Rina Gagliardi

Caro Piero, nel merito della questione Ogm hanno già scritto Roberto Musacchio e Francesco Martone, con una riflessione che condivido in toto. Ma consentimi di tornare sull'argomento, da non specialista, come sono.  Credo che sia giusto e sano (a proposito di cibi biologici) discutere di tutto e non avere tabu ideologici. Ma credo anche che qualche confine ("paletto"?) di questa libera ricerca ci debba essere, come mi pare di averti sentito dire più volte. Per esempio, se ti mandassi un articolo (magari ben argomentato e laicamente ispirato) contro l'aborto e il femminismo, lo pubblicheresti? Io credo di no. Men che mai lo pubblicheresti come editoriale di prima pagina. E faresti bene: non per amor di censura, ma perché anche la discussione più libera e spregiudicata non può sempre ricominciare da zero. Di femminismo si può discutere, è ovvio, ma all'interno di un'ottica che lo assume come cultura fondativa di una sinistra degna di (ri)esistere. Analogo ragionamento si potrebbe fare su alcune altre battaglie qualificanti della nostra epoca - come i diritti dei migranti, la denuncia della precarietà del lavoro, la pace senza se e senza ma. Ma perché invece, le questioni dell'ambiente - e della scienza, e della critica della non neutralità della scienza - hanno sull'Altro uno statuto diverso? Come se fossero, appunto, un hobby (lucroso) delle "lobbies sessantottine" o di alcuni fissati? Di sicuro, questo è un argomento tipico delle destre, delle destre di tutti i tipi. Di sicuro, di ecologia e dintorni si può discutere tutto, ma non per precipitare nello scientismo più bieco e più ovvio - quello che Marcello Cini combatte da una vita - e nell'idea che la crescita, la produzione, la "quantità" sono comunque un bene da perseguire. Quel che ho trovato fastidioso nell'editoriale di Gilberto Corbellini (nomina sunt omina?) non è solo il tono, supponente e arrogante, ma la cultura - positivista, veteroprogressista e vagamente ammantata di populismo - che sostiene la sua appassionata crociata pro-Ogm. Non dovremmo dare un po' più d'ascolto, su questo tema, a quello che hanno scritto fior di scienziate del sud del mondo? Non dovremmo evitare di cadere nel luogo comune che la fame nel mondo è prodotta dalla carenza di cibo industrialmente prodotto, quando è assodato che è quasi l'opposto, che il mondo soffre piuttosto di sovrapproduzione alimentare e che il problema è di natura squisitamente economico-sociale, distributiva, in ultima analisi politica? Aggiungo che mi pare del tutto ridicola la connessione (corbelliniana) tra gli otto milioni di poveri italiani e la proibizione degli Ogm - davvero tu e la redazione dell'Altro pensate che un bel po' di organismi geneticamente modificati risolverebbero una questione sociale di queste dimensioni? Quanto alla scoperta britannica sull'equivalenza nutrizionale tra cibi-bio e cibi convenzionali, si tratta di una classica scoperta dell'acqua calda: nessuno, neanche Bovet, ha mai detto che il bio (di cui personalmente non sono fanatica) ha virtù nutritive superiori o speciali. Il bio è proposto sia per ciò che non contiene (pesticidi e schifezze chimiche) sia per il modello sociale, più sostenibile, a cui allude. Oppure, anche qui, ritieni che sia così di sinistra difendere in toto il modello attuale, multinazionali comprese, fondato sulla totale industrializzazione dell'agricoltura, sui danni ambientali che giocoforza questa scelta produce, sui costi enormi (di trasporto e distribuzione, per esempio) che ne derivano? In ultima analisi - torno al tema - si può credere perfino che gli Ogm fanno benissimo: del resto, lo dicono tutti i produttori dei medesimi, lo dicono tutti gli scienziati e gli opinionisti che stanno sui libri-paga dei medesimi. Ma dall'Altro, e dai collaboratori dell'Altro, io non mi aspetto soltanto la buonafede: mi aspetto, quantomeno, un po' più di problematicità. Un po' più di umiltà. E un po' meno di gusto di "epater le bourgeois". Con affetto immutato.

 




(articolo tratto dal quotidiano 'l'Altro')

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