Vittorio CraxiLa politica non è matematica, ma ha pur sempre una sua logica. A chi si ostina a pensare e a predicare una modifica della legge elettorale detta 'Italicum', Matteo Renzi ha risposto tagliando corto: "Non se ne parla neanche". Non si tratta di ostinazione dovuta al carattere, ma a una logica stringente, per la quale egli ha raggiunto il doppio traguardo (guida del Partito e del Governo) vaticinando una soluzione dei mali italiani attraverso il drastico ridimensionamento della democrazia politica, dei suoi costi e di ciò che viene ritenuto del tutto accessorio, ovvero: un pluralismo di forze politiche disomogenee, unite al solo scopo di governare. "Per quello basto io", sembra pensare. Una forza che abbia nel suo seno sia la cultura di Governo, sia una di opposizione. A chi obietta che ormai le forze politiche italiane in grado di superare gli 'scogli' dello sbarramento sono almeno tre (ma forse persino di più), egli risponde che quest'ultime "se la vedranno fra loro". Dopo trent'anni di chiacchiere dobbiamo far vedere ai nostri alleati europei e mondiali che l'Italia è una democrazia fondata su un bipolarismo che "alla sera delle elezioni si dovrà sapere chi ha vinto e chi ha perso". Sin qui il pensiero, logico e determinato, di un uomo politico che persegue una strada già 'segnata', che non prevede curve e neanche sconfitte. Chi aveva da porre un problema di compatibilità fra leggi elettorali e di pluralismo delle democrazie, essendo l'Italia un Paese di democrazia politica matura, fondata non nel 2014, ma con tradizioni e tendenze politico-culturali risalenti all'inizio del secolo scorso e persino prima, avrebbe dovuto porlo in parlamento con un voto contrario, negando queste disposizioni, che nella migliore delle ipotesi consegneranno a una minoranza e al suo capo le chiavi dell'intera democrazia italiana e, nella peggiore, genereranno il caos politico di cui abbiamo visto le prime avvisaglie con l'inconcludenza e il 'pasticcio' del caso romano. Capisco i dubbi sollevati dall'amico Mauro del Bue in seno al piccolo Psi (Partito di cui continuo a far parte), ma la partita con gli alleati è da considerarsi 'chiusa' e verrà risolta a titolo personale con un 'diritto di tribuna' per ciascuno dei fedeli alleati che hanno garantito a Renzi una discreta navigazione e una lealtà a diciotto carati nei frangenti in cui il Governo ha avuto vistose 'defaillances'. Si tratta o di togliere la 'spina' in questi mesi, non raccogliendo l'illusoria speranza che dopo il referendum si possa rimettere mano alla legge elettorale, oppure di cambiare la 'spalla' al proprio 'fucile' per passare a una limpida posizione di opposizione ai quesiti referendari, chiedendo il differimento del voto e lo 'spacchettamento' degli stessi, innanzi alla ovvia considerazione che, dopo la 'Brexit', tutte le legislazioni nazionali dovranno modificare i propri assetti istituzionali, calibrando il rapporto fra l'Unione europea e i Paesi sovrani, rigenerando il più possibile il carattere democratico del rapporto coi cittadini. La strada, come già detto, è 'segnata': per evitare una resa del centro-sinistra di fronte alle forze 'antisistema' è necessario cambiare politica. Per i socialisti, io penso non sia mai troppo tardi e, per quello che comincio a constatare, molti lo stanno facendo, aderendo al Comitato socialista per il 'No'. Un comitato che abbiamo voluto 'plurale' proprio per non impegnare il Psi ufficiale in una posizione contraddittoria. Ma ora, una ragionevole posizione di ripensamento e di allontanamento dalle ragioni di Renzi si rende necessaria e non differibile.





Presidente del Comitato socialista per il 'NO' al referendum costituzionale
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