Giorgio PrinziIl Comitato italiano per il rilancio del nucleare (Cirn) ritiene che i ricercatori che hanno ideato e condotto l’esperimento sulla velocità dei neutrini avrebbero dovuto usare un approccio comunicativo più prudente, ripetendo ancora, almeno una volta, l’esperimento in condizioni differenti prima di rendere di pubblico dominio risultati di apparente sconvolgente portata scientifica, i quali, se non troveranno l’auspicata conferma che tutti ci auguriamo, rischiano di ritorcersi in maniera negativa. L’esperimento per fornire dati con ristretto margine di errore presenta infatti alcune criticità di misura che sarebbe stato opportuno sottoporre a ulteriore verifica. In particolare, appare determinante la precisione della misurazione della distanza lineare tra generatore di neutrini e bersaglio, in quanto una indeterminazione nella misurazione di soli 50 centimetri sugli oltre 730 chilometri che separano il Cern di Ginevra dai Laboratori del Gran Sasso, porterebbe a un’indeterminazione, in più o in meno, di 40 chilometri al secondo (km/s) nella misurazione della velocità del flusso di particelle, ben superiore ai 6 km/s, sui 300.000 km/s convenzionalmente attribuiti alla velocità della luce che hanno fatto ritenere che il fascio di neutrini abbia viaggiato superando effettivamente questo limite, ritenuto invalicabile dalla teoria di Einstein. Ricalcando la definizione liceale della filosofia, potremmo dire che la questione della velocità dei neutrini è “quella cosa con la quale e senza la quale il mondo rimane tale e quale”, almeno perora e sino a quando, sempre che l’esperienza verrà confermata, non troverà delle applicazioni ingegneristiche. L’equazione di Einstein (E=mc2) nella chiave lettura attraverso l’ottica dell’equazione di De Broglie ? = (h/mc), ottenuta eguagliando l’espressione di Einstein a quella del “quanto” di Planck (E = h?), supera la contrapposizione tra massa ed energia dal momento che ogni particella si trova ad avere al tempo stesso attributi d’onda (la lunghezza d’onda “?”) e attributi materiali (la massa “m”); pertanto, variando la sua energia si ha al tempo stesso variazione della sua massa e della sua lunghezza d’onda associata, con il suo inverso “?” che esprime la frequenza, secondo la relazione trovata da De Broglie. Correttamente, in una intervista sull’argomento, il professor Antonio Zichichi afferma che i neutrini, contrariamente a quanto si è creduto in passato, debbano avere una massa, altrimenti le leggi fisiche non avrebbero validità generale. Inoltre, i neutrini attraversano grandi spessori di materia per cui, in analogia a quanto avviene in generale, si deve supporre che la loro lunghezza d’onda sia estremamente piccola, come peraltro in accordo con l’espressione di Planck, in quanto tra frequenza e lunghezza d’onda esiste una relazione inversa per cui più è piccola “?”, più è grande la frequenza “?”, quindi il suo prodotto per“h” (una costante detta di Planck) che esprime l’energia della particella, appunto molto elevata per i neutrini. Però se verifichiamo la cosa in funzione dell’espressione di De Broglie essi dovrebbero avere una massa alquanto grande, cosa che non contrasterebbe con la piccola massa che viene loro attribuita a riposo, ma non se invece si scrive l’equazione di De Brogliein forma relativistica, troppo complicata per la grafica di un quotidiano, in maniera da tenere conto della variazione della medesima sino a velocità prossime a quelle della luce. Fantascienza? Assolutamente no, in quanto questi concetti hanno trovato applicazione pratica da parte di rudi e concreti ingegneri soprattutto nel campo della difesa antimissile. Accelerando un fascio di “volgarissimi” elettroni a velocità dell’ordine di grandezza di quella della luce, cioè fornendo loro energia sempre crescente in quanto quella della luce è un limite sinora ingegneristicamente insuperabile, si ottiene in uscita del “cannone” un fascio di radiazioni gamma, adatte all’abbattimento di vettori balistici con testate nucleare. La fisica relativistica e quella quantistica hanno addirittura applicazioni ingegneristiche, non possono pertanto venire cancellate, semmai comprese in una visione teorica più ampia, di cui al momento, anche se venisse confermato che queste particelle si muovono a velocità superiore alla luce, non c’è alcuna formulazione se non quella a cui, nella citata intervista, fa proprio riferimento il professor Zichichi dello spazio a più dimensioni, che è di origine matematica e non fisica, ancor meno ingegneristica. La fisica teorica, a volte, sconfina nella filosofia. Per questi motivi invito alla prudenza prima di parlare della scoperta del secolo. I limiti convenzionali di trecentomila chilometri al secondo sarebbero stati superati di soli 6 (sei) chilometri, con uno scarto percentuale inferiore allo 0,00002%, che non comporta neppure decurtazione di punti sulla patente dei neutrini e forse neppure sanzione pecuniaria perché compatibile con l’indeterminazione sperimentale. I dati potrebbero, per esempio, essere affetti da un errore sistematico, che, se non scoperto nel riesame della procedura, potrebbe falsare i nuovi esperimenti. Una controprova a mio parere dovrebbe venire fatta trasferendo l’apparato di ricezione del Gran Sasso in altra località, possibilmente a distanza notevolmente diversa (superiore) da quella tra il laboratorio italiano ed il Cern. Un elemento di errore sistematico potrebbe essere ad esempio la non perfetta sfericità della Terra, non calcolata o erroneamente calcolata nella determinazione della distanza tra punto di partenza e punto d’arrivo. In metri, una differenza di 66 nanosecondi nel tempo di percorrenza corrisponde, alla velocità della luce, ad uno spazio di una ventina di metri, uno scarto dello 0,000027% sulla distanza di 732 km “esatti”. Si tratta ovviamente di una ipotesi teorica, portata a solo titolo di ipotetico esempio per mettere in evidenza la precisione occorrente per le misurazioni di questo esperimento. Un errore sistematico dovuto invece ai sistemi di misura, in particolare a quelli temporali, dovrebbe rimanere praticamente inalterato al variare della distanza di sperimentazione. L’analisi dei dati ottenuti con i due diversi eventuali esperimenti potrebbe dare dati significativi per la conferma o meno della“infrazione” da parte dei neutrini al limite di velocità ipotizzato da Einstein. Comunque, se si ipotizza per la distanza un errore massimo di 50 centimetri e per il tempo l’indeterminazione di un nanosecondo, l’errore di determinazione della velocità dei neutrini sarebbe di più o meno 40 chilometri, cioè tra i 299.966 e i 300.046, intervallo in cui cade la velocità effettiva della luce di circa 300.000 chilometri al secondo. Se ne dovrebbe concludere che non si è riscontrata alcuna anomalia, perché la velocità rilevata per i neutrini cadrebbe dentro questo intervallo. I ricercatori sostengono però di avere misurato la distanza con una precisione di 20 centimetri e il tempo con l’approssimazione di 6 nanosecondi. Con queste precisioni l’errore sulla velocità misurata sarebbe di appena 182,5 metri al secondo, quindi la velocità effettiva dei neutrini dovrebbe risultare compresa tra i 300.005,8175 e i 300.006,1825 chilometri al secondo. Tutto, la grande scoperta del secolo, si gioca quindi sulla precisione (ma in realtà vi sono altri fattori altrettantocritici) della distanza lineare. Al riguardo sono stati già avanzati dubbi anche perché le misure relative alla galleria del Gran Sasso, quella vera e non quella virtuale del comunicato stampa del Miur del ministro Gelmini, sono state fatte con metodi da cantiere stradale, forse non in grado, per quanto con scrupolo eseguite, di garantire quell’errore massimo di localizzazione di 20 centimetri, all’interno del quale i ricercatori si dicono certi di essersi mantenuti.




Segretario nazionale del Comitato italiano per il rilancio del nucleare (Cirn)
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