Daniela Binello

I quattro giovani studenti che hanno perso la vita durante le sanguinose rivolte negli atenei di Teheran nel 1999 pesano sulla coscienza di Mohammad Khatami. L’ex presidente riformista, eletto due anni prima col voto decisivo di molti giovani e  donne, aveva suscitato grandi speranze in Iran con la promessa d’allargare la democrazia e ripristinare rapporti normali con il mondo occidentale, ma non riuscendo a far cessare le proteste studentesche, si schierò con gli Ayatollah e ordinò la chiusura delle università. Per migliaia di giovani fu la fine di un sogno. Ad accendere la miccia era stata la messa al bando del quotidiano di sinistra Salam, cui seguì l’approvazione di una legge che inasprisce i controlli sulla stampa, sottoposta oggi più che mai a una censura occhiuta. Centinaia di studenti, che avevano partecipato a una manifestazione, stavano tornando ai dormitori nel campus di Amirabad, nella zona settentrionale di Teheran, quando furono attaccati a sassate da una brigata d’integralisti del gruppo Ansar-e Hezbollah (seguaci del partito di Dio) e dalle forze antisommossa dei Pasdaran, i Guardiani della rivoluzione, armati di fucili mitragliatori, manganelli e gas lacrimogeni. I ragazzi, secondo fonti governative, si sarebbero asserragliati nel campus, lanciando pietre, bottiglie incendiarie e pezzi di legno contro gli agenti. I giovani furono arrestati e tradotti nel famigerato carcere di Evin ma, eccetto gli organizzatori della manifestazione, in seguito sarebbero stati rilasciati. Polizia, forze armate e il corpo dei Pasdaran, com’è noto, rispondono alla Guida suprema Ali Khamenei.  Per capire il futuro dell'Iran bisogna partire dai giovani. Il 70 per cento degli iraniani ha meno di trent'anni e, quindi, non ha vissuto la rivoluzione del 1979, anche se ne subisce ogni giorno le conseguenze. Il boom demografico si è concentrato dal 1980 al 2000, periodo in cui la popolazione è aumentata da 35 a 70 milioni. La crescita demografica è destinata ancora a salire. Centinaia di questi giovani ogni anno cercano di andarsene da un Paese in cui la convivenza civile è pesante per i problemi sociali e politici che lo ingabbiano e dove trovare lavoro è sempre più difficile. La Repubblica islamica dell’Iran ha sempre dato molta importanza all'istruzione, anche se ha promosso un ardente processo di desecolarizzazione: aboliti i libri di testo non omogenei all'Islam  integralista e grande abuso della religione come materia scolastica obbligatoria. Ecco perché gli studenti iraniani sono divenuti un attore politico rilevante. Del resto è in seno alle università che sono nati molti movimenti di protesta contro il governo iraniano o contro chi aggredisce e vuol frenare l’ascesa dell’Islam.  Un fattore positivo è che il 63 per cento degli studenti iscritti all’università sono ragazze. I due principali movimenti universitari sono il Daftar-e Tahkim-e Vahdat, d’ispirazione riformista e il Basij Daneshgoo, più affine ideologicamente ai fondamentalisti come ricorda il termine Basij (raduno, adunata) di memoria khomeinista. Alcuni dei leader dei movimenti studenteschi hanno trovato riparo all’estero, come Kiaroosh Sanjari, un noto blogger che se fosse rimasto in Iran sarebbe certamente scomparso nelle patrie galere. Internet, in particolare, è oggetto di un severo controllo da parte delle autorità e basta scrivere molto poco per venire schedati e ricevere una visita a domicilio poco piacevole da parte dei Guardiani della Rivoluzione, sebbene molti analisti sostengano che in Iran, com e in Cina, la web generation sia un fenomeno  indomabile. Sono stati i blog iraniani come l’Urumiye News, ad esempio, a diffondere la notizia che Ahmadinejad era stato preso di mira con una scarpa gettatagli mentre si trovava nella città di Urumiye e così ci si ricordò che anche nel 2006 il presidente si era beccato un altro lancio di ciabatte all’università Amir Kabir di Teheran. Il giornalista iracheno Muntazar al Zaidi, che tirò una scarpa contro George W. Bush durante una conferenza stampa a Baghdad, e che per il suo gesto di protesta sconta una condanna di tre anni, è divenuto un eroe per molti giovani in Iraq, Iran e in molti altri Paesi arabi, dove venir colpiti da una scarpa è considerato un affronto molto grave. Altre forme di protesta da parte dei giovani riguardano l’abbigliamento. I maschi controcorrente vestono all’occidentale e portano anche i capelli alla moda, come i nostri figli. Solo per le ragazze contestatrici, però, è stato coniato il termine di “mal velate”. Gli stivali, poi, sono addirittura considerati sexi e di conseguenza inclusi fra i capi proibiti. Gli usi e costumi islamici, così come vengono interpretati in Iran, impongono che le donne, quando sono in pubblico, si coprano dalla testa ai piedi con indumenti non aderenti. Essere “mal velate” è, perciò, divenuta una forma di contestazione e un certo numero di ragazze sfidano così i Guardiani della Rivoluzione. Quando la misura è colma, scatta la repressione ed alcuni di questi giovani si trovano ad affrontare processi assai seri. La giovane disegnatrice iraniana espatriata a Parigi, Marianne Satrapi, ha raccontato nelle stripes di Persepolis, divenuto anche un film, molte di queste storie. Se negli otto anni di guerra fra l’Iran e l’Iraq, le milizie Basij, formate da ragazzini volontari, indottrinati dall’Ayatollah Khomeini, si lanciavano contro i carri armati dell’esercito di Saddam o nei campi minati  sul confine, le battaglie oggi si spostano sul web. Le milizie Basij iraniane sono una vera e propria orda digitale che si è riorganizzata per contrastare il dissenso dell’opinione pubblica iraniana espresso online. La gioventù Basij promuove i valori dell’Islam contro corruzione, prostituzione e apostasia ed anche contro i blogger  “nemici di Dio”. Le critiche, infatti, in una nazione dove l’età media degli abitanti è di 27 anni, non trovano sfogo in televisione o in radio, ma si rincorrono rapidamente sul web.


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Francesco Mangascià - Assisi - Mail Web Site - sabato 20 giugno 2009 15.42
Moussavi, è pronucleare tanto come Ahmadinejad anche se probabilmente meno assatanato. I due, sono entrambi vecchi arnesi del regime degli ayatollah. Solo che la gente lì è davvero inrritata e spera anche in Moussavi; la mia impressione è che questa cosa del nucleare raccolga consensi in assoluto: è questione di nazionalismo; tutto quello a cui noi assistiamo, oltretutto, non è che accada perché si voglia dare più libertà in Iran, anche se in pIazza ci si spera, o meno minacce di guerra a Israele: il tutto è solo uno scontro di poteri, e MOLTO anche per denaro, tra differenti autorità.




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