L’On. Anna Finocchiaro è la prima firmataria del disegno di legge che istituisce la figura del difensore civico all’interno delle strutture carcerarie italiane.

On. Finocchiaro, può esporci i punti salienti del suo disegno di legge sul difensore civico?
“E’ un progetto che vuole andare a colmare una lacuna della nostra legislazione, poiché in altri Paesi europei quella del difensore civico è una figura già esistente. Per l’Italia, invece, risulta totalmente nuova e con distinte e importanti funzioni: innanzitutto, quella di farci rendere conto delle condizioni di vita materiale all’interno delle prigioni divenendo ottimo tramite per il parlamento nelle sue finalità di conoscenza reale delle situazioni carcerarie e, sulla scorta dei dati raccolti e forniti, per le possibilità di avviare eventuali nuove proposte di riforma. In secondo luogo, può essere particolarmente utile nell’opera di mediazione interna al carcere stesso, il quale, oltre a luogo di restrizione della libertà personale, è spesso teatro di fortissime tensioni tra detenuti e amministrazione carceraria. Quindi, l’introduzione di una figura ‘terza’, con caratteristiche di indipendenza, imparzialità e professionalità, può essere, allo stesso tempo, riferimento concreto sia per il detenuto, poiché può offrire garanzie, sia per l’amministrazione penitenziaria, in quanto potrà avere poteri ‘raccomandatori’ nei confronti delle autorità preposte affinché vengano prese in considerazione istanze provenienti dalla popolazione detenuta. Tale funzione sarà elemento prezioso poiché potrà assicurare un vaglio sostanziale delle istanze stesse, accertando la loro legittimità, l'opportunità di accoglimento e la compatibilità di queste con lo stato di detenzione. Infine, l’istituto del difensore civico potrà rappresentare, soprattutto per i detenuti più deboli e per le fasce più emarginate – tossicodipendenti ed extracomunitari – un soggetto prezioso nella sua funzione di tramite delle istanze di questi ultimi”.

Ma non si corre il rischio di favorire forme di vittimismo carcerario?
“No, non credo, anche per le caratteristiche che abbiamo voluto dare all’istituto in aderenza a normative di natura internazionale, molto stringenti sul punto in questione. Le caratteristiche di professionalità del soggetto giuridico, la sua indipendenza, la sua forte espressione ‘fiduciale’, in quanto i quattro componenti saranno nominati da Camera e Senato con maggioranza qualificata, garantisce da forme di strumentalizzazione di carattere ‘vittimistico’, anche perché possono esserci situazioni nelle quali il difensore civico non potrà essere in grado di farsi tramite di istanze, allorquando le valuti di difficile accoglimento. C’è dunque un forte potere discrezionale, necessario proprio affinché la magistratura di sorveglianza e la stessa amministrazione penitenziaria abbiano la possibilità di conoscere situazioni di sopraffazione che si svolgono all’interno delle mura del carcere, spesso ad opera di detenuti nei confronti di altri detenuti. Quindi, da questo punto di vista può essere valido strumento di civilizzazione del sistema-carceri, in difesa dei diritti umani dei detenuti, che è un valore fondamentale”.

La sua proposta di legge contempla anche i detenuti sottoposti al regime di carcere duro?
“Non prevede nessuna distinzione tra soggetti sottoposti al regime di 41 bis e soggetti ‘normali’: anche chi è soggetto al regime di carcere duro ha diritto al rispetto della propria dignità umana”.

Ma quali sono, secondo lei, le cause effettive del sovraffollamento carcerario italiano?
“Numerose. Innanzitutto, la lentezza dei nostri processi: il 37% dei detenuti, percentuale altissima, è in attesa di giudizio. Questo, indubbiamente, significa che il nostro processo penale non funziona. Altra causa è il fatto che abbiamo ancora un sistema troppo ‘farraginoso’: in sede di applicazione di pene alternative, i Tribunali di sorveglianza si ritrovano ormai oberati da una quantità straordinaria di richieste. Ciò rallenta l’applicazione di queste misure cosiddette alternative, anche e soprattutto perché non ci sono sufficienti assistenti sociali ed educatori in grado di seguire individualmente il comportamento dei soggetti e il loro trattamento per potersi poi esprimere intorno all’ammissibilità stessa di eventuali misure di pena differenziate. Infine, c’è la causa delle cause: il nostro sistema prevede il carcere come unica soluzione sanzionatoria alla commissione di un reato”.

Cosa pensa dei provvedimenti di amnistia e di indulto recentemente arenatisi in parlamento? E del cosiddetto ‘indultino’? Non è un modo mediocre per risolvere in via formale la domanda di clemenza espressa da Giovanni Paolo II nel corso della sua visita a Montecitorio del novembre scorso?
“Al di là dell’appello del Pontefice, che indubbiamente rispettiamo ma che non possiamo ritenere a fondamento dell’azione legislativa del Parlamento, io ritengo che provvedimenti di questo genere siano non solo atti di clemenza, bensì di reale responsabilità politica ed istituzionale e ho sempre sostenuto, assieme al mio partito, che la strada maestra, per questo tipo di misure, fosse quella dell’indulto. Non esiste e non è esistita, alla Camera, una maggioranza parlamentare in grado di giungere ad un risultato tangibile. Dunque, la misura dell’indultino può essere anche interpretata come un tentativo di risposta possibile, anche se continuiamo a sperare che si crei in futuro una maggioranza che possa far arrivare ad approvazione un provvedimento di indulto più generale”.

Ma se l’indultino verrà approvato anche al Senato, chi uscira di prigione?
“Al massimo 4 – 5 mila soggetti, poiché sono previste esclusioni oggettive e soggettive, cioè che riguardano persone responsabili di reati particolarmente gravi – delinquenti abituali e ‘professionali’ -. Insomma, è un provvedimento rigido, prescrittivo e chi è nelle condizioni di poter accedere all’affidamento in prova ad un servizio sociale, troverà più conveniente scegliere tale soluzione, poichè estinguerà la pena nel medesimo modo dell’indultino. Anzi, è persino probabile che chi è a fine sanzione potrebbe decidere di non avvalersi di questa misura, poiché alla prima inottemperanza rischierebbe di vanificare tutto ciò che già si è scontato. Bisogna infatti ricordare che si tratta di una sospensione condizionale di pena la quale necessita di una dimora stabile: questo è un punto essenziale per potersi avvalere del provvedimento…”.

Perché le modifiche all’art.41 bis dell’ordinamento penitenziario proposte dal Prof. Pisapia sono state così massicciamente respinte dalla Camera dei Deputati? Lei non crede ai problemi di ‘sommarietà giustizialista’ innescatisi in sede di applicazione del regime di carcere duro?
“Su questo punto sono molto rigida: io, che sostengo il difensore civico e le misure alternative di espiazione delle pene, che ritengo che il nostro sistema giudiziario non dovrebbe prevedere solo il carcere ma anche altri tipi di sanzioni, che ho presentato un disegno di legge affinché chi ha commesso reati meno gravi possa accedere a forme di detenzione domiciliare o a lavori di pubblica utilità, su questa partita sono molto ferma, poiché ritengo convintamente che il 41 bis e la legge sulle videoconferenze siano essenziali per recidere i legami tra i boss che stanno in carcere e le organizzazioni che sono all’esterno della struttura detentiva. Credo, insomma, siano strumenti utili. Ovviamente, penso sia giusto non solo garantire la possibilità di reclami, ma anche la norma che è stata introdotta con emendamenti - e che io condivido pienamente -, secondo cui, nel caso il Tribunale di Sorveglianza, a seguito di reclamo, abbia cambiato le prescrizioni inerenti al regime di 41 bis, nel momento in cui la misura viene rinnovata, le prescrizioni del Tribunale di sorveglianza debbano essere osservate”.

Un Senatore di Forza Italia, Furio Gubetti, propone una legge che permetta una distinzione dei luoghi di detenzione per i condannati ‘non violenti’: è un progetto d’impostazione ‘paternalista’, secondo lei, oppure ritiene possa stimolare un più attento esame dei casi singoli intorno alle reali possibilità di recupero sociale degli individui sottoposti a regime detentivo?
“Io ho un’idea, che è poi quella già consacrata in alcune proposte di legge della scorsa legislatura – il ddl Fassino, ad esempio, che poi non riuscì ad arrivare a discussione -: quella di non dividere schematicamente tra detenuti violenti e non violenti, poiché tale valutazione va fatta all’interno di trattamenti individualizzati, di osservazioni continue dei soggetti e di effettivi percorsi rieducativi. Io distinguerei, cioè, per tipo di reati e per percorsi di pena. A mio parere, infatti, è una follia tenere nel medesimo carcere il tossicodipendente e il boss mafioso, il serial-killer e il ladro di autoradio. Occorrerebbe, invece, attrezzarsi di circuiti penali differenziati. In tal senso, pur cogliendo lo spirito della proposta Gubetti, essa mi appare molto concentrata sull’aspetto soggettivo e sulla distinzione tra detenuto violento e non violento, E’ cosa certa, che aspetto essenziale sia anche l’osservazione dei casi singoli. Tuttavia, io andrei a distinguere prioritariamente per tipologie di reato e di responsabilità. Ad esempio, la proposta del governo di trasferire i detenuti minorenni nelle strutture detentive per adulti al momento del compimento della loro maggiore età è, a mio parere, assolutamente negativa”.

C’è un Paese o una nazione che possa essere presa a modello, anche in termini puramente ispirativi, per una più moderna gestione funzionale del nostro sistema detentivo?
“La Finlandia è avanzatissima su questi temi. Tenga però presente che ha una popolazione carceraria ridotta, per sua immensa fortuna…”.

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