Vittorio LussanaAngelino Alfano è il nuovo Segretario politico del Popolo delle Libertà. La notizia è di quelle da segnalare, poiché finalmente si è giunti a una divisione di compiti e ruoli all’interno del movimento politico ideato e fortemente voluto da Silvio Berlusconi. Personalmente, non mi interessano più di tanto i vaticini di questi giorni intorno a un ‘berlusconismo’ ormai sul viale del tramonto: mi sono talmente abituato alla figura dell’attuale presidente del Consiglio che, con il passare degli anni, ho addirittura finito col volergli bene. Umanamente, Berlusconi ha rappresentato un fenomeno mediatico tutto da analizzare: impiegheremo decenni per capirci veramente qualcosa. Ma ciò, a suo modo, rimane un merito del premier, una grande dimostrazione di intuitività e intelligenza. Quel che più conta, adesso, è il ‘passaggio’ a una nuova metodologia di conduzione, al contempo collegiale e assembleare, della principale forza politica del centrodestra italiano. Nella sostanza, più che l’epoca di Berlusconi sembra infatti tramontare quella dell’uomo ‘solo al comando’, il mito del ‘capoccione’ che studia sino a tarda notte montagne di ‘carte’ per riuscire a prendere una decisione importante con convinzione carismatica, con volontà d’acciaio, “con la ‘faccia’ di Bruto e la ‘testa’ di Cassio”, com’era solito affermare scherzosamente il grande Ettore Petrolini. Certamente, il fatto che Angelino Alfano si sia ritrovato eletto alla nuova carica per acclamazione dà adito a qualche perplessità, poiché si tratta di un esponente proposto alla militanza direttamente dal vertice del Partito, quasi fosse una direttiva imprescindibile, una rivincita dell’unanimismo preventivo: ‘roba’ buona per rafforzare una dittatura. L’assemblearismo, in effetti, è quel fenomeno plebiscitario quasi completamente privo delle connotazioni tecnocratiche tipiche del liberalismo ‘anglosassone’, di quell’amore per le regole e le ritualità interne che raffigurano una forza politica come una ‘piramide rovesciata’, in cui l’organo più importante, non solo formalmente, è rappresentato dall’assemblea nazionale. Nel Pdl, invece, la piramide è perfettamente ‘diritta’, nel senso pienamente geometrico del termine, ‘fallicamente’ protesa a sottolineare una conformazione ‘leggera’, dirigista, verticistica. Ciò accade, probabilmente, per una differenza di fondo tra la nostra cultura e quella britannica. Gli inglesi, infatti, concepiscono regole e prassi della liberaldemocrazia o della stessa lotta partitica interna come una sorta di ‘valzer’ da effettuarsi in ‘punta di piedi’. Viceversa, noi italiani in queste cose dimostriamo pienamente il nostro ‘feudalesimo’. Ed ecco perché la formula più logica diviene, come nel caso del Pdl, quella della ‘luogotenenza’. L’idea può risultare criticabile, ma la capacità del ‘berlusconismo’ di cogliere gli antichi vizi di fondo della cultura – o dell’incultura – italiana fornendo addirittura una parvenza di legittimità repubblicana a espressioni giuridiche puramente ‘monarchiche’ disegna, a suo modo, un elemento sociologicamente interessante. La capacità di mantenere in asse una doppiezza intrinseca, quasi inconsapevole, poiché basata sulla non conoscenza delle regole ‘canoniche’, tradizionali, della democrazia, rimane l’elemento che avvicina molto il Popolo delle Libertà alla ‘veracità umana’ del ‘moderatismo amorale’ degli italiani, trasformando la realtà concreta in un mero ‘riscontro indiretto’, occultato tra le pieghe del surrealismo, del parossismo, dell’estetismo astratto. Si tratta, in ogni caso, di una buona prova di fantasia, di una stravagante forma di laicizzazione a ‘singulti’, passante per complicati e tortuosi percorsi mentali stracolmi di ‘tornanti’, “di discese ardite e di risalite”, per dirla con Mogol. Divertente, in fondo, poiché ricorda quel tale che pretendeva di riuscire a ‘sniffare’ una ‘pista’ di cocaina posta ‘in verticale’: un qualcosa al limite dell’impossibile. In fondo, è un modo come un altro di essere italiani: in ciò, Berlusconi ha sempre mantenuto alcune sue ferme convinzioni e ragioni. Ma è proprio per questo motivo che, alla fin fine, leggo il passaggio di consegne avvenuto in questi giorni come un’evoluzione a suo modo importante: il moderatismo italiano, infatti, non muta quasi mai ‘dal basso’, in base all’esclusiva forza centrifuga di spinte e controspinte precise, ‘soggettive’, di gruppi o di ‘lobbies’, bensì attraverso una serie di eventi in cui la decisione ultima non prelude a reali iniziative autonome, ma rimane ‘oggetto’ di valutazioni e giudizi, tenuta al ‘guinzaglio’ da umori e impressioni momentanee, pericolosamente esposta a condizionamenti continui e, spesso, ‘sinistri’. Una cosa, tuttavia, voglio ammetterla: Angelino Alfano è persona intelligente proprio per aver spesso saputo riconoscere i propri limiti, per essere riuscito a mantenere un proprio ‘margine’ personale di valutazione all’interno di un ‘binario’ a ‘scarto’ assai ridotto come quello del centrodestra italiano. Ed è questo l’elemento che ci dona quei ‘tre soldi di speranza’ per una più celere evoluzione del Pdl sul terreno di una futura democrazia ‘post feudale’. Un’evoluzione che attende, detto francamente, anche il Partito democratico.




Presidente dell'associazione culturale 'Phoenix'
Direttore responsabile della rivista 'Periodico italiano magazine'

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