
Lo scorso 2 novembre si è tenuta, con quasi 60 mila 'finisher', la Maratona di New York: la corsa podistica più dura e più ambita del mondo. Un evento che ha visto l’imponente partecipazione delle donne: il 46% dei partecipanti totali e, tra i corridori americani, il 52% delle atlete giunte al traguardo. Ovviamente, non potevano mancare molti italiani, ai quali abbiamo rivolto, al loro arrivo, una semplice domanda: cosa ha significato per te percorrere i 42,195 km della Maratona di New York? Ecco, qui di seguito, le risposte più significative.
Annamaria Pedace: “Voglio rispondervi a caldo, senza ragionarci troppo. Questa è una Maratona che non ho avuto modo di preparare: acciacchi vari, anni difficili, il Covid, broncopolmoniti varie. Sono stata ferma a lungo. Avendone già fatte tre, per me la corsa di quest’anno ha rappresentato un ritorno. L’ho intrapresa non sapendo come sarebbe andata: l’obiettivo era non farmi male, non riacutizzare il mio problema al tallone. E’ stata, perciò, una bella prova: me la sono goduta di più rispetto alla primissima, chiusa con un bel tempo. Contrariamente a quell’anno, infatti, questa volta mi sono goduta la manifestazione, mi sono guardata intorno: ho vissuto la tifoseria, i bambini, i cartelloni. Tutto questo mi ha dato una bella carica. E’ stata una Maratona diversa, con un risultato inaspettato, che mi ha reso felicissima. Ho corso senza cronometro e non ho mai guardato l’orologio. Non contavo di farla come gara. Ho vissuto una Maratona diversa dalle altre, completamente nuova”.


Orsini e Travaglio, che sono uomini d'onore, dicono insistentemente che la Russia non ha intenzioni ostili verso l'Europa. Putin, anche lui, come Bruto e Cassio, uomo d'onore, ribadisce che la Russia non ha nessuna intenzione ostile. Poi, però, nessuno di questi uomini d'onore spiega perché la Russia abbia stanziato, nel proprio bilancio, la somma incredibile e stratosferica del 38% del proprio Pil per le spese militari. E questo, più che da uomini d'onore, è il comportamento dei truffatori delle 'tre carte'.


Ci sono canzoni che non appartengono al tempo: sono finestre che si aprono sul passato e, appena si spalancano, riportano a galla tutto ciò che credevamo di avere dimenticato. ‘I like Chopin 2025’, arrivato ora in radio e in digitale, è una di queste. La nuova versione del classico eterno di Gazebo è tornato in vita con due inediti remix firmati da Cristian Marchi e, con essa, è riaffiorato un mondo intero: le piogge di neon sugli anni ’80 del secolo scorso; le piste da ballo che sapevano di attesa; i pomeriggi di sogni cuciti sulle audiocassette.




Una realtà giovane e femminile, capace di innovare partendo da ciò che tutti considerano un punto di fine: gli scarti elettronici. E' qui che interviene e opera 'Rinnovative': il laboratorio dove tecnologia, design e sostenibilità si intrecciano per ridare valore a ciò che sembra averlo perduto. “Rinnovative è composta prevalentemente da donne under 40”, racconta la socia-ricercatrice, Tamara Pellegrini. “Questo elemento incide profondamente sulla nostra identità progettuale e sul nostro modo di intendere la sostenibilità”. Un’impronta che definisce approcci e sensibilità, poiché “lo sguardo delle nuove generazioni porta nel team idee nuove”, continua la Pellegrini, “approcci non convenzionali e una naturale predisposizione alla sperimentazione. Allo stesso tempo, la componente femminile introduce una sensibilità particolare verso la cura dei dettagli, la responsabilità ambientale e il valore sociale dei progetti”. Il progetto 'Ma. Cri. No.' è il simbolo di questa visione: recuperare metalli critici, evitando la distruzione dei componenti elettronici. “Invece di frantumare le schede elettroniche”, spiega la ricercatrice, “le inseriamo in una stufa sottovuoto che le scalda fino a sciogliere le saldature. In questo modo, i componenti si staccano da soli, cadendo per gravità e rimanendo integri, senza bruciarsi o ossidarsi”. Il passo successivo è un’analisi attenta: “Una volta recuperati tutti i componenti, noi li analizziamo con uno strumento che ci permette di capire quali metalli preziosi e critici contengono, così da scegliere se riutilizzarli oppure avviarli a un riciclo più mirato”. Un processo semplice, ma estremamente efficace.

La presente testata si unisce al disappunto di molti nei confronti della Fiera della piccola e media editoria ‘Più libri, più liberi’, in corso in questi giorni a Roma presso la ‘Nuvola’ di Fuksas. Lo facciamo non perché animati da uno spirito censorio, che di certo non ci appartiene, ma per l’ipocrisia di un sistema culturale che non recepisce l’esigenza – e anche l’urgenza – di comprendere come il revisionismo storico non sia una mera digressione nostalgica nei confronti dei regimi autoritari, ma l’occasione per una rielaborazione dottrinaria del pensiero conservatore nazionale e mondiale. Dunque, più che con l’organizzazione fieristica in sé, ce la prendiamo con l’intero panorama editoriale, totalmente incapace di organizzare una riflessione dignitosa in merito alla questione di una nuova cultura di destra democratica e di governo, rispetto alle continue 'scaramucce' sull’immigrazione, sulla sostituzione etnica e sull’impianto demagogico di molte idee provenienti da un passato raccapricciante.

Lo scorso 22 ottobre ha debuttato su Netflix, produttrice dell’operazione, la miniserie 'Il Mostro' (prima stagione di 4 episodi, ndr) che in pochi giorni ha raggiunto il podio dei film più visti nelle 44 nazioni in cui la piattaforma è presente, entrando nella Top 10 di 85 Paesi. Nel primo episodio, siamo già nel 1982: il 'mostro' continua a colpire, uccidendo una giovane coppia. La polizia trova un nesso con un omicidio del 1968. Nel secondo episodio, un sospettato si nasconde mentre si indaga su di lui. Nel terzo, viene indagato un altro sospettato, mentre il 'mostro' continua a colpire. Nel quarto, si riprende a indiagare seguendo una 'pista' del 1958 e si cerca di ricapitolare le vicende del primo vero 'serial killer' della Storia d'Italia, peraltro mai realmente individuato. E’ il cinema di Stefano Sollima, che dopo le serie-cult 'Romanzo criminale' e 'Gomorra', ha voluto affrontare la storia del "Mostro di Firenze". Con questa miniserie Netflix, il buon Sollima passa dal genere gangster movie al dramma horror-giudiziario. Gli ottimi risultati di 'Romanzo criminale', 'Gomorra' (le prime stagioni) e 'ZeroZeroZero', incentrati sull'ascesa e la caduta di organizzazioni criminali (la Banda della Magliana e il clan Savastano) con un’attenzione dedicata all’azione, probabilmente lo hanno spinto verso uno stile più investigativo, dato che in questa miniserie, il focus è incentrato sulle dinamiche interpersonali dei presunti serial killer.