Vittorio LussanaIl secondo personaggio del ciclo di interviste intitolate ‘Vittorio Lussana incontra’ - la rassegna di protagonisti di primo piano che, nel corso di questi anni di lavoro, mi è capitato di incontrare, di frequentare o con cui ho avuto modo di collaborare - è Alessandra Pesaturo, interessante volto televisivo del telegiornale di Rete Oro, emittente assai nota dai colleghi della ‘piazza’ giornalistica romana. Alessandra, infatti, proprio in questi giorni ha ricevuto presso la sala della Protomoteca del Campidoglio in Roma, il premio Europa, riconoscimento ormai giunto alla 41esima edizione e organizzato dal Consiglio provinciale di Roma, dall’Assessorato alle politiche culturali del Centro storico di Roma Capitale e dal Centro europeo per il Turismo.

Alessandra Pesaturo, in questi giorni hai ricevuto il premio Europa, riconoscimento che è andato a ricompensare l’impegno di una giornalista che, pur essendo dotata di evidenti qualità estetiche, ha preferito lavorare ‘sodo’ e scegliere una strada difficile come quella del giornalismo, anziché quella del mondo dello spettacolo: puoi raccontarci brevemente il tuo percorso?
“Sì, in effetti la bellezza, in una donna, all’inizio può rappresentare un biglietto da visita che accattiva i cuori, sempre ammesso che questa, nel tempo, si mantenga. Ma se a un certo punto non ci si mette veramente in gioco e non si studia non si ottengono veri risultati: non ti regala niente nessuno”.

La motivazione ufficiale del premio è stata quella di “aver sensibilizzato l’opinione pubblica capitolina verso le tematiche di carattere europeo”: dunque, hai voluto interpretare il tuo ruolo di giornalista romana non in senso strettamente locale, bensì come quello di una collega che opera soprattutto in una capitale europea?
“Certamente: Roma è senza dubbio una capitale europea ed è, soprattutto, la capitale d’Italia. Essere un giornalista che fa il locale, in particolar modo in una metropoli di questo genere, non significa seguire solamente quel che avviene sul territorio: Roma è anche la capitale delle istituzioni, quindi il locale diventa spesso nazionale e il nazionale, molte volte, addirittura internazionale. Inoltre, lavorare a Roma significa avere a che fare con tutti, incontrare chiunque, vivere in una realtà sociale in cui accade veramente di tutto. Dunque, un servizio può nascere anche da una notizia che può giungere direttamente dalle persone che si incontrano: fare la giornalista a Roma, insomma, significa essere pronta a tutto”.

Tornando al tuo percorso personale, ciò che più mi ha incuriosito è il fatto che non è la prima volta che vinci il premio Europa: in passato, infatti, lo avevi ricevuto per motivazioni artistiche, non è così?
“Sì. In questi giorni sono molto emozionata, infatti, perché la prima volta, nel 1997, questo premio l’ho vinto come prima ballerina”.

Prima ballerina di quale corpo di ballo?
“Quello di tante trasmissioni televisive della Rai, tra cui quelle del Bagaglino”.

Quindi, tu nasci come una ragazza di Pingitore?
“Diciamo che io sono la ‘mia’ ragazza, anche se come ballerina ero una libera professionista che ha lavorato praticamente con tutti e, sì, per lungo tempo con Pingitore: quasi dieci anni preziosissimi, debbo dire, per la mia maturazione personale. E’ vero, però: debbo molto a Pingitore”.

Tra l’altro, quella è una ‘scuderia’ dalla quale sono emersi nomi di primo piano come Gabriella Labate, Valeria Marini e Nathalie Caldonazzo. Tuttavia, tu a un certo punto, anziché limitarti a fare la ‘vip’ da discoteca, hai deciso di intraprendere la carriera giornalistica: perché?
“Perché ero stanca di essere giudicata per la mia bravura artistica – perché, diciamolo chiaramente, ero molto brava a ballare – ma anche in base a una certa ‘leggerezza estetica’: a un certo punto, ho sentito il bisogno di dimostrare che dietro alla ballerina c’era qualcosa di più. Dunque, ho deciso di impegnarmi veramente e mi sono messa a scrivere articoli, iniziando una durissima ‘gavetta’. Dopo un paio di anni, sono diventata pubblicista. A quel punto, ho deciso anche di terminare gli studi e di prendermi una laurea. Nel frattempo, ho continuato a lavorare sino ad approdare, finalmente, all’esame di Stato, superato il quale sono divenuta giornalista professionista. Ho voluto farlo non perché io ritenga che vi sia una differenza sostanziale tra un bravo pubblicista e un giornalista professionista, bensì perché rappresentava un qualcosa in più, che andava a coronare i miei lunghi anni di impegno e di fatica“.

In ogni caso, si tratta di un salto di qualità alquanto insolito, soprattutto per come sembrano andare le cose in questi anni, in cui la televisione appare concentrarsi molto su personaggi che durano il tempo di una stagione, oppure si nutre di alcune prime ‘esplosioni’ senza andare incontro alle esigenze di effettiva qualità deontologica e professionale: qual è il tuo parere al riguardo?
“Questo te lo confermo non solamente da giornalista televisiva, ma da telespettatrice: da una parte, sono nostalgica nei confronti di quei colleghi che, con le loro rughe, i loro capelli bianchi e la loro professionalità di lungo corso, ti donavano anche un alto grado di affidabilità e di professionalità; dall’altra, credo sia ormai sorta, in questo mestiere, una questione ben precisa sotto il profilo strettamente formativo. Non intendo dir questo perché non sia fiduciosa nei riguardi dei giovani, molti dei quali sono bravissimi, bensì perché la situazione attuale mi appare alquanto delicata in termini ‘meritocratici’. In ogni caso, questo fatto di mettere da parte una brava giornalista perché ormai un po’ in là con l’età, per prenderne un’altra bellissima e giovanissima, magari anche preparata, per carità, mi dà tanto l’impressione di una deriva verso il ‘velinismo’: una tendenza che non mi piaceva prima e che, tantomeno, condivido oggi. Questo non è un lavoro come un altro: si tratta di una professione intellettuale, di concetto, molto delicata, che dunque andrebbe svolta sulla base di una preparazione effettiva, misurata sul campo”.

Quanto è difficile riuscire a vivere di questo mestiere?
“Molto: ci sono troppi luoghi comuni su questo nostro lavoro. Anche perché, diciamolo: molti sono convinti che noi giornalisti si guadagni bene, che si faccia una vita da benestanti, mentre invece non è affatto così. Bisogna sottolinearlo: ci sono colleghi, preparatissimi, che prendono stipendi veramente bassi, oppure altri ancora che vanno avanti con ‘contrattini’ a tempo determinato, terminati i quali sono poi costretti a vivere di precariato… Tolto chi ormai si ritrova in una condizione professionalmente affermata, noi che facciamo le locali, per esempio, facciamo molta fatica, soprattutto in una città come Roma, in cui, ribadisco, succede veramente di tutto: non ci sono orari, non ci sono festività e devi sempre essere disponibile. Il giornalista non è un mestiere in cui si timbra un ‘cartellino’: quando accade un fatto qualsiasi, una disgrazia o una calamità, la gente tende a fuggire dal luogo in cui una certa cosa è successa, mentre noi giornalisti, invece, dobbiamo recarci proprio là… D’altronde, tutto questo fa parte del ‘gioco’: quello di poter fare il mestiere più bello del mondo”.

Molto bene Alessandra: mi ha fatto veramente piacere incontrarti e colgo l’occasione per farti i miei migliori auguri di buon Natale e un felicissimo anno nuovo…
“Anche a me ha fatto molto piacere vederti. E faccio i miei migliori auguri di buone feste a te e a tutti i lettori di www.laici.it”.


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