Chiara Scattone

La libertà di stampa esiste realmente in Italia? Questa è una domanda alla quale ritengo, oggi, sia difficile dare una risposta. In primo luogo, perché sarebbe necessario identificare e specificare il concetto e l’idea di libertà di stampa: ogni individuo, ogni giornalista, ogni cittadino può esprimere tutto ciò che gli passa liberamente per la testa, per iscritto o con altri mezzi, senza preoccuparsi minimamente dei contenuti della propria attività di comunicazione? Certo. Ma esistono delle regole, scritte e non, esistono dei criteri, dei vincoli, delle norme. Esiste il principio dell’etica e del buon senso. Esiste l’intelligenza (non quella degli studi, ma della vita quotidiana). Esiste la razionalità, il desiderio di informare gli altri di quello che realmente accade nel mondo, nel quartiere, nella propria città e nel proprio Paese. Esiste il dovere dell’informazione nei confronti di tutti, di coloro che non possiedono gli strumenti per conoscere quello che succede al di là della propria porta di casa e che, senza questa conoscenza, non potrebbero prendere parte alle attività della società in cui vivono e di cui sono gli elementi fondamentali. Gli individui, i cittadini, tutti, sono gli assi portanti della società in cui risiediamo: senza il loro parere, senza il loro giudizio, senza la loro voce, la società stessa non esisterebbe. Dunque, la vera questione diventa: esiste una stampa veramente libera, in Italia? O, al contrario, si sta assistendo ad un fenomeno di omologazione dell’informazione? Troppo pochi sono i ‘poli’ editoriali che influenzano il mondo della comunicazione. E troppo poche sono le differenze nella qualità dei contenuti, troppo simili, troppo poco ‘concorrenziali’, anche se certamente non è possibile parlare di concorrenza nel mercato dell’informazione. Perché anche l’informazione è un mercato: dietro i canali pubblici, così come dietro quelli privati, esistono logiche di mercato e di profitto, di concorrenza e di pubblicità. In un’Italia veramente poco capitalistica, con un’economia di mercato ‘familista’ e chiusa, che invece di incoraggiare gli investimenti e le nuove iniziative si chiude nella ristretta cerchia di imprenditori di presunto successo, che tutto decidono e tutto possiedono, di certo non si riesce proprio a parlare di stampa libera. L’informazione, nel nostro Paese, è un mercato chiuso, oligarchico, all’interno del quale agiscono pochissime forze economiche. Ciò non riguarda solamente il settore dei quotidiani, dei settimanali e della carta stampata, dove il mercato sembra essere un poco più accessibile anche a chi non appartiene ai due o tre grandi gruppi che si contendono le vendite e gli spazi pubblicitari a colpi di ‘scoop’ più o meno scandalistici. Mi riferisco in particolar modo alla televisione e agli ‘scarni’ servizi di informazione offerti dai nostri canali televisivi. Mi si obietterà che non è vero, che soprattutto ora, con l’avvento del digitale terrestre, noi spettatori abbiamo la possibilità di spaziare dai canali già noti a quelli sconosciuti delle televisioni locali. Certamente, ne sono felice. Ma i telegiornali? La valutazione delle notizie e la qualità delle stesse che questi ‘onestissimi’ canali locali trasmettono, soffrono dello spietato regime oligopolistico e dell’immensa ricchezza – non solo economica – dei canali nazionali. Alla fine, su chi ricade questa debolezza? Su noi telespettatori, naturalmente. La libertà di informazione dev’essere anche questo: un’apertura del mercato della comunicazione radio – televisiva: basta con i telegiornali pubblici e semi - pubblici, come quelli portati avanti dai primi sei canali della nostra televisione. La 7 e Sky ci stanno provando a fornire un servizio aggiuntivo, ma non è abbastanza, non è sufficiente. Il mercato deve essere veramente concorrenziale e non solo per la quantità delle informazioni o per la bellezza e la sensualità dei protagonisti, bensì per la qualità della comunicazione e della trasmissione delle notizie, per i contenuti. Il telespettatore deve poter scegliere e, oggi, questa possibilità è ancora troppo limitata e ‘pilotata’ per poter essere veramente libera.

 


 


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Matteo Nanni - Firenze - Mail - mercoledi 16 settembre 2009 8.36
Condivido pienamente ma, anche gli ordini professionali, che dovrebbero "salvaguardare" l'etica e la morale dovrebbero funzionare; purtroppo sono solo diventati un punto di potere e basta. Per non parlare a come si può diventare giornalisti, approfondite il mondo del giornalismo dal punto di vista di quelli che devono iniziare e vi accorgerete che non vi è alcuna possibilità per i "comuni mortali"
Giuditta Mattace - Italia - Mail - lunedi 14 settembre 2009 21.35
Splendido articolo..mi ha emozionato!
Credo che quello dell'assenza della vera informazione/comunicazione nel nostro Paese sia un problema gravissimo.
Splendido anche questo sito, di cui apprendo purtroppo solo oggi l'esistenza.. Un grazie a mia madre che le sa tutte e me lo ha consigliato..!
Buon lavoro a tutti.
Dott. Mag. Giuditta Mattace
Antony - Roma - Mail - domenica 13 settembre 2009 8.28
Tutto giustissimo! Penso però che il problema della qualità dei contenuti dei telegiornali sia fortemente condizionato dal monopolio dell'informazione. Una legge antitrust che riguardi esplicitamente il mercato dell'informazione che fissi dei precisi limiti al possesso da parte di privati delle tv e dei giornali è essenziale per l'esercizio stesso delle libertà democratiche.


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