Vittorio LussanaNel corso della Storia, il modo di vestire di uomini e donne è sempre stato il riflesso diretto di una precisa fase storica, dei costumi e dei modi di vivere di una determinata epoca. La moda, in realtà, è sempre esistita: non è affatto un'invenzione del capitalismo globalizzato o delle multinazionali. Solo che, anticamente, essa si basava attorno ai concetti di funzionalità, di distinzione, di appartenenza a un determinato ceto sociale, nobiliare o militare. E' stato il nostro lento, ma inesorabile, cammino di modernizzazione e di emancipazione democratica a rendere la moda un fenomeno di massa. Ma in verità, essa è nata in quanto fenomeno di distinzione individuale, non come modello di abbigliamento standard, 'tipizzato' e obbligatorio per tutti. E' esattamente questo il punto che dobbiamo cogliere: ancora nel XVIII secolo, tanto per fare un esempio, le divise militari prevedevano, come capo d'ordinanza fondamentale, una lunga calzamaglia dotata di 'bretelle' che si 'aggrappavano' sino alle spalle. La calzamaglia maschile ha infatti rappresentato, per svariati secoli, un capo di abbigliamento che si era evoluto nel corso del tempo, sino raggiungere le divise pensate e disegnate da Napoleone Bonaparte per l'esercito francese. Oggi, invece, la moda 'brucia' ogni capo di abbigliamento nel breve volgere di una stagione. E tale caratteristica, che l'ha resa 'passeggera' se non quasi temporanea, deriva dal fatto che il suo principio fondante non è più quello di produrre beni durevoli, bensì voluttuari, destinati a un consumo immediato. Tuttavia, quando un determinato modello di calzature risulta ormai ai piedi di tutti, ciò non significa affatto che esso stia andando di moda: al contrario, è la prova più evidente che quelle scarpe stanno già 'morendo', in quanto prodotto ormai 'inflazionato'. Essere alla moda non significa affatto 'omologarsi' o standardizzarsi: questo è uno di quegli elementi 'feticisti' che hanno reso la moda un mondo futile e vacuo, da cervelli all'ammasso. Diversamente, essere alla moda - o andare di moda, come si suol dire - dovrebbe rappresentare un tratto distintivo di innovazione e, persino, di coraggio. L'attuale ribaltamento irrazionalista della moda è la semplice conseguenza di uno sviluppo troppo accelerato, che non corrisponde affatto a un segno evolutivo di progresso della società. Soprattutto, quando tale progresso non viene accompagnato da relativi strumenti di 'decodificazione' e di interpretazione antropologica. La moda, insomma, ha finito col diventare anch'essa una forma di 'appiattimento' collettivo e individuale: un modo per neutralizzare le 'punte critiche' che sorgevano spontanee nella società, al fine di conformarle e uniformarle. Ma tale processo non è più 'moda', bensì qualcosa di molto diverso: uno 'strumento' di controllo sociale; una spinta collettiva verso un allontanamento dalle nostre radici culturali più autentiche, che 'sgancia' la moda stessa da ogni bisogno, da qualsiasi esigenza e funzionalità, persino quella di ripararci dal freddo invernale, o di aiutarci a sopportare un clima estivo 'tropicalizzato'. Tornando ancora per un momento alle calzamaglie dell'esercito napoleonico, esse erano funzionali a far cavalcare comodamente, per centinaia di chilometri, quei reparti di cavalleria che, prima dell'avvento dei carri armati, erano il vero 'corpo di sfondamento', in battaglia, di ogni forza armata. Le uniformi di un tempo erano pensante per una determinata tipologia di guerra: rendendo quest'ultima sempre più 'mostruosa', è cambiato anche il 'modello' di abbigliamento militare, poiché quello precedente risultava sempre meno funzionale alle nuove esigenze logistiche. Insomma, è la differenziazione del prodotto il vero elemento fondante della moda, non la sua ampia diffusione a basso costo. E' l'innovazione artistica dei nostri stilisti ciò che rende un capo veramente speciale, di qualità, non la nostra frustrazione psicologica nel vederlo indossato da tutti. La moda è un processo creativo, non un banale prodotto finito. E questo processo ha sempre avuto un nome ben preciso, che si richiama a un antico 'filone' culturale tipico, in particolar modo, di italiani e francesi: il 'mutualismo'. Esso è la tendenza a modificare, anche solo parzialmente, ma costantemente e inesorabilmente, un bene qualsiasi, al fine di migliorarlo e renderlo sempre più funzionale alle esigenze collettive, anche fosse semplicemente quella di far bella figura durante un matrimonio o un battesimo. L'appiattimento e la standardizzazione, invece, sono gli elementi 'feticisti', deviati e perversi, della moda, che rendono persino difficile celebrare un lieto evento, perché se ci vestiamo tutti quanti allo stesso modo, ciò significa che ci sono sempre meno occasioni per festeggiare o celebrare i momenti più importanti della nostra vita. La moda è una forma di libertà, non una costrizione a consumare. E' l'arte di creare nuove tendenze, nuovi atteggiamenti, persino nuovi modi di vivere, non l'obbligo a vestirci tutti quanti alla stessa maniera, ad acquistare le medesime merci, a fare tutti le stesse identiche cose. Perché tutto è bene, quando esce dalle mani del suo creatore, ma tutto degenera, quando giunge nelle mani dell'uomo.

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Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
(editoriale tratto dalla rivista 'Periodico italiano magazine', n. 31 - settembre 2017)

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Marina - Urbino (PU) - Mail - sabato 16 settembre 2017 8.47
Un editoriale da applauso. Grazie.
Cristina - Milano - Mail - mercoledi 13 settembre 2017 1.40
Vero!!!


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