Vittorio LussanaIl male esiste. Ne abbiamo avuto la prova assoluta esattamente dieci anni fa, di fronte all'immane tragedia di New York. Ciò che più mi sconvolse quel giorno fu il fatto che stavo osservando quegli accadimenti in diretta, in tempo reale: non si trattava di un servizio giornalistico riportato da qualche nostro corrispondente della Rai. E mentre osservavo la prima torre andare letteralmente a fuoco, ecco un secondo aereo infilarsi nell'altro grattacielo, con un impatto sconvolgente. Il veivolo si disintegrò all'istante e, con esso, le persone che vi erano a bordo. Il mondo reale, terreno, tutto il pianeta intero era stato convocato per vedere il Male dal vivo, affinché fossimo testimoni della sua esistenza fisica, concreta. Ho molto amato il cinema horror, da ragazzo. Tuttavia, nei confronti degli amici che cercavano di propinarmi una di quelle stucchevoli pellicole americane relative a disastri aerei, terremoti e inondazioni varie, erano regolarmente 'volati' gli insulti: "Che gli americani se ne stessero a casa propria, se vogliono evitare certi incubi a occhi aperti...", affermavo dall'alto di quella nostra cinica cultura europea che ci fa apparire gli statunitensi come dei 'bambinoni' ingenui, ossessionati dal bisogno di esorcizzare le loro paure. Ma l'incubo di Ground Zero non era un film. Non si trattava di un programma di cui si poteva anche fare a meno: era cronaca, non una fantasticheria apocalittica. Ti chiedevi e mi chiedevo, in continuazione: "Ma sta accadendo veramente? E com'è possibile? Ma al Pentagono cosa fanno? Perché non intervengono? Perché i loro 'caccia' non sono in volo per abbattere questi aerei, per respingere il pericolo, per controllare il cielo del Paese"? Sino a quel giorno, tutti quanti avevamo sempre dato per scontato che, in caso di un'invasione aliena, tanto per fare un esempio alla Orson Welles, la prima forza militare che sarebbe intervenuta al fine di difendere il nostro piccolo pianeta sarebbe stata proprio quella americana. Come in 'Indipendence day', tanto per intenderci, con il classico presidente 'kennediano' che si mette personalmente alla guida della propria flotta aerea. Quel genere di stupidaggini nazionaliste che tanto entusiasmano Walter Veltroni, insomma. E invece, niente: 50 anni di guerra fredda e questi qui, gli americani, si stavano facendo 'malmenare' in diretta da quattro arabi con un temperino in mano. E per fortuna che i sovietici non ci avevano mai pensato a tentare una cosa del genere. Anche per loro, probabilmente, riuscire a mettere in ginocchio l'intera New York nel giro di venti minuti rappresentava un qualcosa di assai lontano da ogni schema militare classico. Osservare il Male colpire in diretta televisiva lascia senza parole, ti ammutolisce: questa è la cosa che ho imparato quel giorno. Si trattò di un trauma autentico, reale, che si poteva toccare con mano, la fine di ogni fantasia, la morte di ogni illusione. Ogni cosa non significava più nulla, non valeva più niente. Nessuna possibilità di poter immaginare un mondo diverso, sereno, tollerante, pacifico: niente, non c'era più niente. Colpiti, ammutoliti, inermi, una realtà umana riportata allo stadio larvale dalla più atavica disumanità, sullo stesso piano biologico degli insetti, come se tutti quanti facessimo parte di un 'formicaio' che si poteva distruggere all'improvviso, tutto assieme. Quali categorie culturali si potevano richiamare, quel giorno? La rabbia rivoluzionaria? Un reazionarismo totalmente dissociato dalla nostra coscienza? Riallacciarsi moralisticamente all'inciviltà, all'immoralità, all'orrore? Meri esercizi di retorica. Muti e impotenti: forse era questo l'esito cercato dai terroristi dell'11 settembre 2001. Volevano dirci che l'uomo era niente di fronte alla volontà di un dio. Tentarono di trascinarci verso un nuovo scontro tra civiltà, religioni e culture. Per quanto dolorosa possa esser stata la tragedia immane di quel giorno, si è trattato del più incredibile 'autogol' da parte del fanatismo religioso, la prova definitiva della morte di ogni tipo di misticismo escatologico nel nostro tempo. Da quel giorno, di Dio non ne ho proprio voluto sapere più nulla. Tutti hanno cominciato a parlarne e a scriverne: i talebani, il burqa imposto alle donne, il velo, la democrazia da esportare, la questione di un intero pianeta da secolarizzare, da razionalizzare, da riportare a un minimo di decenza civile. Ma in realtà, tutto quell'improvviso parlare di religioni, fedi, credenze e fondamentalismi ha definitivamente chiuso la porta a ogni speranza di fede, a ogni forma di riscatto universale. Perché Ground Zero è stata la prova definitiva che in questo mondo non c'è nulla, ma proprio nulla, se non la nostra follia.


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vittorio baccelli - italia - Mail Web Site - giovedi 8 settembre 2011 12.46

11 SETTEMBRE – 10 ANNI FA

LUCCA - Quello sciagurato 11 settembre di dieci anni fa, ero entrato in mattinata a prendere un caffè in quel bar di via San Giorgio, che adesso più non c'è, ove in anni più verdi si trovava il Minibar d'Emilio, ritrovo dei giovani impegnati di quel periodo. Stavo recandomi al mio ufficio di piazza San Frediano quando, appena entrato, l'occhio mi cadde sul televisore acceso. E non poteva essere diversamente: sia la barista che l'unico avventore erano letteralmente incollati alla tivù. C'erano le Torri Gemelle e il fumo usciva da entrambe. «Ma che è successo? » chiesi. «Hanno attaccato New York. È la guerra. I terroristi» fu la risposta. E poi silenzio, e anch'io mi trovai confuso, senza aver più niente da dire, mentre nel televisore le scene si ripetevano e mostravano le due torri cadere su se stesse. Impietrito, per un tempo indefinito rimasi a guardare anch'io ipnotizzato le scene che si susseguivano ripetendosi sempre uguali nella loro drammaticità. E non ricordo se poi quel caffè lo bevvi o meno. Sicuramente me ne era passata la voglia. Telefonai a casa, rispose mio figlio più grande, sì avevano visto, lo sapevano già. Restai inorridito, era iniziata la IV Guerra Mondiale, niente sarebbe più stato come prima, il mondo era attonito, io con esso. Sì, la IV Guerra Mondiale, la III era stata la guerra fredda, vinta dall'occidente, ma il blocco sovietico aveva fatto tutto da solo per perderla. Rimasi esterrefatto per quell'attacco sfrontato non solo agli Usa, che si dimostrarono maledettamente superficiali e impreparati, ma all'intero mondo civile. Proprio in quei giorni stavo scrivendo uno dei miei due romanzi, se si può definirli così, dato che sono formati da un insieme di racconti, uno nell'altro, nel solco della vera letteratura, quella antica, fantastica, come le Upanisad, la Bagavad Gita, il Talmud, il Vecchio Testamento. Sì romanzi fantastici come quelli antichi, mentre il romanzo moderno è nato nell'ottocento come costruzione borghese, ben definita dal Gruppo 63 in particolare da Manganelli in Letteratura come menzogna, e c'era anche Eco, prima che scoprisse che coi romanzi mallopposi poteva tirar su un sacco di soldi. E le torri entrarono di prepotenza nella mia letteratura, erano più fantastiche della realtà fantascientifica che stavo descrivendo. Ma poi l'occidente alzò quella testa sonnecchiante stimolato anche dalla sveglia della Fallaci, ma questa è un'altra storia. Un'altra storia ove l'occidente vorrebbe ricordare per rimuovere, ma non può, il pericolo è dietro ogni angolo catodico (anche se oggi abbiamo gli schermi piatti). Là si impiccano gli omosessuali, si seguita a lapidare la gente e in un nome di un dio, indegno di chiamarsi tale, si compiono i più atroci misfatti, si vuol giocare con l'atomica per cancellare Israele. E l'occidente seguita a dormire. Quante catastrofi può creare un libro! L'islam che storicamente ha perso tutte le guerre moderne – chi si ricorda che era alleata di Hitler– detta ancora ordini su vignette e libri. Fino a quando? Intanto nelle torri, John Evans, uno dei membri originali della N.Y. Correspondance School, artista rimasto attivo continuativamente fino ai giorni nostri nella mail art, col quale spesso sono stato in corrispondenza artistica, scampò miracolosamente al disastro delle torri gemelle: faceva il giardiniere all’interno, e riuscì ad uscire dalla seconda torre pochi minuti prima del crollo. Anche di una ragazza della lucchesia per giorni non si seppe più niente, ma fortunatamente fu ritrovata illesa.

Ecco il mio racconto di allora, all'inizio rifiutato da tutti i siti, oggi presente sul web,sui miei libri e su numerose antologie.

CINQ ET QUARANTE

cinq et quarante

degrez ciel bruslera

feu approcher de la gran cité neve

istant grand flamme esparse sautera quand

on voudra des normans faire preuve

(Nostradamus)

Fuoco color oro visto dal cielo

sulla terra, lanciato da una

nave aerea creerà stupore

spettacolo di morte

grande strage umana

la città a quarantacinque gradi

distrutta dal fuoco.

Nel mese di settembre

non lontano dall’anno duemila

nella nuova città degli inglesi

i dardi dal cielo compiranno

la loro duplice devastazione

santi simulacri bruciati in ardente torcia

parla la Morte: grande esecuzione.

Di fuoco volante la macchinazione

nella città di dio ci sarà un

incredibile tuono e i due fratelli

saranno separati dal caos,

un terremoto di fuoco dal centro del mondo

causerà lo scuotimento delle due torri

nella nuova città, giochi d’ecatombe.

Chi era entrato uscirà solo per la tomba

due carri di fuoco volanti

bruceranno nel cielo, segno di strage

dal gran nemico dell’umano genere.

(da Nostradamus, liberamente tratto)

Il signore malvagio cammina inquieto nella sua casa: la Casa dei Morti. Gli occhi lampeggiano sinistri illuminando anche i suoi tirati lineamenti canini del volto, le lunghe orecchie fremono e l’immensa aula rimbomba di questa vibrazione.

Il dio è adirato, l’uomo quella anormale creatura dei pianeti Terra sta compiendo un atto sciocco e sacrilego degno della sua immane superbia. “A tua immagine e somiglianza l’hai voluto” gli sussurra la voce interiore dello scarso buonsenso ma lui superiore a tutto volutamente l’ignora.

Il dio malvagio, signore della Casa dei Morti ogni volta che osserva l’uomo, s’inquieta, questi stupidi esseri autonomamente evolutisi dalla sua creazione sono ormai sfuggiti ad ogni controllo: molti adorano altri dei come se non fosse stato lui a crearli, mescolano pure le razze che lui aveva voluto divise. Adesso sui vari piani stanno costruendo due torri per innalzarsi fino a lui. Il dio malvagio dal volto canino è adirato quanto non mai e nelle sue immense aule scaglia ogni ricordo nelle pareti, infrangendolo.

Gli angeli neri, i suoi oppressi si sono da tempo rifugiati nei labirintici sotterranei dell’enorme eremo, solo il suo servo fedele, tremante lo segue ai suoi ordini. E il signore s’aggira ululando nella sua Casa dei Morti.

Che qualcosa non vada ci se ne accorge pure all’altra estremità dei luoghi creati, all’altro lato dei Mondi di Mezzo, ove ad una distanza non calcolabile da mente umana sorge la Casa della Vita abitata dal suo signore fin troppo affaccendato normalmente in questioni banali, ma per lui, e forse per l’intero esistente, essenziali, quali il bello, l’estetica, la danza, la poetica, i profumi, gli orgasmi…

Tutto questo e altro ancora fa parte dei suoi studi e delle sue attività quotidiane.

Ma il dio signore della Casa della Vita si è accorto che una leggera onda nera sta attraversando l’infinito, una vibrazione infernale lanciata dal suo eterno antagonista, lo stupido e malvagio cane che dimora nella Casa dei Morti all’altro estremo dei creati, oltre i Mondi di Mezzo.

Nella Casa dei Morti, nelle sue stanze tetre, l’abominio dalla testa di cane, che è il suo abitante e signore scruta malevolo l’ultima costruzione degli uomini.

Nella Mesopotamia sulle rive dell’Eufrate, gli abitanti di Babilonia, la città fondata dal re Sargon di Accad, attraversando il portale che li mena avanti nelle Terre di Mezzo, hanno consentito ai cittadini di Sennaar di progettare due costruzioni, due torri gemelle che s’innalzano fino a toccare i cieli. Per erigerle hanno lavorato genti provenienti da ogni parti dei mondi e le due costruzioni si stagliano nel cielo in molte delle Terre di Mezzo, cambiano le forme e i luoghi, ma l’unico progetto sta andando avanti. Vogliono coi loro fragili manufatti sfidare la sua supremazia e snidarlo dalla Casa dei Morti. Progetto impossibile e assurdo, ma soprattutto blasfemo nella sua ideazione.

In uno dei Mondi di Mezzo una delle torri già tocca il cielo che in questo mondo è di luminosa roccia e gli uomini già hanno iniziato a perforare la volta del loro mondo, chiamando schiere di minatori. Perché meravigliarsi? Altri hanno descritto mondi in cui “il mare è sospeso sulla volta, mondi costruiti in modo che avvicinandosi da qualsivoglia direzione, si ha l’impressione che manchi completamente di terre emerse. Ma se qualcuno discendesse al disotto del mare che lo circonda, emergerebbe dalla parte inferiore delle acque ed entrerebbe nell’atmosfera del pianeta, scendendo ancora giungerebbe fino alla terra ferma. Attraversandola arriverebbe ad altre distese d’acqua; acque che lambiscono delle terre che si trovano sotto il mare sospeso nel cielo. L’oceano scorre a centinaia di metri d’altezza. Pesci luminosi vi nuotano dando l’idea di costellazioni in movimento: e sulla terra al di sotto ogni cosa risplende.

Si è detto che un mondo come questo, con un mare come cielo, non potrebbe esistere. Evidentemente chi ha fatto questa affermazione si è sbagliato: ammettendo l’infinito, il resto è automatico.”

Dunque anche altri hanno parlato di mondi cavi, qui sotto la crosta uniforme pulsa un mondo luminoso, vivo e vitale. Si è detto che anche un mondo come questo, con la roccia come cielo, non potrebbe esistere. Evidentemente anche chi ha fatto questa affermazione si è sbagliato: ammettendo l’infinito, il resto come è già stato detto, è automatico.

Il cane, signore della Casa dei Morti è pervaso dall’ira anche se sa che le due torri gemelle di Babele presto saranno da lui distrutte: le osserva attentamente per godere ancor di più nel loro crollo che si estende nello spazio e nei tempi.

Giunsero da tutti i mondi per edificarle, in qualche luogo non sono ancora terminate, ma già nei piani ultimati sono abitate da esseri dalle molteplici lingue e, da questi comunicano con le loro realtà, ognuna nel suo tempo e nel suo pianeta e, da qui dirigono e comandano, mentre dagli apici s’aspira a raggiungerlo. Le distanze per questi abitanti dell’aria più non sussistono, le loro voci si spargono ovunque e, anche il tempo è stato frantumato sin dall’inizio dell’opera: ora esistono contemporaneamente in vari mondi e in vari tempi. I costruttori di Babele furono sicuramente geniali.

E il cane, signore della Casa dei Morti, osserva quale dio malvagio il branco di babilonesi superbi e infedeli che ostentano la loro opulenza, si sentono piccoli dèi loro stessi o adorano gli altri dèi non lui che gli fu creatore. Adorano pure, massima infamia! l’abitante della Casa della Vita, il suo eterno oppositore e antagonista, che vigila all’altra estremità dei Mondi di Mezzo che esistono solo grazie a questo equilibrio.

Due enormi carri di fuoco sono allestiti nella Casa dei Morti dal servitore del cane, sono guidati da fedeli già morti e, all’interno dei carri trasportano altri esseri rianimati a caso prelevati nelle cripte della Casa e alcuni demoni inferiori a garanzia che la distruzione avvenga totale.

Ad un cenno del cane il suo servo lancia i due carri che partono attraversando il vuoto e s’immergono negli spazi dei Mondi di Mezzo: si dividono quanti sono i mondi da colpire, individuano i due obiettivi e prima uno, poi l’altro si schiantano contro le torri brulicanti di vita.

Il signore della Casa dei Morti osserva la riproduzione olografica multipla del suo attacco infernale: attraverso i vari piani temporali i due carri mutano forma, per un attimo sono come siluri per meglio penetrare l’atmosfera d’acqua, e ancor più affusolati per perforare quella di roccia. I carri si mutano anche in grandi uccelli meccanici carichi di distruzione e di morte e leggiadri volteggiano attorno alle torri mentre musiche d’organi accompagnano il ballo di rovine nelle aule della Casa dei Morti e il cane danza, in preda ad un’ossessione parossistica di vittoria e prepara le aule che accoglieranno i nuovi arrivati nella sua casa e li congeleranno per l’eternità sotto i suoi appartamenti. Guarda e riguarda più volte le scene multiple che si sovrappongono ai lampi di paura e di dolore e d’incredulità degli stupidi mortali.

Gli occupanti delle torri, nei vari mondi e nelle varie epoche, che non si capiscono con le loro svariate lingue, si rovesciano fuori dei loro abitacoli o attendono seduti la morte. Imboccano le rampe delle scale o precipitano nei vani, divenuti abissi, degli ascensori, bruciano mentre il fuoco liquido invade le due torri. Solo alcuni riescono a fuggire dalle trappole, tanti muoiono bloccati nei piani più alti poi tutti vengono raggiunti dal crollo delle torri che una ad una collassano e per molti si è fatto troppo tardi per poter ritrovare le giuste uscite. Il cane riguarda le sequenze all’indietro e le fiamme e l’impatto sia dei carri di fuoco che degli uccelli di metallo e di nuovo le vampe e ancora il collasso della prima e poi della seconda torre e gli uomini che gridano dalle strette finestre, intrappolati nella loro amara sorte o che volano come angeli caduti spiaccicandosi sull’asfalto delle strade ormai simili a campi da battaglia e la musica ossessiva e le sequenze ritmate, armoniche, perfette, l’immensa nuvola di fumo, la polvere… orgasmi multipli colgono il cane, maledetto, infernale, signore della Casa della Morte mentre uomini, donne, frammenti di pietra, fogli di carta, brandelli di sistemi informatici e molto altro ancora precipita come al rallentatore verso il terreno sottostante.

Poi si sdraia soddisfatto, dopo tanto tempo si sente appagato, è supino sul proprio talamo felice d’aver compiuto un atto per lui giusto nei confronti dei superbi babilonesi e mentalmente rivede i corpi mentre esplodono o bruciano o volano nel vuoto o sono calpestati fino alla loro fine o schiacciati dalle macerie.

Dall’altro lato degli universi, oltre i Mondi di Mezzo, il dio che abita la Casa della Vita osserva con occhio ben diverso le stesse scene che si stanno svolgendo sulle Terre di Mezzo nei vari luoghi e tempi. I due carri infuocati che portano morte e dolore e distruzione. Tutta l’intera Casa della Vita è turbata da questo atto di pura malvagità compiuto dall’antagonista, dal cane. Il Signore che l’abita si rivolge a Tifone perché s’adoperi a ristabilire i bilanciamenti: i Mondi di Mezzo esistono solo se le due case stanno in equilibrio. Tifone comprende e orgoglioso del proprio incarico vola verso i Mondi di Mezzo, questa volta il cane che abita la Casa di Morte s’è spinto troppo innanzi.

Il cane intanto si rivolge al suo fido servitore, un essere che un tempo fu un uomo, ma ora che da migliaia d’anni fedelmente lo serve non sa più neppure lui se è un demone o qualcosa d’altro. Si rivolge al servo, l’unico che non s’è mai rifugiato nelle segrete della Casa e, gli chiede di portare davanti a lui le schiere dei babilonesi uccisi.

Il servo fa un cenno con la testa e scende nelle aule dei morti, col suo magico bastone richiama al movimento coloro che sono appena giunti immoti e gli intima di seguirlo: “l’uomo li guida: Guida i morti che ha richiamato al movimento, e loro lo seguono. Lo seguono lungo corridoi, gallerie e saloni, su per ampie scale diritte, e giù per strette scale a chiocciola, giungendo infine nella grande Sala dei Morti, ove il signore giudica. Siede su un trono di pietra nera levigata; alla sua destra e alla sua sinistra, in due bracieri di metallo ardono alte fiamme. Su ognuno dei duemila pilastri che circondano la grande sala, brilla una torcia, il fumo denso s’avvolge a spirale verso l’alto soffitto e diviene parte della grigia nube spiraliforme che lo ricopre”.

Immobile e finalmente soddisfatto il cane guarda colui che fu un uomo giungere nella sala seguito da decine di migliaia di umani silenziosi. I suoi occhi lo fissano approvanti, rossi come rubini, abbassa poi il nero muso su cui spiccano le zanne abbaglianti. La vita, se questa è vita, continua a scorrere nell’oscurità della Casa dei Morti, il cane è ignaro che Tifone, il vendicatore, s’avvicina sempre più alla sua dimora.

Vittorio Baccelli
Mauro Torelli - Milano - Italia - Mail - martedi 6 settembre 2011 10.15
Come si fa a non lasciare un commento?
Perché, se è vero "che in questo mondo non c'è nulla, ma proprio nulla, se non la nostra follia", allora c'è speranza, perché basta guarire questa follia, perché dipende da noi. Basta crederci fino in fondo. Qualcuno deve aver detto che il vero cambiamento nasce solo dalla disperazione. Non so come. Ma se capiamo che non è un altro, un alieno, o un dio, a farci questo, ma dipende da noi, allora possiamo cambiare. Non possiamo cambiare il corso degli eventi, ma se ciò che importa, ciò che "c'è", è "la nostra follia", allora possiamo cambiare il nostro atteggiamento, e questo è ciò che conta.


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