapporto con il cibo. Invece, in questo momento, ci stiamo lasciando gestire molto”.

Lo spettacolo prende ispirazione da episodi autobiografici: perché hai voluto raccontare la tua esperienza personale?
“Alle medie ero ‘cicciotto’ e, nonostante adesso abbia superato il problema, ricordo bene gli sguardi della gente e le difficoltà, fisiche e psicologiche, che ho dovuto affrontare. Buona parte dello spettacolo è sviluppato a partire da fatti accaduti realmente. La scelta di essere fedele alla mia esperienza e l’aver chiarito al pubblico che io stesso, da ragazzo, sono stato obeso, rispondevano a delle necessità morali che dovevo garantire intorno a un argomento così delicato. Usare la mia storia mi è sembrato il modo migliore per sembrare il più credibile e autentico possibile. Allo stesso tempo, desideravo fosse chiaro che non ero insensibile al tema e che non lo stavo affrontando con la presunzione di chi parla di qualcosa che non conosce. Del resto, io cerco sempre di mettere qualcosa di mio negli spettacoli, perché ho la speranza che, attraverso il racconto di vicende personali, si possa essere d’aiuto agli altri”.

E in quale modo questo spettacolo può essere d’aiuto agli altri?
“Credo che le persone molto grasse, poiché considerate ‘diverse’, facciano paura, soprattutto se non le si conosce. Mostrarle, invece, attraverso una rappresentazione teatrale ed evidenziandone le fragilità, i sentimenti calpestati dalle discriminazioni, gli stati d’animo e le frustrazioni, mi dà la speranza ch’io possa contribuire a far pensare prima di agire o parlare, che possa esser spunto di riflessione per le persone, affinché decidano in quale modo comportarsi e come affrontare il ‘diverso’. Lo spettacolo non vuole offrire risposte e soluzioni per superare il problema dell’obesità: il nostro obiettivo è soprattutto quello di informare mediante le testimonianze e le immagini che abbiamo cercato di fornire in modo anche leggero e ironico, per non appesantire il pubblico e rendere fruibile la rappresentazione. Credo di essere riuscito a offrire quel punto di vista ‘altro’ che dovremmo aver tutti in mente quando si attua il libero arbitrio. Ad esempio, nella scena della rissa tra il bambino grasso e un altro che lo ha offeso, si possono rintracciare diversi punti di osservazione: quello della vittima e quella del ‘bullo’. Non dimentichiamo, però, che in queste situazioni ci sono anche gli ‘ignavi’, coloro che non reagiscono, che non prendono posizione e, soprattutto, non fanno nulla, restando in disparte a guardare. Informare, quindi, e mostrare: attraverso lo spettacolo speriamo di portare un piccolo contributo nelle scelte e negli atteggiamenti quotidiani delle persone”.

‘Io sono la luna’ ha ottenuto il patrocinio di diverse associazioni di medici, nutrizionisti e Asl ed è stato anche inserito nei programmi didattici di molte scuole piemontesi: com’è cominciato tutto?
“Nella fase di stesura del testo ho fatto molte ricerche, ho raccolto testimonianze, ho incontrato medici, dietologi, persone affette da obesità e persone che, come me, avevano superato il problema. Non volevo rischiare di descrivere un falso ‘quadro’ del problema e, per questo, mi sono rivolto anche a diverse associazioni e istituzioni che, riconosciuta la validità del progetto, lo hanno supportato offrendomi la loro disponibilità a fornire informazioni professionali. Ma non solo: queste associazioni ci sostengono anche in termini di propaganda dello spettacolo e di buona pubblicità. Siamo stati contattati dall’Associazione Obesi del Ticino, che ci ha fatti esibire davanti ad un pubblico di 100 persone interamente ‘oversize’. L’esperienza è stata molto toccante e commovente: ha costituito la tappa e la prova più dura, per noi e per lo spettacolo. Fortunatamente, il pubblico ha sentito la rappresentazione vicina e solidale. Successivamente, ‘Io sono la luna’ è stato accolto all’interno dei programmi didattici di molte scuole in Piemonte, istituti che desideravano sensibilizzare gli studenti intorno al tema dell’obesità”.

Come reagiscono i ‘giovanissimi’?
“Finora abbiamo avuto bellissimi incontri, soprattutto nelle scuole medie. Molti ragazzi affetti da obesità si identificano nell’adolescente ‘grasso’ dello spettacolo e in altre situazioni ‘classiche’, rivivendo particolari sensazioni e stati d’animo. Tra i ragazzi ‘sani’, invece, dopo un’iniziale reazione di grandi risate, piomba il silenzio come conseguenza dell’immedesimazione (o della presa di coscienza) nelle mortificazioni che subisce una persona obesa. Esempio tipico è la scena del ‘bacio mai dato’, in cui i due ‘corpi grassi’ di un ragazzo e una ragazza provano ad avvicinarsi per scambiarsi un bacio ma non ci riescono. In questo caso, i ragazzi si divertono e ridono molto. Quando poi, però, il ragazzo obeso cade a terra e non riesce più ad alzarsi, nemmeno dopo infiniti tentativi e sforzi, i giovani spettatori restano colpiti e cade in sala un silenzio assoluto: riescono a comprendere, infatti, quale senso di frustrazione, di intimo dolore e di vergogna può provare una persona affetta da obesità. A fine spettacolo, si avvicinano con curiosità e interesse, ci fanno domande, si congratulano con noi. E considerando che si tratta di un pubblico di adolescenti, la considero una grande vittoria. Non solo perché li hai catturati, ma soprattutto perché è ‘passato’ il messaggio”.

Hai mai incontrato difficoltà?
“Fortunatamente, il pubblico, indipendentemente dalla ‘taglia’, ha reagito sempre molto bene e, cosa più importante, è rimasto sempre ‘toccato’ ed emozionato. L’unica piccola difficoltà l’ho incontrata nella fase di studio dei costumi: io ho creato l’idea registica, ma ho affidato il progetto a una società che si occupa di grosse strutture, come tendoni enormi, gonfiabili ad aria. Abbiamo dovuto ‘adattare’ la tecnologia, poiché avevo bisogno di qualcosa che si gonfiasse e si sgonfiasse molto velocemente e che fosse, al tempo stesso, molto leggero”.

Progetti per il futuro?
“Per il testo di ‘Io sono la luna’: ho la speranza di farlo conoscere in tutta Italia. Finora ci siamo esibiti prevalentemente in Piemonte. Al Fringe di Roma era la prima volta, Svizzera a parte, che ci esibivamo fuori dalla nostra regione. Poi sto già pensando a nuovi spettacoli, impegnati nel sociale. Credo in un teatro ‘impegnato’ e ho sempre l’ambizione che, attraverso il mio lavoro, possa essere d’aiuto alle persone”.


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