Susanna SchimpernaLe Garanzie. Per una volta, scrivo con la maiuscola. E’ un argomento grosso. E so quali nervi sensibili vado a toccare, quali paure, quali rigurgiti ideologici, quali sbocchi di bile contro i ‘forti e potenti’, i ‘padroni’ e, ovviamente, il ‘sistema’. Ma toccherò questi nervi sensibili lo stesso, perché dare forzatamente i contributi agli enti che poi ce li ridaranno quando saremo vecchi e malati mi fa orrore. Non voglio ipotecare il mio futuro in alcun senso e, meno che mai, nel senso che lo Stato mi impone. Non sopporto l’idea della liquidazione e delle ferie: se sono cose che mi ‘spettano’, vuol dire che mi vengono sottratte per poi essermi ridate quando fa comodo a chi mi paga. Non sono una demente: non capisco perché qualcuno si arroghi il diritto di trattarmi come tale. In questa società non mi viene dato a seconda dei miei bisogni o della disponibilità delle risorse, ma a seconda di quanto io ‘rendo’. Dunque, lo voglio tutto questo compenso. Tutto e subito. E che nessuno si permetta di decidere quando devo riposarmi, divertirmi, divagarmi. E neppure che mi vada di farlo, perché il mio svago potrebbe coincidere con il mio lavoro (perché no?). Che nessuno mi dica fino a che ora posso lavorare e in quali giorni devo stare lontano dal mio lavoro, perché si festeggiano feste religiose alle quali io non partecipo né con i riti, né col pensiero. Ma le Garanzie a fatica conquistate? Quali? Sono finte e lo sappiamo tutti. Non è una garanzia il fatto che dopo tot rinnovi di un contratto il datore di lavoro sia ‘costretto’ ad assumerti. Se non lo vuol fare (o non può), te ne vai e basta, oppure stai a riposo per alcuni mesi (e questo succede, di regola, nelle televisioni, nelle radio e in innumerevoli altri posti). Una pagliacciata. In un sistema che si basa sull’idea che ogni persona sia demente e insieme indegna di fiducia, mascalzona e sleale, pigra e furbetta, il lavoro è simile a quello degli schiavi, l’atteggiamento di chi lavora e di chi dà lavoro ricalca perfettamente quello dei servi e dei padroni di antica (non troppo antica) memoria. Anzi, quale memoria: non sono mai cambiati altro che i metodi e le apparenze, grazie a una ‘vernicetta’ di ‘modernizzazione’ e di ‘civilizzazione’.


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