Daniele Capezzone, Segretario Nazionale dei Radicali italiani, ci espone in quest’intervista il proprio scetticismo circa le capacità politico-progettuali dei Democratici di sinistra.

Daniele Capezzone, rieccoci qui a parlare della sinistra italiana: sareste interessati, voi radicali, ad una scissione dell’ala riformista o ‘migliorista’ dei Ds per la creazione di un nuovo luogo di equilibrio politico e di dialogo al centro dei due schieramenti di coalizione?
“Credo che dobbiamo abbandonare formule comprensibili solo al ‘Palazzo’, al microcosmo di chi vive di politica, per immaginare proposte che parlino al 100% degli elettori e, in particolare, a chi oggi si astiene. Perciò, piuttosto che precostituire schieramenti e convergenze partitiche, il problema è quello dei contenuti. Nell'Italia della ‘non-riforma’, di una destra che, alla sua prova di governo, ha scelto la linea Bossi-Tremonti che sta fallendo clamorosamente, ma anche di una sinistra che, a parte il cemento dell'ostilità a Berlusconi, non ha un progetto di modernizzazione, noi rilanciamo la "Riforma americana delle istituzioni, dell'economia e della giustizia". Lo spartiacque è sempre più nettamente quello tra il modello anglosassone e quello dell'Europa continentale: oggi, quest'ultimo è il fronte della conservazione, della difesa dello status quo sotto ogni punto di vista”.

Ma la confusione ideologica dei Ds a cosa è dovuta, secondo lei? Si è ormai esaurita la spinta propulsiva del ‘buonismo veltroniano’?
“Insisto. Al di là del successo alle amministrative, il problema è che non c'è respiro. Domando: qual è la proposta di Fassino? Qual è la strategia di D'Alema? Cosa propongono per la riforma istituzionale, sull'economia, sulla giustizia? Oltre ad accodarsi al coro antiamericano e antioccidentale, cosa hanno da dire sulla politica internazionale? Stanno con Blair o preferiscono Agnoletto”?

Condivide l’esigenza avanzata dal Direttore del Foglio, Giuliano Ferrara, di una nuova Terza Repubblica? E quale sarebbe il ruolo che voi radicali vi vorreste ritagliare? E quello della sinistra riformista, quale dovrebbe essere?
“Siamo ancora sotto le macerie della prima… Il guaio è che Ferrara, sempre più bravo e fascinoso, pur predicando lo scontro e i ‘toni alti’, ha nel cuore un nuovo ‘inciucio’, come ha onestamente scritto. Per lui, il Polo dovrebbe scegliere la stessa carta giocata dal suo amico/nemico D'Alema all'epoca della Bicamerale: tenere banco al ‘tavolo dell'inciucio’ per meglio conquistare l'egemonia. Ma questa prospettiva non ha funzionato a sinistra e sta fallendo anche per il Polo. Oltre a produrre il declino del Paese”.

Durante il crollo della prima Repubblica, Marco Pannella affermava che ideologicamente aveva vinto lo spiritualismo liberale ed europeista di Croce e Spinelli: come mai questa ‘vittoria filosofica’ non si è poi tradotta in un’affermazione politica definitiva? E chi potrebbe ottenerla, un giorno? Un centro ‘lib-lab’? Una sinistra riformista e moderata? Non ci dica che dobbiamo attendere il ritorno dei democristiani…
“No, il problema è che in Italia c'è una seria questione di democrazia, che ha poco a che fare con il ‘caso Berlusconi’, che ne è espressione e non causa. In quale Paese del mondo occidentale si tollererebbe lo stravolgimento di referendum regolarmente vinti (legge elettorale, finanziamento pubblico dei partiti, responsabilità civile dei magistrati)? O che nelle liste elettorali siano inclusi morti e fantasmi? O che la Corte Costituzionale abbia illegalmente bocciato oltre la metà dei referendum presentati in questi anni (e con scelte politiche, non giuridiche, come è stato riconosciuto dagli stessi ex-Presidenti della Corte)? Questi sono solo esempi, ma testimoniano come siano stati lesi gli strumenti che potrebbero consentire ai cittadini di mandare a casa questi partiti. Basterebbero due mesi di dibattito aperto e si realizzerebbe, di nuovo, un fenomeno simile a quello della Lista Bonino del '99, o di Pim Fortuyn in Olanda, o del partito Shinui in Israele. Forze insieme di modernizzazione a anticonsociative, largamente premiate dagli elettori”.

Il sistema maggioritario all’italiana si è tradotto in un coacervo di schieramenti assolutamente eterogenei e ancora troppo distanti dai problemi concreti della società: si è curato un ‘cavallo zoppo’ con un colpo di fucile?
“Semplicemente, il nostro attuale sistema elettorale non ha nulla a che fare con il maggioritario inglese o americano. Oggi, non c’è bipartitismo, ma un bipolarismo in cui ciascun Polo è fatto da sette-otto partiti, ognuno dei quali è in grado di ricattare e far cadere il Prodi o il Berlusconi di turno”.

Tornando alla sinistra, ci sarà la scissione nei Ds o sarebbe un autentico suicidio politico?
“No, staranno uniti, perché il loro unico obiettivo è ‘battere Berlsuconi’. Il problema è che non vedo un solo progetto in positivo”.

Siamo giunti alla ‘fine della politica’, secondo lei?
“O la politica recupera il suo valore di ‘creazione del nuovo possibile’, o altrimenti tutto si riduce a un ‘Porta a porta’ permanente, con gli insulti tra Schifani e Angius... E poi ci si chiede perché la gente va meno a votare...”.

Berlinguer, Craxi, Pannella, La Malfa, Di Vittorio, Amendola, Saragat: potrebbero essere i ‘numi tutelari’ di una nuova sinistra?
“Il problema non è quello di un ‘Pantheon’, in cui tra l'altro convivono storie (nel caso di Pannella, attualità) molto diverse tra loro. Io credo - lo ripeto - che valga per la sinistra quel che vale per il Polo: al di là della prospettiva dell'immediata ‘vittoria’ o ‘sconfitta’, sono entrambi perdenti, nel medio periodo, se non si danno un obiettivo di Riforma. Americana, anglosassone, o, almeno, blairiana”.

Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio