Antonio Di Giovanni
In questi ultimi giorni, le notizie giornalistiche hanno evidenziato, insieme agli altri fatti di cronaca, una matrice giovanile piuttosto violenta. Ed in molti cominciano a porsi la domanda su questo costante susseguirsi di episodi inammissibili, che riempiono le pagine dei quotidiani e dei telegiornali: stupri da parte di un branco di adolescenti ai danni di una 13enne, omicidi compiuti da chi ha poco più di 15 anni, 'bulli' senza controllo nelle scuole e cosi via, in una escalation di assurdi comportamenti che assumono irrefrenabilmente dimensioni sempre più preoccupanti. La risposta a tutto questo è da ricercare nell’intreccio di alcuni fenomeni culturali, sociali e psico- esistenziali che sono all’origine di questa particolare fase della modernità, che qualcuno chiama ‘relativismo’. La recente complessità sociale, attraverso questo ‘policentrismo’ di valori, idee e concezioni di vita, ha prodotto una forte frammentazione della cultura collettiva, in cui non trovano più posto né la verità, né l’oggettività. Quindi, per certi versi vi è l’incapacità di una considerevole parte delle nuove generazioni nel dare alla propria vita la coerenza e l’unitarietà di un progetto capace di fornire un senso al frammento di tempo delimitato tra la nascita e la morte, all’interno di un tempo ancor più grande i cui confini sono, invece, l’inizio e la fine della storia umana. Per costoro, tutto è relativo, con la conseguente chiusura in se stessi in cui l’unico valore è costituito principalmente dal soddisfacimento dei propri bisogni personali, sempre più spesso sovradimensionati per sentirsi accettati dagli stessi componenti del gruppo, con piccole aperture nella relazionalità primaria, ovvero all’interno del proprio piccolo mondo quotidiano. I principali aspetti del relativismo sono rintracciabili nella mancanza di un’etica e di una progettualità che si esprime sempre più nella reversibilità delle scelte, dettata dal fatto che si possa sempre ricominciare da capo in una continua dissociazione della propria identità. Il gruppo dei ‘pari’ assume, quindi, una rilevanza particolare, non tanto per le attività che offre o per le discussioni che consente, ma solo per le relazioni che genera, il cui unico scopo è solamente quello di rassicurare ogni membro sul fatto di esistere, di essere accettato e riconosciuto dagli altri membri del gruppo. Il gruppo dei 'pari', dunque, come luogo della relazione per la relazione. Il relativismo prodotto da un insieme di più ‘centri’, non si ferma a questo effetto, ma va ben oltre, frammentando il tessuto culturale della società come in un grande puzzle dove il giovane, che rappresenta un pezzetto di esso, pretende di rappresentare l'intero disegno. L’adolescente, quindi, si trova a frequentare luoghi differenti, dove ognuno offre modelli, valori, codici e norme assai distinti tra loro, se non a volte antagonisti. Inoltre, spesso i nostri ragazzi, all’interno del gruppo dei 'pari' non riescono a sviluppare quel rispetto dell’opinione altrui, quasi a pretendere sempre di far valere la propria a discapito del prossimo, assumendo atteggiamenti di superficialità rispetto a tutto ciò che li circonda, fino all’estremo rifiuto di muoversi all’interno dei dettami della convivenza civile. Riprendersi in video con i propri telefonini durante le loro azioni incivili, mettere sul web la propria ragazza nuda o la malcapitata di turno violentata dal 'branco' è solo un atteggiamento deviato per sentirsi accettati dal gruppo, ovvero all’interno di una cultura sociale fortemente condizionata dalla competitività, che dà al rischio un valore positivo in quanto fattore di successo e di realizzazione personale. Atteggiamento, questo, di chi non ha progetti per il proprio futuro e che consente di non negarsi nulla di ciò che è ritenuto trasgressivo o illecito, perché tanto si tratta di una scelta da cui ritengono si possa tornare indietro. Difatti, ogni esperienza vissuta in questo modo assume per il giovane un significato ‘relativo’, che si esaurisce all’interno dell’esperienza stessa, non riuscendo a collegarsi alle altre esperienze esistenziali verso un senso più generale. Le moderne tecnologie della comunicazione (internet, telefonini, etc...) consentono loro di entrare velocemente in relazione ‘orizzontalmente’, anche se fisicamente dislocati in luoghi molto lontani. Ma, se un’interrelazione simile riesce ad unire più persone all’interno di uno stesso spazio sociale, allo stesso tempo isola ciascun giovane nel suo limitato segmento temporale, indebolendo quel legame verticale intergenerazionale tra presente e passato aumentando, altresì, l’indifferenza per il mondo degli adulti e degli anziani. La consapevolezza di vivere la propria vita senza un progetto, l’angoscia vestita da depressione o la fuga nell’evasione in cerca di gratificazioni attraverso il consumo ossessivo, ha creato in molti giovani la crisi di questo tempo. In sostanza, questa new generation fautrice del relativismo si è ritrovata immersa in una nuova temporalità costruita sull’ipertrofia delle relazioni orizzontali e l’ipotrofia di quelle verticali, causando una sorta di frammentazione centrata sul presente, in cui le scelte sono prodotte dalla utilità e dai sistemi di valore delle situazioni in cui si è inseriti e non dall’esigenza di unitarietà e coerenza di un progetto esistenziale. Ciò sta comportando, ovviamente, una profonda crisi della progettualità, ovvero della capacità dei giovani di vivere il presente in coerenza con il proprio passato personale, familiare e culturale e, soprattutto, con il loro 'sogno di futuro'.

Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio