Vittorio Lussana

E’ fuor di discussione il fatto che, in Italia, la parola ‘destra’, in quanto concetto culturale, rappresenti un termine difficile, sia in sede di elaborazione generale, sia in quella più specifica di un definitivo superamento di quel processo di ‘deideologizzazione’ che ha investito pienamente anche questa parte politica. Sventuratamente, il problema di una sana cultura politica conservatrice in grado di affrontare con concretezza fenomeni e problemi politico - sociali al fine di regolamentarli, rimane ancora oggi una questione in ‘alto mare’. La rispettabilità storica di una figura come quella di Giorgio Almirante deriva, ad esempio, dalla difficilissima situazione contingente che questo leader ereditò nell’immediato dopoguerra, nel tentativo - intellettualmente rilevante - di rimettere in moto, dandole una qualche funzionalità, una macchina partitica di matrice ‘socialnazionalista’: riuscire a ‘divincolarsi’, durante quella fase storica, dall’esperienza autoritaria ‘mussoliniana’ e dal suo mortale abbraccio con il delirio hitleriano, al fine di affrontare la nuova ‘era’ della ‘democrazia di massa’ fu un vero e proprio strappo ideologico, un atto coraggiosamente di ‘rottura’ per molti militanti o semplici simpatizzanti dell’allora nascituro Movimento sociale italiano. Proprio per tali motivi, risulta scientificamente corretto cercare di porre, oggi, in un’ottica storiografica più opportuna l’esperienza della dittatura nel nostro Paese: cosa fu effettivamente il fascismo? E che cosa rappresentò? Il nodo storico - culturale rimane tutt’altro che districabile - benché in tale direzione molti sforzi siano stati compiuti da autorevoli studiosi del nostro panorama storiografico - per il semplice motivo che persino le migliori intelligenze di quel regime, facenti capo a Giovanni Gentile e a tutto il nucleo intellettuale del cosiddetto ‘fascismo di sinistra’, espresse giudizi assai poco lusinghieri nei confronti del sistema di potere instaurato da Benito Mussolini. “Il fascismo è pura forma, un vuoto atteggiamento, un’etichetta salutata la quale può vedere accolti, sotto di essa, contenuti di qualsiasi matrice culturale, persino di natura rivoluzionaria”. Tale definizione, delineata proprio dal teorico dell’atto puro che più di ogni altro aveva tentato di offrire un minimo di ‘spina dorsale’ culturale all’autoritarismo italiano, rappresentava e continua a rappresentare molto più che una presa di distanza politica: fu un vero e proprio atto di rassegnazione, di sconforto per la ‘fascistizzazione’ dello Stato e del mondo universitario italiano. Per quanto teorico dello ‘Stato forte’, Gentile non fu un intellettuale fascista ‘tout court’, non condivise affatto l’ostracismo inflitto agli accademici ebrei, non digerì mai completamente il compromissorio Concordato del 1929 firmato dal ‘Duce’ e da Papa Pio XI. Egli era un autentico studioso liberale che riteneva il fascismo solamente un tentativo, funzionalmente contingente, di modernizzazione riorganizzativa dello Stato italiano. Fu proprio Giovanni Gentile a presiedere l’Istituto dell’Enciclopedia italiana ‘Treccani’, riportando per la prima volta ad unità il ramificatissimo percorso culturale di un popolo, quello italiano, che non ha mai conosciuto nemmeno da vicino i processi storici di formazione degli Stati moderni, a causa di controversi ‘snodi’ quali quelli della Controriforma o dell’assoluta inconsistenza di ogni sana concezione collettiva di ‘italianità’. Dunque, il fascismo, secondo il filosofo di Castelvetrano, poteva rappresentare quella forza politica in grado di permettere all’Italia il necessario riscatto dal proprio provincialismo culturale, ma nulla di più. Riguardo a ciò, il dissidio con Benedetto Croce, avvenuto verso la fine degli anni ’20 del secolo scorso e che pose fine ad una fruttuosa collaborazione scientifica e intellettuale, si era incentrato intorno a questioni inerenti, più che altro, le distinte concezioni ‘dottrinarie’ dei due pensatori: per usare un’espressione ancora molto cara agli intellettuali di sinistra, essi si confrontarono sui ‘massimi sistemi’, non certo intorno all’interpretazione da fornire al fascismo. Gentile e Croce; Gentile e il fascismo; Gentile e il Vaticano; Gentile e il Concordato; Gentile e la scuola italiana; Gentile e le leggi razziali; Gentile e l’attualismo; Gentile e Mussolini; Gentile e gli intellettuali; Gentile e Fanciullacci: chiunque provi a porre mano con serietà a questo tipo di questioni storiografiche non può far altro che immergersi in un ‘gorgo’ gigantesco di pensieri, scritti, considerazioni, intuizioni, suggestioni ‘fichtiane’, rivalutazioni ‘hegeliane’, spregiudicate speculazioni ‘meta – politiche’ tese a cercar di tenere assieme tutto e tutti, da Mussolini ai Savoia, dalla ‘diarchia’ alla Rivoluzione nazionale, da ‘Lorenzaccio’ a Giordano Bruno, in un contorto, ma finalmente univoco, percorso di vera e propria Storia della cultura italiana in grado di superare l’antico ‘adagio guicciardiniano’ di un popolo privo di sogni e utopie, esclusivamente ripiegato sul proprio “particulare”, sempre pronto ad asservirsi a qualsiasi invasore straniero, anche e soprattutto nelle arti, pur di trovare un personale riscontro economico o di carriera. Tutto ciò, al di là di facili revisionismi talvolta solo parzialmente documentati, dovrebbe venir analizzato più profondamente dagli ambienti culturali della nuova destra italiana, anche alla luce del fatto che fu proprio Gentile il più autentico capostipite di una numerosa schiera di studiosi e intellettuali che si rivelarono fondamentali, in seguito, per il consolidamento della nostra democrazia. Intorno a tali riflessioni, la nostra destra nazionale, soprattutto quella proveniente dal nucleo politico di An, potrebbe dimostrare di possedere il ‘vantaggio intellettuale’ – e di ciò l’on. Gianfranco Fini appare ben consapevole - di riuscire a stimolare, nei termini della propria rielaborazione evolutiva, un dibattito in grado di riallacciarla ad una nuova dottrina, ad un tempo democratica e nazionale, liberale e sociale, che mandi definitivamente ‘in soffitta’ i vecchi strumenti interpretativi tipici dell’ideologismo reazionario, abitudinariamente arroccati su erronee idealità populiste e di intransigenza demagogica. Sarebbe altresì politicamente errato ritenere impossibile una simile autoanalisi del pensiero neoconservatore italiano nel suo complesso. E ciò per due obiettivi ben precisi, che potrebbero vedersi realizzati, in tempi non eccessivamente lunghi, proprio dal nuovo fronte politico sorto in questi giorni a Roma: a) il rilancio di una più moderna concezione ideale di Patria, allineabile ad una risorta tradizione di buon governo e di laicità dello Stato; b) il favorimento di una legittimazione reciproca tra tutte le forze politiche e parlamentari attraverso ulteriori sviluppi della necessità storica di quella ‘pacificazione nazionale’ in grado di ‘bruciare’ definitivamente i ‘ponti’ con obsoleti antagonismi ideologici e con vetuste ‘dicotomie’ totalitarie (fascismo/antifascismo, amico/nemico, bene/male, razionale/irrazionale). Discorso ben più severo merita, invece, il nucleo politico denominato, fino a pochi giorni fa, Forza Italia. Esso, erroneamente a quanto si crede - soprattutto in seguito all’iscrizione di tale compagine tra le forze del Partito Popolare europeo - non ha mai rappresentato un movimento discendente diretto della vecchia Democrazia cristiana - pur avendola in qualche modo sostituita dal punto di vista della ‘geografia collocativa’ - bensì del peggior ‘apotismo qualunquista’ italiano. Dispiace dare un simile giudizio della forza politica creata da Silvio Berlusconi nel 1993 – ‘94, poiché costui ha diverse volte dimostrato generosa operosità e credibile sensibilità personale, per quanto numerosi osservatori tendano a ‘storcere il naso’ rispetto a tali mie considerazioni. Il problema di Forza Italia non risiede semplicemente nella persona del Presidente Berlusconi, ottimo imprenditore dal ‘piglio’ lombardo prestato (e prestatosi…) all’universo della politica, quanto nelle ‘nebulose’ linee ideologiche prodotte, in quest’ultimo quindicennio, dalla sua ‘creatura’. Tendenze spesso generate dalla frettolosa necessità di proporre contenuti purché ve ne fossero e che, a loro volta, hanno finito col determinare insane e spregiudicate tendenze ad inglobare correnti, personaggi politici o intere componenti partitiche di ciò che era rimasto del vecchio ‘pentapartito’ di ‘craxiana’ memoria. Ciò al fine di rivitalizzare forzosamente la propria ‘produzione di discorso’ verso l’esterno e stimolare il fideismo di esponenti, militanti, simpatizzanti o semplici gruppi erranti alla ricerca di un ‘Maestro’ purchessia. Una simile impostazione ha finito col caratterizzarsi, in termini di forma - partito, di tipo ‘verticistico – padronale’, oltreché risultare sostanzialmente speculare alla vecchia strutturazione centralista e burocratica del Partito comunista italiano. Il Presidente Berlusconi, inoltre, strategicamente è risultato spesso sulla difensiva - al di là delle apparenze mediatiche - nonché paurosamente a rischio di spaventosi errori di valutazione. Nonostante i propri sforzi personali nel volersi richiamare ad Alcide De Gasperi, egli non è mai riuscito a comprendere appieno che Forza Italia non possedeva, per motivazioni ‘congenite’, uno solo dei cardini storici, politici e organizzativi della Democrazia cristiana. Proviamo dunque a ricordarne sommariamente qualcuno, anche allo scopo di rendere eventualmente propositiva la presente analisi: la Democrazia cristiana aveva, come problema principale, quello di dover riunire in se stessa tutto l’elettorato di sensibilità cattolica, evitando quel pluralismo politico che avrebbe potuto indebolire le proprie possibilità di dialogo con le altre forze di ispirazione marxista, laica e socialista. Tale questione, tuttavia, non si traduceva in un partito strettamente ‘confessionalista’ nei propri contenuti, poiché la Dc è sempre stata perfettamente consapevole di aver ereditato un Paese militarmente sconfitto proprio dalle democrazie dalla limpida tradizione liberaldemocratica. Pertanto, nonostante il proprio vorticoso giuoco di ‘correnti’ interne, la Dc non puntò mai ad inglobare realtà ben distinte rispetto ad essa, poiché in possesso di una mentalità qualitativamente e diplomaticamente esperta nel gestire i rapporti con i propri alleati, anche se di tradizione culturale minoritaria all’interno del panorama sociale del Paese. La Dc, insomma, non era solita utilizzare il discutibile metodo del ‘pallottoliere’, non faceva ‘campagne acquisti’, non toglieva ‘campioni’ alle squadre avversarie per poi tenerli ‘in panchina’, bensì era maestra di un gioco di contrapposizioni e ricompattamenti in grado di tenere sempre assieme persino qualunquismi ‘accidiosi’ con mentalità cattolico - liberali o dalla chiara impronta cristiano - sociale. Alcide De Gasperi sapeva bene che, in situazioni politicamente fluide, non possedere connotazioni vistose o legami troppo vincolanti, si trattasse anche della Santa Sede, facilitava la penetrazione del partito in settori difficili della società italiana. Inoltre, dal punto di vista strettamente organizzativo, la Dc era in grado di delegare compiti ben precisi alle proprie componenti interne: l’ala ‘maritainiana’ rappresentava un agile reparto di ‘guastatori’ che apriva la strada al grosso delle ‘truppe’, mentre i ‘notabili’ del partito intessevano rapporti con gran parte del ceto medio e con il mondo delle professioni il quale, a sua volta, dotava la ‘balena bianca’ di un vero e proprio sistema di ‘compatibilità interne’. La Dc di De Gasperi e, successivamente, di Fanfani e Aldo Moro, certamente era un partito ‘clerico-moderato’ che tuttavia si è sempre dimostrato assai ‘attento’ ad ogni operazione di ‘ricucitura’ con le proprie minoranze interne, oltreché con tutti quei corpi sociali ‘intermedi’ in grado di impedire facili incasellamenti di categorizzazione o specifiche ‘etichettature’ politoligiche (‘confessionalismo’, ‘monolitismo’ classista, ‘dirigismo’ borghese): in sintesi, la Dc rappresentava una forza politica autenticamente laica e interclassista! Il riformismo democristiano, inoltre, non era affatto ‘fioco’, poiché perseguiva una reale Rivoluzione democratica da realizzare con tutte le forze politiche presenti in parlamento - alleate o meno, al governo o all’opposizione - al fine di esprimere un senso di solidarietà popolare collettiva in grado di materializzare contenuti socialmente ‘integrali’. Ma tali caratteristiche, Forza Italia, purtroppo, non è mai riuscita a delinearle con precisione, poiché non ha mai posseduto uomini adeguati a tali fini - a parte qualche autorevole eccezione - e perché non sempre gli entourages di contorno si sono dimostrati professionalmente all’altezza di quei compiti delegabili, in linea di principio, alle distinte segreterie politiche. Vieppiù, Silvio Berlusconi sconta – e ciò è vero per quanto non giustificatorio – un momento storico in cui la politica sembra essere definitivamente ‘morta e sepolta’, non in grado di influenzare o regolamentare coerentemente il cammino socioeconomico del Paese. In ogni caso, il partito del Presidente del Consiglio è sempre apparso troppo ‘figlio’ di un liberismo qualunquista, provinciale, democraticamente ‘sgrammaticato’, mentre l’impostazione culturale complessiva del nuovo partito ‘unico’ del centrodestra, di conseguenza, rischia di non essere quella di Croce, di Einaudi, di De Gasperi, di Gentile o di Almirante, bensì quella di Giovannino Guareschi, cantore di un’arcadia totalmente ‘apolitica’, di Guglielmo Giannini, inventore di un qualunquismo vociferante e ‘plebeo’ e di Leo Longanesi, un liberale mai dimentico di aver vissuto i propri anni ‘ruggenti’ proprio durante il fascismo. L’individuo - folla a cui si cerca insistentemente di far riferimento è poco più di un vecchio ‘detrito culturale’ del cosiddetto ‘soggetto atomico privato’ degli Horkheimer e dei Rosenberg. E la libertà che si reclama a gran voce è specialmente quella delle comodità corporali, dell’avversione per il fisco e per le leggi in generale, dell’insofferenza verso ogni forma di assistenza sociale, in breve dell’autogiustificazione della propria latitanza politica, della più totale incoerenza, delle continue e forzate ‘mimetizzazioni’ personali. A furia di criticare tutto e tutti in nome di un liberismo anarcoide, inclemente e demolitore, ma che in realtà è soltanto ‘crapulone’ e ‘casareccio’, il nucleo politico del nuovo PdL, in particolar modo quello derivante da Forza Italia, è composto da un ‘magma’ umano in cui continua ad attecchire pericolosamente una ‘pelosa’ diffidenza verso tutto ciò che è spontaneo e disinteressato, dedito ad un sano principio di impegno civile o di volontariato sociale. Senza mai rinunciare al vezzo, tutto autoreferenziale e narcisista, di deridere le idee sgradite, ciò che riesce veramente difficile a questo strano mondo di ‘reazionari in doppio petto’ o, se va bene, di ‘socialfascisti inviperiti’, è quello di non riuscire a smettere di spacciare come ‘nuovo conformismo’ la propria ritrosia ad accettare le scomode procedure della democrazia parlamentare, mentre la rivalutazione di un sapere politico prevalentemente di matrice ‘soreliana’ ne ha legittimato ogni genere di vagabondaggio. Infine, ogni reale organicità di vedute finisce con l’essere ricavabile soltanto ‘a segmenti’, tramite continue, se non infinite, selezioni tra ciò che è volgarmente retrivo o gerarchicamente ‘immobilista’ e quel poco che potrebbe rappresentare un vago senso di ‘azionismo concreto’. Insomma, il nuovo partito conservatore italiano appare nato già vecchio, poiché composto, quasi esclusivamente, di esponenti che non solo non tollerano più le idee altrui, ma non sopportano più nemmeno le proprie. E questo volersi richiudere a tutti i costi in un partito ‘monolitico’ rappresenta solamente la giustificazione di ogni duplicità, un gusto tutto demenziale per i ‘ghiribizzi’ rispetto al ‘sudore dell’intelletto’, una decantata libertà di pensiero disancorata da ogni genere di categorizzazione culturale, una forma di indisciplina sociale ‘screanzata’ che assimila le ‘fandonie’ del passato con le ‘frottole’ del presente, l’alibi di un degradato ‘spirito gregario’ verso chi, in una determinata fase, sembra essere politicamente od economicamente vincente, una corrività alle volte addirittura ‘scurrile’ spacciata, con autentica ‘faccia di tolla’, come forma di ‘ironia british’. Alla fine di un’analisi di tal genere, decisamente misteriosi rimangono i motivi per cui il popolo italiano, pur a suo dire vaccinato dai pericoli dell’autoritarismo e del massimalismo reazionario, continui a confermare una larga fiducia ad un simile ‘pachiderma’ politico dalla stucchevole mostruosità e dalle indistinte e confusionarie matrici culturali. Ma tant’è, per l’eterno ‘apota’ italiano, Berlusconi e il suo nuovo PdL rappresentano l’unica alternativa politica credibile rispetto ad una sinistra ancora in larga parte egemonizzata dai postcomunisti. Tuttavia, la questione di riuscire a creare una sinistra riformista, laica, moderna e credibile non appare ancora tematica all’ordine del giorno, sino alle conseguenze più estreme che un simile grave vuoto politico finiscono con il generare. Il popolo italiano rimane pertanto un coacervo di conservatori irresponsabili, eternamente ripiegati sul proprio ‘particulare’. E ciò rappresenta una considerazione talmente reale da giungere a rendere definitiva e inappellabile la nota considerazione espressa da Antonio Gramsci nel corso del proprio processo politico: “A voi è stato dato il compito di portare questo Paese alla rovina, a noi quello di salvarlo quando oramai è troppo tardi…”.




(articolo tratto dal sito web di informazione e cultura www.diario21.net)
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Vittorio Lussana - Roma - Mail - mercoledi 15 aprile 2009 17.41
Risposta a Vittorio 3: Uh! La sua e - mail non ci è arrivata, purtroppo, signor Vittorio. Sarà forse per il fatto che lei è solo un provocatore che scrive sotto falso nome? Oppure teme di non essere affatto presente nella nostra mailing list? Oppure ancora di essere rintracciabile? Come se a noi interessasse qualcosa di Lei, che invece si interessa tanto a fare i conti in tasca agli altri... Ma ci faccia il piacere...
VL
Vittorio Lussana - Roma - Mail - mercoledi 15 aprile 2009 17.34
Risposta a Vittorio 2: questo sito è finanziato da me, al momento. Ma sono condirettore di un altro sito e dirigo una casa editrice che pubblica oltre 400 titoli all'anno, oltre alle collaborazioni varie. Sei soddisfatto o vuoi anche la mia dichiarazione dei redditi?
VL
vittorio - roma - Mail - mercoledi 15 aprile 2009 16.48
quindi ti paghi da solo, interessante...!
comunqueti mando una mail così non mi invadi più.
Vittorio Lussana - Roma - Mail - mercoledi 15 aprile 2009 15.3
Risposta a Vittorio: certo che mi pagano. E anche bene, dato che il dominio di questo sito e la società che lo gestisce, la Fourweb, sono pagati regolarmente da me personalmente. Secondo lei, io camperei d'aria, caro il mio signor Vittorio o come diavolo Lei si chiama? Invece di lasciare commenti insulsi qanto insolenti, perché non mi manda una richiesta di cancellazione alla mia casella di posta elettronica? L'indirizzo è il seguente: vittoriolussana@hotmail.com. Vedrà che non avrà più modo di lamentarsi della sua casella invasa dalla nostra newsletter. Soprattutto, da un numero che non è stato neanche inviato...
Niente affatto cordiali saluti.
VL
vittorio - roma - Mail - mercoledi 15 aprile 2009 10.19
ma che due palle.... ma ti pagano almeno per scrivere :-(( ?! ma perchè mi invadi la casella di posta!!!!!


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