Lorenza MorelloAl tempo dei miei studi universitari, si narrava il mito secondo il quale per studiare giurisprudenza fosse necessaria una grande memoria per tenere a mente “tutta quella mole di pagine”. Eh sì, perché all’epoca le procedure, o il tanto temuto diritto privato, che oggi ci risulta venga espletato in due o tre esami separati per ogni materia, si portavano tutti in un colpo solo. Ebbene, con immenso stupore degli astanti, fin da matricola mi trovai a obiettare (cosa che mi capitò anche in seguito, da assistente di cattedra prima e dottoranda poi, ai miei allievi), che in realtà ciò che non deve mancare a chi studia legge sono due capacità fondamentali: la prima, quella logica, che permette di legare tra loro gli argomenti senza necessità di impararli a memoria; e la seconda, quella definitoria. Saper definire un concetto o un termine significa, in realtà, conoscerne i perimetri e l’efficacia. Cosa che per un giurista è di fondamentale importanza. Se ne ha riprova ogni giorno quando, nella quotidianità anche stravolta della fase attuale, ci si trova ad analizzare gli accadimenti e si cerca di ricomporre il tutto a una forma di ordine quantomeno logico. Facciamo l’esempio di un tema quanto mai attuale, quello del Green Pass. Non si può non notare come, proprio nel caso di specie, utilizzando la logica e la definizione si possa venire facilmente a capo del gran caos che sta spaccando in due il Paese. Ma andiamo con ordine. E cerchiamo di fare un’analisi logica e scientifica del tema. Iniziamo dall’inquadramento del provvedimento, che per taluni è una misura sanitaria, per altri invece una misura politica. Come venire a capo della collocazione? Anzitutto, definendo le due misure e poi analizzando il Green Pass, per capire se ha le caratteristiche dell’una o dell’altro. Iniziamo dalla locuzione “misura sanitaria”: norma o provvedimento atto a tutelare e/o salvaguardare il bene o diritto alla salute (si pensi, per esempio, alle norme di antisofisticazione degli alimenti). Per “misura politica”, invece, si intende quella norma o provvedimento atto al raggiungimento di un fine politico (per fare un esempio, le norme che regolano i flussi migratori). Ora, posto che il Green Pass, a detta stessa dei medici, non è una misura strettamente sanitaria in quanto “non crea luoghi sicuri e per valutarne la portata andrebbe misurato l’impatto” (così il professor Crisanti in varie occasioni), ecco che allora se ne evince il pieno fine politico, che è quello di spingere la popolazione a vaccinarsi, impedendo a chi non abbia la tessera verde l’esercizio di ormai pressoché tutte le attività sociali e, cosa ancora più grave, l’esercizio del diritto al lavoro. Un diritto che, come ci ricorda l’articolo 1 della nostra Costituzione, fonda la Repubblica in cui viviamo. Anzi, si potrebbe asserire che il Green Pass, in realtà, mina il 'bene salute' che millanta di voler tutelare, in quanto avendo una validità di 12 mesi laddove la copertura di un vaccino ci dicono perda di efficacia nel giro di 6 mesi, ciò significa che un soggetto dotato di Green Pass vaccinale può liberamente circolare senza ulteriori controlli essendo, in realtà, potenzialmente pericoloso per la collettività, laddove, invece, il soggetto che abbia un tampone negativo effettuato nell’arco massimo delle 72 ore, anche se non vaccinato, è sicuro per se stesso è per gli altri. Sul fatto poi che anche i vaccinati possano ammalarsi e contagiare c’è già ampia letteratura e cronaca (basti pensare al famoso ospedale romano in cui il personale sanitario era tutto vaccinato e si sono ammalati). Si pensi, piuttosto, a costruire una polis parallela o alternativa, dei piccoli comuni di resistenza dove i cittadini possano vivere per scelta come in epoca pre-Covid, ovvero senza restrizioni. E chi vuole utilizzare i presidi sanitari o sottoporsi a vaccinazione, lo fa per propria libera scelta e si valutino i risultati in termini di salubrità di vita e di economia dopo un anno rispetto a quelle degli altri centri, che seguono tutte le norme (anche quelle prive di logica). I dati, a quel punto, decreteranno la verità delle cose. Al tempo stesso, è importante tenere vivo il dibattito nella società richiamando l’attenzione sui temi scientifici, tenendo bene a mente che la medicina non si annovera tra le scienze esatte e, pertanto, invocare sempre i criteri di una scienza inesatta è una contraddizione in termini, senza far passare per secondarie le implicazioni morali, giuridiche e sociali di quella che può, a questo punto a tutti gli effetti, definirsi una barbarie istituzionalizzata.





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