Chiara ScattoneLe piccole e medie imprese non riescono più a trovare credito presso le banche: perché? È colpa della crisi internazionale che ci sta travolgendo oramai da qualche anno e che, secondo gli auspici degli economisti, ancora non ha raggiunto il nostro Belpaese, oppure è colpa di un sistema bancario nazionale troppo chiuso su se stesso? Com’è possibile far sì che anche le piccole e medie imprese, il vero motore della nostra economia – ancora troppo saldamente legata a logiche familiari e nazionali – siano in grado di raggiungere il tanto agognato e necessario per la sopravvivenza, in alcuni casi, credito bancario? Le nostre banche sono istituzioni così macchinose e austere da non concedere tanto facilmente credito all’impresa, oppure il meccanismo nel quale spesso si precipita è talvolta perverso e manipolato? Forse, la risposta la si potrebbe trovare analizzando l’operato delle banche inglesi, che seguono il modello di sistema bancario islamico, unico sistema che, a oggi, non sembra aver ceduto il passo alla crisi internazionale. Certo è, comunque, che le imprese italiane hanno difficoltà ad accedere al credito bancario: gli istituti di credito non concedono più finanziamenti, se non a fronte della presentazione di garanzie solide e spesso sovradimensionate rispetto al capitale richiesto. Secondo quanto riportato dalle statistiche della Banca d’Italia nei suoi Bollettini Statistici pubblicati trimestralmente, il credito concesso alle imprese, ovvero gli ‘impieghi’ delle stesse, suddivise in tre differenti categorie 'industria', 'edilizia' e 'servizi', tra il quarto trimestre del 2008 e il quarto trimestre del 2010 non ha subito scostamenti di rilievo (i Bollettini Statistici sono facilmente reperibili sul sito della Banca d’Italia www.bancaditalia.it alla voce ‘Statistiche’). I dati sembrano dimostrare una situazione di richiesta e concessione del credito, sia per quel che concerne gli impieghi, sia per quanto riguarda i ‘finanziamenti per cassa’, che si mantiene pressoché stabile e costante negli ultimi tre anni. Ma cos’è cambiato dal punto di vista normativo in questi ultimi anni?

L'introduzione della regolamentazione bancaria internazionale di Basilea 2
Nei primi mesi del 2007 è entrato in vigore il nuovo accordo sottoscritto dal Comitato di Vigilanza sulle banche, denominato Basilea 2. Tra il 2007 e il 2008 – la Direttiva comunitaria prevedeva per gli istituti una proroga di un anno per l’adeguamento completo alla nuova disciplina – le banche italiane e internazionali hanno dovuto necessariamente adattarsi alle nuove direttive. Non tutti i soggetti sono apparsi favorevoli ed entusiasti della riforma, che ha riguardato principalmente gli strumenti interni di controllo e di stabilità del patrimonio, richiedendo requisiti patrimoniali più solidi. Tra le nuove regole introdotte dall’accordo vi sono, dunque, l’introduzione di nuovi sistemi di monitoraggio interno dei rischi creditizi, la rilevazione e la auto-valutazione dell’adeguatezza patrimoniale (ICAAP) – requisiti previsti dal “secondo pilastro” dell’accordo – e i requisiti di trasparenza informativa nei bilanci di esercizio, così come introdotti dal “terzo pilastro”. La vigilanza prudenziale è, allora, l’aspetto più importante, e soprattutto la richiesta di una maggiore e migliore capacità di misurazione e di gestione dei rischi del sistema bancario. In questo ambito forse è rinvenibile il primo elemento di contrasto con la difficoltà di accesso al credito delle imprese nostrane. Miglioramenti nel calcolo dei rischi e nella gestioni degli stessi, comportano indubbiamente una maggiore attenzione alla composizione del proprio bacino di clientela. Ma questa ‘selezione’ più attenta del cliente è foriera di un’incidenza negativa sul sistema imprenditoriale? La logica detterebbe una risposta contraria: una crescente e costante attenzione dei meccanismi di rischio a fini prudenziali non esclude affatto la possibilità per la banca di migliorare la propria gestione e la propria proposizione commerciale. Anzi, in quest’ottica non vi è alcun riferimento all’accesso al credito, semmai l’accordo, prevedendo il rafforzamento gestionale dei rischi di settore, obbliga tutti i soggetti del sistema bancario ad adeguarsi strumentalmente proprio per garantire una corretta analisi degli stessi. Il sistema imprenditoriale, o più correttamente il bacino di clientela di ogni singolo istituto di credito, dal 2008, proprio in ragione di tale adeguamento regolamentare, è stato soggetto a una valutazione da parte della banca di riferimento. Ogni impresa è stata dunque classificata secondo una scala di valore o rating, che ne ‘giudica’ lo stato e le prospettive future. Basilea 2 dunque ha introdotto, tra l’altro, un nuovo modo di ‘fare credito’ e di valutare il credito, che non si limiti più solamente alla conoscenza con l’imprenditore o alla presentazione di garanzie reali o atipiche (immobili o fidejussioni), bensì che concerni gli aspetti imprenditoriali previsionali futuri. Nei fatti, la documentazione da presentare alla banca non è cambiata, si sono modificati gli aspetti (imprenditoriali e di business) valutati dall’istituto nell’analisi sulla bontà e affidabilità creditizia del cliente.

Come si concilia con le nuove regole bancarie un sistema economico e imprenditoriale di stampo familistico?
Ecco forse il punto di scontro tra impresa (italiana) e banca. È il nostro sistema aziendale a non essersi dunque adeguato ai nuovi profili regolamentari? La nostra economia viene definita ‘familistica’, ovvero costruita secondo logiche che riprendono quelle familiari. La maggior parte delle nostre imprese – tra cui le stesse che si fregiano nel mondo del marchio ‘made in italy’ – sono organizzate prevalentemente secondo lo schema e la logica commerciale: di fatto gestite in prima persona dal loro stesso fondatore o dai suoi stretti familiari. Sono veramente poche pertanto quelle imprese che possono vantare una buona ed efficiente conoscenza dei sistemi finanziari, un’inadeguatezza questa che comporta logicamente una difficoltà a gestire il rapporto con il credito. La logica del ‘padrone’ che gestisce un impresa nazionale si discosta da quella invece auspicata nell’Accordo di Basilea 2. L’uso del credito bancario diviene così un utile strumento, non tanto di sostentamento, quanto di sostegno agli investimenti, strumentali od operativi, che debbono essere necessari allo sviluppo dell’attività imprenditoriali e non alla gestione corrente dell’azienda. Il nocciolo della questione potrebbe essere proprio questo, è decisivo cambiare la mentalità dell’imprenditore, l’esposizione nei confronti delle banche non può essere l’unico strumento con il quale portare avanti l’attività, ma dovrebbe divenire il mezzo per ampliare la propria impresa e affrontare il business. Tale ragionamento, però, non tiene conto di tutte quelle disfunzioni economiche – quali sono stati il passaggio all’euro e la crisi economica di questi ultimi 10 anni – che ricadono negativamente sulla capacità di acquisto dei consumatori e che quindi prescindono dalla capacità imprenditoriale delle imprese stesse. Una situazione che in Italia sta portando sul lastrico molte imprese o nel peggiore dei casi ha costretto alla chiusura molte attività. Nella forbice della stretta economica appare sempre più evidente un’endemica mancanza di liquidità che si concretizza in scadenze di pagamenti non rispettate anche da parte di committenti che fino ad oggi problemi non sembravano averne. Ne deriva un effetto domino a catena che penalizza l’intero sistema economico. La situazione è ulteriormente appensantita da un’assenza di previsioni su cosa accadrà in futuro che impedisce alle imprese di organizzare piani di rientro piuttosto che di sviluppo. In tutto ciò le banche, che a dire il vero sarebbero le uniche a godere del vantaggio di interessi di sconfino pagati profumatamente, sono irrigidite dalle nuove direttive comunitarie e non garantiscono laddove non hanno garanzie.

La crisi economica e la risposta del G20
In una situazione già molto critica, che sembrerebbe senza via di uscita, ulteriori direttive introdotte con Basilea 3 sono destinate a determinare gli equilibri fra banche e imprese. Il Comitato di Vigilanza sulle banche il 26 luglio e il 12 settembre 2010 ha approvato le nuove linee portanti della riforma, così come richiesto su indicazione del  Financial Stability Board dai leader del G20. Le nuove regole di Basilea 3, ratificate nel novembre 2010 dai Capi del G20 a Seoul, concernono principalmente la prosecuzione del percorso di rafforzamento della qualità e della quantità del capitale bancario iniziato nel 2007/2008 con l’accordo precedente. Verranno introdotti, nel corso del periodo transitorio che sfocerà con l’obbligatorietà dell’adeguamento dal gennaio 2013, nuovi standard patrimoniali, che avranno lo scopo di attenuare i possibili effetti prociclici delle regole prudenziali e di assicurare un controllo più attento del rischio di liquidità. Il nuovo accordo di Basilea 3, così come quello precedente segue la linea ben precisa della solidità patrimoniale del sistema bancario nel suo complesso e dunque delle singole istituzioni bancarie e finanziarie nel dettaglio. Entrambe le riforme perseguono l’obiettivo di rendere più solido il patrimonio – ma allo stesso tempo anche più liquido, in maniera da affrontare eventuali squilibri di liquidità che possano provocare possibili instabilità dell'intermediario –, garantendo anche la possibilità di accantonare una sorta di ‘capitale cuscinetto’ aggiuntivo quale riserva preventiva negli eventuali periodi di ‘surriscaldamento del credito’. L’esperienza dei mutui subprime e del crollo finanziario partito dagli Stati Uniti e dilagatosi in tutto il Vecchio Continente ha probabilmente fatto sì che il G20 richiedesse ulteriori riforme strutturali per garantire e tutelare non solo la stabilità del mercato economico-finanziario interno, ma soprattutto per agevolare una fase di crescita necessaria per la totale ripresa di tutto il sistema. I requisiti e i criteri diverranno più severi, ma tale severità sarà diluita nel tempo proprio per non compromettere la ripresa e per assicurare all’economia (nazionale) un regolare afflusso di capitale e di credito. Malgrado tutte le suddette rassicurazioni, però, fin da subito le banche e le aziende sono scese sul piede di guerra. Nella lettera dell’ex a.d. di Unicredit Alessandro Profumo (pubblicata anche su www.corriere.it) inviata alla vigilia dell’approvazione dell’Accordo al presidente della Bce, Trichet, e al presidente della Commissione europea, Barroso, si evidenzia una preoccupazione vibrante sugli effetti che le nuove regole potrebbero comportare all’intero sistema, sulla crescita occupazionale e industriale di tutta l’Europa. I nuovi criteri patrimoniali potrebbero difatti fare aumentare i costi per la raccolta delle banche e conseguentemente il costo del denaro stesso per l’intero sistema, decretando così un ulteriore freno alla crescita. Del futuro, quindi, continua a non esservi certezza nè su come la nuova riforma introdotta dall’accordo di Basilea 3 – una riforma quasi prettamente patrimoniale e prudenziale – inciderà sulla struttura bancaria e imprenditoriale italiana e internazionale. Sempre che, da qui al 2013, non intervengano nuovi e inattesi elementi, non in ultimo la ricomparsa di un certo tipo di ‘sfrontatezza’ e della ‘spregiudicatezza’ nelle logiche finanziarie quali quelle che hanno condannato in questi ultimi anni l’intero sistema ad una crisi pandemca estremamente pervasiva che l’Italia per ora ha solo sfiorato e per le quali è stato necessario fissare le nuove regole che oggi ci penalizzano tanto.

La nuova regolamentazione bancaria introdotta dall'accordo di Basilea 3
Il Comitato di Basilea ha lanciato una revisione delle regole che gestiscono il sistema bancario mondiale. Sull'onda del fallimento della regolamentazione precedentemente – entrata  a pieno regime nel 2008 – determinato dalla crisi sistemica internazionale che ha sconvolto le economie di tutto il mondo occidentale, il G20 ha dato avvio su indicazione del Financial Stability Board (*) la consultazione per una nuova regolamentazione dei mercati che fosse più stringente e che garantisse criteri di vigilanza prudenziale più severi. La riforma così studiata è stata approvata dal G20 di Seul nel novembre 2010, ma la sua introduzione nel sistema bancario avverrà con gradualità solo nel 2013. Gli aspetti principali di tale intervento riguardano:

- la definizione di requisiti più rigorosi in termini di capitale 'migliore' da utilizzare nei casi di crisi (il Common Equity Tier 1 al 4,5 per cento in rapporto alle attività di rischio);

- la creazione di una riserva di 'capitale cuscinetto' (o Capital Conservation Buffer) pari al 2,5 per cento del CET 1, da alimentare nei momenti di prosperità e sfruttare in quelli di crisi;

- l'accantonamento di un ulteriore capitale di riserva, Countercyclical Buffer (pari al massimo all'1,5 per cento del Tier 1) da alimentare durante i cicli positivi e dunque più rischiosi, in maniera da contenere il rischio nel caso in cui questo si manifestasse;

- l'introduzione di una leva finanziaria (Leverage Ratio) con il compito di limitare il livello in indebitamento nelle fasi di eccessiva crescita e di supplire ad eventuali carenze nel sistema dei controlli interni nella valutazione dei rischi.

Il fallimento degli accordi di Basilea 2
L'accordo c.d. di Basilea 2 (il primo accordo emanato dal Comitato di Basilea sui regolamenti internazionali bancari venne redatto nel 1988) è un accordo internazionale che regola e stabilisce dettagliatamente i requisiti patrimoniali che ciascun istituto di credito deve garantire. La logica che muove tale regolamento è la seguente: a un maggior rischio deve necessariamente fare seguito un maggior accantonamento di riserve patrimoniali cui fare ricorso nel caso di periodi di crisi. Lo scoppio della crisi economica internazionale ha dimostrato che probabilmente le regole precedentemente sottoscritte nell'ambito di Basilea 2 non erano state in grado di fare fronte ad emergenze di questo genere. Il rigore con cui erano state composte e spesso criticate dagli operatori del settore non è stato sufficiente. Nel dettaglio, l'Accordo di Basilea 2 era organizzato secondo tre pilastri:

1. l'adozione di criteri patrimoniali minimi: per contrastare il rischio di credito mediante l’adozione di strumenti di mitigazione e di controllo interno per la valutazione dei rischi di credito di controparte e di operazione (sistema di internal auditing) e per contrastare i rischi operativi.

2. il controllo da parte delle Banche centrali, le quali disporranno di una maggiore autonomia e discrezionalità nella valutazione dell'adeguatezza patrimoniale degli istituti controllati. A tal fine le Banche centrali dovranno assicurarsi che ciascun soggetto sottoposto a vigilanza sia dotato degli strumenti idonei, delle valide procedure interne per la valutazione della propria adeguatezza patrimoniale (ICAAP).

3. la disciplina del mercato e la trasparenza. Sono previste a tal fine regole precise per la trasparenza delle informazioni sui livelli patrimoniali, sui rischi e sulla gestione degli stessi al pubblico.




(analisi tratta dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)
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maurizio - itali - Mail - martedi 12 aprile 2011 19.38
Letto ciò, rigraziando la parte dell'insegnamento della matematica che fa ragionare partendo dagli assurdi, penso che questa globalizzazione della gestione dell'economia più finanziaria che produttiva, debba fare qualche passo indietro. Esatto le analisi fatte, ineccepibili e chiare come in una giornata limpida assolata. Ma proposte non se ne sentono all'orrizzonte. Forse ci vorrebbero soluzioni, idee per uscire dal questo "burrone" collettivo. Che forse sostenere, per assurdo, la struttura produttiva "padronale" famigliare che quella "marxista-globalizzista" delocalizzata, atipicizzata, "depersonalizzata", non guasterebbe. Nel gioco degli scacchi a volte la miglior difesa è "proteggere" che disgregare. Non a caso le grandi banche non hanno più il direttore "umano" ma un software che riconosce solo numeri e unità di misura. Tanto per omologarsi a Basilea 2 e 3. Il fallimento dei callcenter che non danno servizi ma malumori e problemi e in parallelo la politica ideologista della nuova borghesia "intellettualoide" che si trova avere meno consensi che quella spicciola padana che raccoglie le voci dei cittadini preoccupati, è oramai cosa conclamata. Non perchè gli italiani siano tutti stupidi ma forse perchè hanno il buon senso di discostarsi dai pericoli dell'estinzione della specie italica. Insomma...il paragone con l'estinziione dell'antica Roma (da prof della Cattolica) non è tanto a causa della invasione "barbariche".(Quella è stata una conseguenza). Quanto la ragione è che i depositari della ricchezza erano diventati troppo snob, non avevano più voglia di fare nulla, mantenere previlegi acquisiti, confondevano la democrazia con l'assoluta anarchia. Senza tanto disturbare Platone lui stesso denunciò i primi sintomi della fine della democrazia quando gli studenti diventarono i padroni indistrubati della scuola. Che dire...facciamo come i Cinesi! Rimbocchiamoci le maniche e iniziamo a aumentare di numero! Un pò di olio di gomito, umiltà e rispetto delle istituzioni (famiglia) da insegnare Poche veline e più donne con il pancione! Più uomini di buona volontà che depositari di illuministiche "illuminazioni" d'immenso. Amen


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