Arturo Diaconale

Qualcuno si chieda perché mai non passa giorno senza che Walter Veltroni non annunci trionfante che il distacco tra il Pd ed il Pdl si stia drasticamente riducendo. I dati degli istituti demoscopici, anche quelli tradizionalmente vicini alla sinistra, indicano che il divario rimane sostanzialmente immutato. O, addirittura, che il Partito Democratico tende a perdere almeno un punto in seguito alle polemiche scoppiate al suo interno per la composizione delle sue liste. Ma il leader del Pd ignora i numeri che quotidianamente compaiono su tutti i giornali. Ed insiste con sempre maggior enfasi sulla storia del recupero. Le ragioni di un comportamento del genere sono facilmente identificabili. Veltroni applica l’unica strategia elettorale consigliata a chi è costretto a rincorrere. Il Pd parte battuto rispetto al Pdl. E se vuole almeno contenere la sconfitta o sperare di compiere la stessa rimonta compiuta da Silvio Berlusconi nel 2006 non deve far altro che sprizzare ottimismo da tutti i pori per convincere se stesso ed il proprio elettorale che l’impresa è possibile. Ma non c’è solo una ragione di strategia elettorale a giustificare la linea di marcia di Veltroni. C’è anche l’esigenza di utilizzare l’ottimismo, la speranza e l’entusiasmo per l’impresa impossibile come collante di una lista piena di contraddizioni e di un partito che di fatto ancora non è nato. Veltroni, in sostanza, è condannato a nascondere la prospettiva di una sconfitta certa ed è obbligato a raccontare la favola della rimonta inesorabile. Perché se non lo facesse la lista delle contraddizioni esploderebbe ed invece di andare incontro ad una battaglia perduta con l’onore delle armi creerebbe le condizioni per una disfatta destinata a scatenare una sanguinosa resa dei conti nel Pd. E, quindi, l’automatica dissoluzione del Partito Democratico all’indomani delle elezioni. Veltroni, infatti, è perfettamente consapevole che la tregua stipulata dalle diverse componenti del Pd per la campagna elettorale può reggere solo in caso di vittoria o di sconfitta onorevole. Nell’eventualità che il 13 aprile il Pd ottenga un consenso uguale o inferiore alla somma dei vecchi consensi dei Ds e della Margherita, tutti i nodi che si sono formati negli ultimi anni e mesi nella sinistra di governo giungeranno al pettine. Con effetti devastanti sulla leadership di Veltroni e sullo stesso Pd. Il caso Calearo-Parisi, la polemica dei radicali, i mugugni degli ex popolari, l’inquietudine dei dalemiani e degli altri gruppi ex-Ds sono le avvisaglie di quanto potrebbe scatenarsi. Con l’aggravante che se fino a qualche settimana fa Veltroni avrebbe potuto difendersi usando come scudo l’enorme svantaggio lasciatogli in eredità dal governo Prodi, da adesso in poi questo scudo non c’è più. La scelta del segretario del Pd di impostare la campagna elettorale sulla rimozione del biennio prodiano e sulla totale discontinuità rispetto alla politica dell’Unione, gli toglie ogni strumento di difesa. In caso di mala-sconfitta il primo ad azzannarlo sarà proprio Romano Prodi!




(articolo tratto dal quotidiano 'L'opinione delle Libertà' del 7 marzo 2008)
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