Chiara ScattoneSe la famiglia e le politiche a essa collegate sembravano, in campagna elettorale, uno dei capisaldi del programma del Governo Berlusconi, la realtà attuale dei dati che emergono dalla Finanziaria 2011 confermano una tendenza decisamente differente. Le promesse brandite come lance dai difensori della famiglia cattolica di lotta e di Governo si sono dissolte come neve al sole. Tra le poche riforme auspicate e non ancora realizzate spicca quella della scuola e dell’istruzione pubblica, che si è vista catastroficamente segnare da un taglio orizzontale dei finanziamenti alla libera ricerca scientifica e da un regime organizzativo che ne nega l’indipendenza costituzionale. Ma se i giovani sono parte integrante dei rispettivi nuclei familiari, questi si sono visti sottrarre dall’ultima Finanziaria la maggior parte degli aiuti economici – per alcuni essenziali – previsti dal Fondo nazionale per le politiche sociali, il vero motore di tutti gli intervenenti di assistenza alle persone e alle famiglie italiane. I tagli hanno provocato un impoverimento del fondo pari a circa la metà degli stanziamenti del  2010, passando da 453,3 milioni di euro dell’anno scorso agli attuali 275. Se tale riduzione può sembrare già significativa, è tuttavia necessario compiere qualche passo indietro per evidenziare come, nel 2008, il fondo stesso potesse disporre di 929,3 milioni di euro e che il suo budget abbia subito negli ultimi quattro anni una riduzione spaventosa, provocandone un impoverimento pari quasi ad un quarto del periodo precedente. È la crisi economica e dobbiamo tutti stringere i cordoni della borsa: la scusa non sembra reggere, soprattutto se confrontata con le politiche sociali approvate dagli altri Paesi europei e dagli Stati Uniti, dove la recessione ha mietuto ben più vittime e creato disagi decisamente più significativi di quelli che si stanno ancora avvertendo in Italia. Il problema non è dunque la crisi economica internazionale: le politiche per la famiglia sono diventate lo specchietto per le allodole delle campagne elettorali e vengono utilizzate come fonte inesauribile di voti, soprattutto tra l’elettorato cattolico, per il quale i valori familiari sono spesso al centro delle scelte politiche e legislative. Senza voler entrare nel merito delle questioni, talvolta personali e talvolta pubbliche, di alcuni dei personaggi della politica del centrodestra che inneggiano alla centralità e alla sacralità della famiglia di stampo cristiano-cattolico per poi mantenere un comportamento del tutto lontano dai valori cui vorrebbe far riferimento – la maggior parte degli esponenti del centrodestra ha divorziato o convive more uxorio – bisogna tuttavia evidenziare che una tale enfasi nei confronti della famiglia non ha sortito gli effetti sperati. La famiglia, in effetti, è generalmente composta da un coppia di adulti sposati eterosessuali e dei figli, bambini, adolescenti o maturi. La famiglia cristiana si basa sia sul vincolo del matrimonio sacramentale, sia sulla procreazione. Ebbene, il fondo per i servizi all’infanzia-Piano nidi è stato azzerato. Il suo budget è passato dai 100 milioni di euro stanziati nel 2008 allo zero del 2010 e nel 2011. In pratica, la famiglia è diventata ormai un lusso che in pochi, oggi, possono permettersi. Gli asili pubblici, è risaputo, sono pochi e per lo più inaccessibili per i genitori che lavorano – e che spesso hanno contratti atipici poco riconosciuti – e che pagano regolarmente le tasse. I posti sono – giustamente – riservati a chi ha un reddito molto basso e alle ragazze-madri. Peccato che, come quando negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso gli asili pubblici erano appannaggio quasi esclusivo dei figli dei commercianti e dei meno abbienti, oggi la situazione sia, di fatto, assai poco migliorata, rimanendo privilegiati i figli degli immigrati, dei meno abbienti e di chi, poco onestamente, dichiara un reddito risibile. E non è solo un problema di asili e scuole materne – quelle private cattoliche hanno visto, contrariamente, crescere i propri budget di provenienza pubblica – bensì è proprio tutto il sistema dell’aiuto alla famiglia nel suo complesso che è andato diminuendo, perdendo l’iniziale appeal elettorale. Il Fondo per le politiche giovanili si è ridotto a meno di un terzo rispetto al 2008, passando dai 137,4 milioni agli attuali 32,9; il Fondo per la non autosufficienza, in questi ultimi quattro anni è sparito, non potendo garantire oggi di neanche uno stanziamento; il Fondo per la famiglia è passato dai 346 milioni circa del 2008 ai 52,5 del 2011; il Fondo sociale per l’affitto ha visto di recente un finanziamento di soli 33,5 milioni (contro i 205,6 del 2008); infine, il Fondo per il servizio civile gode di 113 milioni contro 299,6 del 2008 (fonte: da A. Misani, Finanziaria 2011: fine delle politiche sociali e la legge di stabilità 2011). I dati qui elencati impressionano, ma sono significativi di un’idea, di un percorso politico che l’attuale Governo sta mettendo in pratica: quello della riduzione e dell’abbattimento di alcune risorse essenziali per l’assistenza e per i servizi sociali, contrapposta a una gestione che permane salda per quanto riguarda il welfare monetario – assegni familiari, family card, assistenza e invalidità – la quale genera, a sua volta, un’ingessatura e un’inefficienza nella gestione delle risorse stesse, che spesso non garantiscono il supporto necessario auspicato. La famiglia decade economicamente e socialmente, divenendo un lusso. Non stupiamoci più, quindi, se in Europa la natalità avanza anche in periodi di crisi economica, mentre da noi le stime sono in continuo ribasso. Fino a quando non verranno garantiti i servizi sociali essenziali, la nostra società si manterrà sempre più saldamente aggrappata a un modello gerontocrate, che ormai ci contraddistingue da diverso tempo.


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