
Dalla Tourette all’arte, dalla pittura alla poesia, Alfredo Troise è un artista che non cerca di piacere, ma di raccontare se stesso, il mondo, la ferita. Lo fa con opere visionarie, oniriche, cariche di colore e dolore trasformato. Un artista che non cerca definizioni, non ama le 'etichette'. E forse, proprio per questo, riesce a parlare a tanti. La sua arte è un’esperienza: un grido che diventa canto. In un mondo che ha ancora paura della fragilità, questo artista mostra che è proprio lì, nella ferita, che può nascere la vera bellezza. In occasione della mostra ‘L’occhio dell’artista: l’arte contro i pregiudizi’, presentata in Campidoglio lo scorso 9 ottobre 2025, lo abbiamo incontrato. Ne è nata una conversazione sincera, emotiva, libera da ogni 'etichetta'.
Alfredo Troise, nel suo sito lei scrive “dipingo il pregiudizio”: cosa significa questa frase?
“Significa che tutto quello che mi ha ferito, che mi ha messo ai margini, che mi ha fatto sentire ‘sbagliato’, io l’ho trasformato in colore. Il pregiudizio è un peso, ma se lo guardi in faccia e lo riporti sulla tela, non ti domina più e lo trasformi. Diventa arte, comunicazione, forma di liberazione”.


Come è ormai accertato, il Procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, nel voler dar forza alle tesi del 'No' alla riforma della giustizia, ha letto dal suo telefonino, ospite in diretta televisiva da Giovanni Floris, un'inesistente intervista di Giovanni Falcone contraria alla separazione delle carriere. Un 'fake' bello e buono, non vagliato, né verificato e poi giustificato dicendo: "Me l'ha girata una persona seria". Questo episodio increscioso accade mentre, da notizie di stampa, si apprende che il dottor Gratteri, nell'esercizio delle sue funzioni e sulla scorta di indizi e prove da lui raccolte, dal febbraio 2017 al settembre 2023 ha ottenuto la carcerazione cautelare (detenzione in carcere prima del processo, ndr) per 1121 persone. Di queste, sempre da notizie di stampa, 423 sono state già assolte. Una parola è poca e due son troppe. Absit iniuria verbis.


Lo scorso 10 novembre, due ragazzi della residenza universitaria Don Bosco, Corrado Piva e Luigi Manca, hanno raccontato la loro esperienza durante la missione in Tanzania, per il 150esimo anniversario della prima missione salesiana. La testimonianza, presentata nello studentato universitario, ha avuto la forma di un’intervista collettiva 'doppia', introdotta da un video sulla prima missione voluta da don Bosco, in Argentina, nel 1875. Il racconto dei due salesiani è stato accompagnato dalle foto degli eventi salienti di quest’ultima. Per prima cosa, Luigi e Corrado hanno spiegato i motivi che li hanno spinti a partecipare alla missione: entrambi hanno affermato di volersi mettere a disposizione del prossimo, in un contesto dove l’aiuto era necessario e di voler riflettere su loro stessi.




Che si tratti di bambole scucite, trottole rotte o marionette dai fili spezzati, all’ospedale dei giocattoli rotti c’è posto per tutti. E' qui, tra stanze immaginarie e strumenti poetici, che i giocattoli feriti vengono 'curati', perché ogni pezzo torni al suo posto. Il 14, 15 e 16 novembre scorsi, al Teatro San Giustino di Roma, è andato in scena, per la prima volta, con scenografie immersive ‘L’ospedale dei giocattoli rotti’: un ‘Larp’ (live action role playing, ndr) ideato e diretto da Martina Montenegro e portato in scena da una residenza artistica tutta al femminile, con Alessandra Muschella per le scenografie, Elena Bianco per le illustrazioni e Arianna Ferrara Gennari, in arte Echo, per le musiche originali. Insieme hanno costruito un percorso esperienziale che mescola scrittura, arti visive, sound design e teatro immersivo, trasformando il gioco in un viaggio di empatia e rinascita. Nell’ospedale dei giocattoli rotti, ogni partecipante interpreta un personaggio, ma anche se stesso: attraverso una trama aperta e condivisa, si esplorano le ferite interiori, le fragilità e le possibilità di guarigione. Un racconto corale, che ha saputo unire introspezione e partecipazione dentro e fuori la scena. “Abbiamo voluto esplorare il Larp come strumento d’empatia”, spiega Martina Montenegro, “uno spazio in cui, conoscendo noi stessi, impariamo a comprendere meglio gli altri. L’arte può restituire alla fragilità la sua dignità, offrendole un luogo sicuro e condiviso”.

36 anni fa, nel mese di novembre del 1989, veniva abbattuto il muro di Berlino: una costruzione simbolo di un mondo diviso tra l’ovest democratico e l’est comunista. Il politologo atatunitense, Francis Fukuyama, parlò di “fine della Storia”, interpretando i fatti berlinesi come la vittoria delle democrazie liberali e la fine di conflitti ideologici. Dopo mesi di pacifiche proteste, finalmente quella parte della Germania venne liberata e quell’indimenticabile momento rappresentò la spinta per la caduta di altri regimi dittatoriali europei. Da quel giorno, l’Europa si unì al grido di libertà e democrazia: sembrava l’inizio di una forte coesione tra gli Stati-membri, saldati insieme dall’idea di combattere contro ogni forma di oppressione e discriminazione. Pochi anni dopo, il Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992) individuò i pilastri dell’Unione europea: la politica estera e di sicurezza comune (Pesc); la cooperazione in materia di giustizia e affari interni (Gai); l’unione economica e monetaria, nonché la trasformazione della Cee (Comunità economica europea) in Ue (Unione europea). Insomma, l’Europa si avviava verso grandi riforme che avrebbero dovuto rafforzare l’unione tra tutti gli Stati-membri. Furono anni lunghi e difficili, che plasmarono la coscienza europea come mai prima di allora. L’illusione di vivere in pace e nella stabilità venne meno dopo soli 12 anni: l'11 settembre 2001, con l’attentato alle Torri gemelle di New York. Questo tragico evento scosse il mondo, provocando uno sconvolgimento geopolitico: la paura del terrorismo e la vulnerabilità degli Stati Uniti portarono a un senso di disorientamento sia in America, sia tra i Paesi alleati.

Durante l’ascolto di 'Layers', il tempo sembra arrestarsi. E' come se il pianoforte di Fabrizio Paterlini parlasse, sommessamente, con la dolce urgenza di chi vuole raccontare ciò che accade mentre accade. Da venerdì 14 novembre, l’album è disponibile in digitale, pubblicato da Memory Recordings (sotto licenza esclusiva a Believe, ndr) e segna un punto di svolta nella carriera del pianista mantovano, che da oltre quindici anni ipnotizza con la sua musica capace di coniugare intimità e vastità, silenzio e respiro. Con 'Layers', questo artista sceglie la via più coraggiosa, quella di abbandonare il controllo. “Per la prima volta “, ha raccontato Paterlini, “non ho scritto le parti degli altri strumenti. Ho voluto che Marco Remondini e Stefano Zeni potessero trovare la loro voce, la loro sensibilità. Era il modo più onesto per raccontare l’interazione dal vivo”. E così, tra pianoforte, violino e violoncello, il disco prende forma in tempo reale, strato dopo strato, come una conversazione fatta di intuizioni, esitazioni e improvvise armonie.