Vittorio LussanaIl recente fenomeno delle 'sardine' può essere valorizzato dal punto di vista del coraggio di questi nostri giovani. Non si è affatto trattato della sfilata dei "futuri 'servi' della globalizzazione capitalistica", come ha affermato Diego Fusaro. E anche se fosse, il compito di 'servire' non è affatto privo di dignità: Dio serve l'uomo, ma certamente non è servo dell'uomo. Non c'è niente di male nel 'servire' qualcuno: è un lavoro come un altro. E giudicare in tal modo dei giovani volenterosi, che si sentono distanti dalle stridenti contraddizioni della società italiana, significa dar prova di classismo. Diego Fusaro utilizza una grammatica colta e di sinistra, per difendere un modo di osservare le cose fondamentalmente di destra. Una sostanziale dichiarazione di appartenenza a un'aristocrazia intellettuale, abbarbicata sulla scala di astrazione ideologica, che osserva il mondo prendendosi vigliaccamente giuoco di chi cerca di aprirsi un percorso di vita o una strada dal basso. E' un 'fare muro', quello di Fusaro, a 30 anni di distanza dalla caduta di quello di Berlino. La 'spettacolarizzazione' televisiva di personaggi come Diego Fusaro e altri ha finito con lo svuotare, in larga parte, ogni reale valore culturale della politica, anche di quella più 'alta'. Ciò è accaduto come diretta conseguenza del cosiddetto 'crollo delle ideologie', che ha trascinato con sé un abbassamento del livello qualitativo di tutti i settori della nostra cultura, da quelli più propriamente 'empirico-scientifici', a quelli eminentemente 'artistico-culturali'. L'intrattenimento e l'evasione 'spicciola' hanno finito col trionfare definitivamente, mandando in soffitta valori e contenuti maggiormente educativi o 'edificanti'. Nel mondo del cinema come in quello della rappresentazione teatrale è avvenuto un processo di definitiva 'omologazione', che procede inesorabilmente separando il mondo della cultura 'alta' da quella di consumo, senza alcuna 'camera di compensazione'. La 'faglia' si è aperta anche per gli eccessi di ideologizzazione avvenuti nella seconda parte del XX secolo, in cui si è pensato di poter applicare alle arti e alle scienze il metodo e le 'ricette' della dottrina 'marxista', la quale ha finito col fagocitare anche i presupposti sociologici più interessanti, che avrebbero potuto favorire la nascita di una più moderna cultura 'media' non banale o 'mercificata'. Ma un'analisi più approfondita è necessario 'abbozzarla', per non rimanere prigionieri di un mero esercizio 'nostalgico' di rimpianti per un passato che avrebbe potuto produrre un 'dottrinarismo' culturale 'liberal', da contrapporre a un più laico e moderno 'scetticismo' moderato. Quel che le 'sardine' non riescono a esplicitare a parole, poiché increduli di fronte a una società profondamente involgarita e distorta, è l'atto di accusa per un processo di 'massificazione' in cui anche gli elementi più trasgressivi - che furono fondamentali, in passato, per far uscire la società occidentale da una lunga fase repressiva, determinata dal bigottismo cattolico - vengono dati in 'pasto' al pubblico senza alcun 'filtro' antropologico in grado di anticipare tendenze e fenomeni nel tentativo di 'governarli'. In buona sostanza, il processo di secolarizzazione è avvenuto in maniera disordinata e lutulenta, attraverso contraddizioni, improvvise accelerazioni e potentissime 'frenate'. Una trasformazione avvenuta troppo 'dall'alto' e mal distribuita, in termini sociali, che ha creato, da una parte, 'nicchie' quasi 'settarie' di acculturazione 'alta' contrapposte a caotici processi di 'inculturazione' e di bassa 'volgarizzazione'. Per quanto riguarda l'attualità, in questa sede ci limitiamo a sottolineare il ruolo sempre più invasivo e pervasivo della televisione, la quale ha decisamente messo in crisi tutti gli altri settori della vita artistica e culturale del Paese: una deriva inesorabile di tutta l'industria culturale, che sino alla fine degli anni '70 del secolo scorso svolgeva un ruolo di prim'ordine nel riuscire a generare forme di occupazione e di specializzazione professionale, sino ai più bassi livelli tecnici. Tale declino è coinciso pienamente con il rinnovamento del sistema televisivo italiano, il quale ha aperto il mercato delle frequenze locali ai privati, secondo uno 'spirito' meramente commerciale della produzione di massa. Subito egemonizzata dal modello 'berlusconiano', nell'immaginario collettivo la tv ha preso il posto di tutte le altre forme di produzione artistica, a cominciare da cinema e teatro. E lo spazio lasciato libero dai produttori artistici, in molti casi costretti a trasferirsi in Francia o negli Stati Uniti per poter lavorare, è risultato ben presto occupato dalla società dell'intrattenimento, dai 'dilettanti allo sbaraglio', che proprio grazie alla televisione hanno finito con lo sfondare ogni barriera, giungendo sino al punto di invadere il mondo politico, devastandolo. Siamo di fronte a un vero e proprio 'naufragio', a una lunga e inesorabile degenerazione antropologica e mentale, in cui la qualità artistica e la competenza professionale è crollata verticalmente, in tutti i comparti e settori. Ed è per questo motivo che le 'sardine' appaiono, oggi, prive di contenuti, quasi insipide e senza alcuna prospettiva chiara innanzi a loro. Ma coloro che li criticano avrebbero ben poco da rimproverare a questi ragazzi, riunitisi spontaneamente nelle piazze italiane, poiché anche chi un percorso professionale, bene o male, lo ha cercato, voluto e ottenuto, non ha realizzato nulla di diverso da quanto non fosse già stato stabilito, gerarchicamente, dall'alto, dimostrando essi stessi una mancanza di prospettiva e di lungimiranza che li qualifica anch'essi come servi. Dei miserabili servi.




Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)

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