Daniela BinelloMorte e rinascita. L’Islanda è resuscitata come Lazzaro, vira a sinistra con 34 seggi su 63 e manda a casa i lazzaroni. Il risultato elettorale del 26 aprile è strepitoso: il partito socialdemocratico e i verdi conquistano la maggioranza assoluta in parlamento. Johanna Sigurdardottir, 66 anni, è riconfermata alla guida del governo di Reykjavik. Il fallimento di un’intera nazione, per quanto piccolina (320 mila abitanti circa), nell’Europa moderna non si era mai visto. L’Islanda, l’isola di ghiaccio e fuoco situata nell’Atlantico a soli duecento chilometri dalla Groenlandia, era, finanziariamente parlando, precipitata nel novembre scorso a causa della bolla finanziaria gonfiata dai trader di banche e società finanziarie, sostenuti dal governo conservatore che adotta politiche liberiste fin dagli anni ’90 e snobba l’opzione di entrare nell’Unione europea. Gli islandesi, infischiandosene della pesca al merluzzo, da sempre una delle risorse più importanti della loro prosperità, erano diventati tutti speculatori di hedge fund in valuta estera. Di più: l’Islanda stessa era stata gestita come un unico grande hedge fund. In un primo momento si ottengono dei risultati spettacolari: il valore degli investimenti giocati in borsa aumenta anche fino a nove volte e con un tasso di disoccupazione al di sotto dell’1 per cento, per gli islandesi è una bella pacchia. Li chiamarono i vichinghi della finanza. Il boom della borsa globale li entusiasma e con 52 mila 764 dollari annui pro capite nel 2007 gli islandesi svettano al primo posto nello Human Development Index. Affidandosi ai trader della Landsbanki (proprietaria anche di Icesave), Koupthling e della Glitniril, cioè delle banche islandesi che fra il 1998 e il 2003 erano state privatizzate dal governo, gli islandesi investono in valuta estera tutti i risparmi di una vita, fino all’ultima krona. Il magnate islandese Bjorgolfur Gudmundsson, che possedeva il 40 per cento della Landsbanki, si toglie perfino lo sfizio di comprare la gloriosa squadra di calcio londinese del West Ham. Offrendo interessi a breve termine molto più elevati degli altri istituti, le banche della terra dei ghiacci attraggono cospicui capitali stranieri. Ma nessuno si preoccupa del rischio, ciò che conta è investire con l’idea di guadagnare il più possibile. Dal Regno Unito alla Russia e perfino dall’Italia si comprano i “fondi artici” e i bond assicurativi a essi collegati. Poi, il crollo. Arriva l’ottobre nero del 2008. La catastrofe globale attraversa rapidamente gli abissi dell’oceano e si abbatte sull’Islanda come uno tsunami. E’ l’effetto sub-prime di Lehman Brothers. Il 6 ottobre il primo ministro di allora, Haarde, annuncia in tv che l’Islanda è sull’orlo della bancarotta. Il 7 ottobre l’Fme (Autorità di Controllo Finanziario islandese) mette in amministrazione controllata la seconda banca del paese, la Ladsbanki, congelando i conti esteri e garantendo solo i conti dei cittadini islandesi. Due giorni dopo sarà la volta della Koupthling (prima banca commerciale). Nello stesso giorno la krona è sospesa dalle contrattazioni dopo che era arrivata a perdere fino al 78 per cento del suo valore. La borsa islandese (Omex Iceland), il cui listino è composto per il 73 per cento dal peso delle banche coinvolte nel credit crunch, dopo una settimana di blocco delle contrattazioni, il 14 ottobre lascia sul terreno il 77 per cento dell’intera capitalizzazione. A oggi, l’esposizione debitoria contratta dalle banche (nuovamente nazionalizzate) ammonta a 50 miliardi di dollari, in un paese che dispone di riserve in valuta estera per non più di 5 miliardi di dollari e con la corona islandese tuttora in caduta libera (una krona valeva in aprile 0,00598 euro). E se nessun islandese che non può più pagare le rate del mutuo si è visto pignorare la casa dalle banche è solo perché farlo non avrebbe senso: mancano i compratori. Intanto, a Reykjavik si possono notare i vetri rotti delle finestre dell’Albingi (il Parlamento), intorno al quale sono state organizzate per settimane, e per la prima volta nel paese, ripetute manifestazioni di protesta. I lavori di costruzione della nuova sala per i concerti da 56 milioni di euro sono stati interrotti e dall’aeroporto non decollano più i tanti jet privati di chi poteva permetterseli. Non arrivano più con i cargo nemmeno le tante Range Rover d’importazione, nè si scritturano privatamente artisti del calibro di Elton John per venire a cantare a una festa di compleanno (costo dell’ingaggio: 1 milione di euro). Per la prima volta, poi, il problema della disoccupazione tocca anche l’Islanda (tasso del 9 per cento). Da impavidi vichinghi a pecore nere del capitalismo globale, ora s’indaga sui vichinghi della finanza e si va a caccia dei nomi dei colpevoli. Ma fra tutti gli investitori stranieri il più arrabbiato è il premier britannico Gordon Brown. Per salvare i depositi dei cittadini inglesi, congelati come quelli di tutti gli altri nello scorso ottobre dal governo islandese, Brown ha messo in campo perfino le leggi antiterrorismo del 2001, provocando la reazione di alcuni islandesi che si sono presentati con attaccato al collo un cartello: “Siamo islandesi, non Taliban”. La cosa non ha spostato di una virgola il velocissimo Brown, che il 10 ottobre del 2008 ha fatto bloccare tutti gli asset patrimoniali detenuti dalle banche islandesi presso gli istituti britannici. Sono seguite azioni analoghe, sebbene un poco più morbide, anche da parte dei governi svedese, belga, norvegese e lussemburghese (che hanno optato, però, per linee di credito facilitate per alcuni milioni di euro). Per quanto riguarda l’Italia, invece, sarebbero 100mila gli investitori italiani possessori di polizze index linked islandesi, acquisite tramite l’offerta di note compagnie assicurative italiane. Non potendo lasciare sola l’Islanda, però, alcune nazioni si sono fatte avanti (quelle che prima avevano investito nelle banche islandesi) e mettendo mano ancora una volta al portafoglio sono arrivati a Reykjavik prestiti dalla Russia (4,3 miliardi di euro) e dai paesi scandinavi (2,5 miliardi di euro), oltre a un mega prestito del Fondo Monetario Internazionale (2,5 miliardi di euro), mentre la Banca centrale islandese ha tagliato i tassi d’interesse (intorno al 15 per cento). Anche la famosa cantante pop, l’islandese Bjork, si è mossa in aiuto della sua isola. Originale e creativo come la star che gli ha prestato il nome, il fondo Bjork (venture capital) è adatto alle piccole imprese che vogliono investire in campo ambientale e che dimostrino, per poter accedere al prestito, di avere requisiti “verdi”. Il fondo è gestito dalla Audur Capital di Reykjavik, una delle poche società islandesi che non sono state spazzate via dal fallimento grazie alla loro etica. A capo della società ci sono due donne, Halla Tomasdottir e Kristin Petursdottir. Il capitale iniziale era di 1 milione di dollari circa nel marzo scorso, ma il fondo ha già attirato l’interesse di nuovi investitori stranieri grazie all’originalità dei presupposti: adottare i criteri della finanza etica mirando a un rendimento sostenibile. La Audur Capital ha spiegato che la strategia d’investimento si concentra sulle imprese che cercano di “creare valore attraverso l’unicità naturale e le caratteristiche culturali dell’Islanda”, aggiungendo che le imprese devono essere “sostenibili, sia nel rendimento finanziario come nella responsabilità sociale e ambientale”. A questo punto, la svolta elettorale, con una premier (lo era già, ma ad interim) Johanna Sigurdardottir, d’area ambientalista socialdemocratica. La Sigurdardottir, è stata anche la prima donna a diventare presidente del Consiglio del suo paese. Unita in una convivenza civile registrata nel 2002 con una giornalista e sceneggiatrice, la sua omosessualità, benché madre di due figli nati dal suo precedente matrimonio, non fa scandalo in Islanda né viene, però, inutilmente sbandierata. Per molte ragioni, dal welfare al sistema sanitario gratuito (fra i migliori al mondo) fino al livello d’istruzione, la Repubblica d’Islanda è considerata una fra le democrazie più avanzate. Cosa succede adesso? Il nuovo esecutivo islandese si attiverà velocemente per chiedere di entrare nell’Unione europea e gli islandesi, nel frattempo, rimetteranno in moto i loro pescherecci, tornando a occuparsi di merluzzi. Anche i geyser, che tanto attraggono i turisti in queste latitudini artiche, non hanno mai smesso di sbuffare. E' così che resusciterà l’Islanda.


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