Chiara Scattone

La discussione è sorta dopo una gustosa cena di pesce nella trattoria del paese. Seduti sulle panche di mattoni della piazza sotto casa, la domanda è nata spontanea: "Cosa ne pensate della normativa sulla maternità e dell'atteggiamento delle donne"? Il risultato è stato del tutto inaspettato: la maggior parte degli uomini, ancorché trentenni, ritiene necessario che la donna usufruisca interamente non solo della maternità, così come prevista dalla legge, ma si allontani dal lavoro per passare col bambino almeno i primi anni di vita. È giusto che la donna rinunci al proprio lavoro per stare con il figlio? Secondo alcuni amici uomini, non esiste niente di più bello per la donna se non stare a casa con la prole. La realizzazione della donna sussisterebbe, quindi, unicamente nella maternità e nella custodia della famiglia. La questione è piuttosto spinosa e dibattuta da diversi decenni nella nostra società. I problemi da risolvere sono molteplici, la società in cui viviamo certamente non aiuta e non sostiene la famiglia, anzi. La carenza di asili pubblici è devastante e costringe le famiglie a compiere scelte drastiche: o rinunciare al proprio lavoro, o investire tutto il proprio guadagno nella retta scolastica. All'interno di questo circuito perverso chi ci perde è, la maggior parte delle volte, la donna. Perché mio marito dovrebbe rinunciare alla sua carriera quando è lui che guadagna di più? Perché la donna, a parità di posizione e ruolo aziendale, non percepisce il medesimo stipendio del suo collega uomo? Discorso vecchio e, secondo alcuni, futile, ma le statistiche parlano chiaro: le esperienze sono demoralizzanti. Perché una donna, con titoli accademici più elevati ed esperienze lavorative pregresse più qualificate deve ottenere una busta paga più leggera del suo collega neolaureato maschio? Perché è questo che probabilmente vuole la nostra società: una donna poco realizzata economicamente che possa decidere, senza troppi 'rimpianti', di rimanere a casa ad accudire la prole. Ma quando i figli sono cresciuti e vanno a scuola, le 'mamme imbiancano' e cosa rimane delle loro aspettative e dei loro sogni? Un letto da rimboccare? L'argomento sembra sciocco, ma il mio fervore femminile quella sera è esploso: come è possibile che esistano ancora uomini, giovani anche piuttosto eruditi, che coltivano idee così piccolo borghesi? Ma ciò che sconcerta maggiormente è osservare la realtà di tutti giorni: i tempi delle maternità si allungano, le assenze dal lavoro si prolungano e le aziende 'si difendono' con continue e precarie sostituzioni di maternità, le quali sono inquadrabili attraverso contratti 'capestro' per coloro che desiderano entrare nel mondo del lavoro. Ma non solo: l'assenza prolungata dall'azienda provoca, al rientro della non più puerpera, cambiamenti difficilmente recuperabili. Nel corso degli anni i processi aziendali si aggiornano, si specializzano e le possibilità di carriera svaniscono naturaliter. Sono ben pochi i datori di lavoro che 'punterebbero' su coloro che hanno dimostrato di prediligere il nucleo familiare alla realizzazione professionale. Femminismo? Non credo: piuttosto parità di opportunità e di dignità. Esiste la paternità, l'uomo può decidere di rimanere a casa con il figlio al posto della madre. I tempi sono razionalizzati e più brevi, ma l'assistenza al bambino non viene meno ed entrambi i genitori possono contribuire alla crescita e allo sviluppo del figlio insieme. Ebbene: questa opportunità il più delle volte non viene sfruttata e a molte donne 'fa comodo' rimanere a casa, lontano dal luogo di lavoro. Le assenze cominciano già durante i primi mesi di gestazione, le gravidanze difficili sono aumentane incredibilmente, i medici non si azzardano a rischiare e se la donna accusa un minimo malessere, il ginecologo preferisce sottoscrivere un certificato medico che le esoneri completamente dallo stress lavorativo. Atteggiamento corretto, ma siamo sicuri che tutto ciò sia vero o che invece alcune non preferiscano strumentalizzare il periodo della maternità per rilassarsi e prendersi qualche vacanza in più? La gravidanza non è una malattia, bensì uno stato. E così, mentre molte donne possono permettersi di usufruire e godere dei permessi che la legge garantisce loro, altre invece si vedono sbattere delle porte in faccia perché la maternità non se la possono permettere, perché le aziende devono tutelarsi dalle assenze ripetute e continue di risorse necessarie alla realizzazione degli obiettivi professionali. Ingiusto? Certamente, ma reale, poiché è anche l'atteggiamento di rilassatezza di alcune donne che crea un inasprimento delle condizioni per altre. Dov'è andata a finire la solidarietà femminile? Mors tua vita mea e cosa importa degli altri. I diritti debbono essere garantiti esattamente come previsto dalla nostra Costituzione, ma allo stesso tempo dovrebbero essere rispettati tutti i doveri che la stessa cita e preserva. Troppo spesso, il nostro atteggiamento quotidiano esula dall'espletamento dei nostri doveri, morali, etici, costituzionali, umani. E così, anche nel caso della maternità, dovremmo cercare di ricordarci che esistono anche altre persone che, se da un lato contribuiscono alla realizzazione dei nostri diritti, dall'altro vengono condizionati, nella loro vita, dalle nostre scelte.



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Carlo Cadorna - Frascati - Mail - giovedi 2 settembre 2010 7.9
Il ruolo, necessariamente casalingo della donna deve essere oggetto di maggiore apprezzamento, morale e materiale.
Polettini - Rome-Italy - Mail - domenica 29 agosto 2010 11.26
Il mio commento prevede unicamente un proposito di puntualizzazione sulla certezza assoluta che il farneticar non allevia di certo il dolore , ne' risolve la questione. L'interlocutore ribadisce il diritto della donna alla salute e spesso la gravidanza, e comunque tutto il periodo ancora più delicato post partum, si innesca in individui di sesso femminile non sempre giovanissimi o non sem-pre sani. Premesso che. l'unica forma di maternità per l'uomo è quella delll'adozione; esso stesso si presenta nel mondo del lavoro come individuo più quotato e di maggior valore contributivo. Viene logico a tal punto individuare nella donna lavorativa e nella donna potenzialmente madre un punto di minor resistenza ma, anche una delle note di sofferenza per essa stessa a cui spesso ci si deve rassegnare perchè integrata nella complessità dell'universo femminile a cui nem-meno tutto il rigore storico e la campagna femminista degli anni 70 hanno potuto farle avere dignità, anzi la donna continua a soffrire le doglie del parto secondo "libro della genesi".


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