Vittorio LussanaNel merito della crisi irlandese, alcuni giornali italiani si sono divertiti a dipingere scenari apocalittici, tipo l’uscita dall’area dell’euro di molti Paesi membri dell’Ue, compreso il nostro. Ma io credo si sia trattato di un esercizio di stile, una sorta di rimpianto per le vecchie economie caratterizzate da monete deboli, in cui l’export si ritrovava fortemente avvantaggiato fino a giustificare ogni genere di ipocrisia sugli squilibri sociali ed economici interni. In pratica, si è trattato della presa d’atto che, sino al 1998, si poteva tranquillamente affermare che tutto andava bene sol perché le nostre imprese piazzavano beni e merci su tutti i mercati internazionali. Innanzitutto, cominciamo col sottolineare che i differenziali dell’Italia rispetto alle obbligazioni tedesche, prese quest’ultime a titolo indicativo, sono di gran lunga inferiori a quelli della Grecia, dell’Irlanda, del Portogallo e anche della Spagna. La stessa Germania, Paese che in questa fase sta esportando a buon ritmo, risulterebbe essa stessa messa in crisi dal ritorno a un’economia basata su un marco troppo forte rispetto all’euro, riportando in alto l’asticella del debito. Figuriamoci cosa accadrebbe qui da noi: il delirio. Inoltre, è necessario rilevare come le stime dell’Ocse, l’organizzazione internazionale che si occupa della cooperazione e dello sviluppo economico, abbiano stimato una crescita del nostro Paese all’1% nel 2010, all’1,3 per il prossimo anno, all’1,6 nel 2012. Certamente, si tratta di indicazioni alquanto basse. Ma questo è il nostro vero problema, non altri. E lo scenario più probabile, per l’Italia, rimane quello di una moderata ripresa. L’Irlanda, peraltro, possiede un debito pubblico pesantissimo, che nel 2014 potrebbe raggiungere il 150% del proprio Pil. Cosa che, in effetti, fa correre giustificati brividi lungo la schiena degli italiani più avveduti, poiché risultiamo essere in una condizione abbastanza simile a quella di Dublino. Simile, ma non identica. I rischi di defalut che corre l’Irlanda, ovvero quelli di una reazione a catena che si creerebbe nel caso di un’interruzione di ogni forma di pagamento, nonché di lungo impedimento a ricorrere a nuovo debito se non ad altissimi tassi di interesse, non sono affatto quelli dell’Italia, la quale ha una spesa, tutto sommato, mantenuta sotto controllo - anche con i ‘cerotti’ - dal ministro Tremonti. Quest’ultimo, certamente in questi anni non si è rivelato un profeta dell’economia ‘sviluppista’. Tuttavia, egli si è dimostrato, quanto meno, un arcigno difensore della riduzione della spesa: un buon esperto della politica del ‘catenaccio’. Il problema economico di fondo dell’Unione europea rimane, paradossalmente, quello di non riuscire a passare a un’unione effettivamente politica. Questa sarebbe, infatti, la ‘mossa’ in grado di impostare una nuova politica di comune responsabilità dei Paesi membri sul debito pubblico, sbloccando una situazione di lunga deflazione e di conseguente stagnazione. Infine, l’unico vero rischio che si correrebbe in seguito a un eventuale default irlandese sarebbe quello del cosiddetto ‘contagio’, poiché quando la speculazione finanziaria internazionale riesce a far saltare i conti di un Paese, questa tende a spostarsi su quelli più deboli. Una crisi, quella irlandese, che dunque ci sfiorerebbe solamente. In ogni caso, mi appare assolutamente stravagante ipotizzare l’inserimento di vincoli economici interni sul nostro debito dopo che, per interi decenni, abbiamo fatto ricorso all’aumento della spesa pubblica e solamente nell’ultimo abbiamo fatto una gran fatica per rispettare quelli imposti da Bruxelles. Ma tant’è, questo è il giornalismo economico che ci ritroviamo: una ‘masnada’ di irresponsabili sempre pronti al terrorismo psicologico proprio quando ci sarebbe da consigliare nervi saldi e sangue freddo.




(articolo tratto dalla prima pagina del quotidiano 'il socialista Lab' del 3 dicembre 2010)
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Carlo Cadorna - Frascati - Mail - martedi 7 dicembre 2010 6.44
Le imprese italiane non sarebbero le regine dell'export senza gli incentivi del ministro Tremonti. Voglio dire che gli incentivi, a lunga scadenza, valgono più degli aiuti e costano poco.
Inoltre, è l'export che fa ricco un paese. I consumi interni sono solo droga. Sono accettabili solo se aiutano le imprese a crescere sui mercati internazionali.


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